Dibattito - Incontro n° 21 
        
Roberto P.
          Quando tu dici che Dio è in noi, è un concetto che in parte condivido 
          e in parte .mi sfugge, mi sfugge sempre, nel senso che questo Dio che 
          è dentro di me, lo vedo in determinate manifestazioni, lo sento in certi 
          momenti, è dentro di me ma a volte però non lo sento, non riesco a cogliere 
          il senso in cui tu lo dici. Oltretutto, nei tuoi quadri, vedo che nei 
          primi è un Dio oscuro, buio, opprimente, mentre adesso siamo arrivati 
          a un Dio solare. Io, dentro di me, credo di vivere Dio in una maniera 
          diversa
          
          Vittorio M.
          Scusa, ma che ognuno lo veda in modo diverso è lapalissiano, siamo sette 
          miliardi di persone e ci sono quindi almeno sette miliardi di modi diversi 
          di vederlo. La verità è una sola ma i punti di vista cambiano. Però, 
          quello che dicevi prima, che senti in te questo blocco....
          
          Roberto P.
          ...nella vita quotidiana mi succede che non sento Dio dentro di me, 
          che lo vivo senza coscienza
          
          Vittorio M.
          Molte di queste immagini mostrano appunto il Sé inconscio, mostrano 
          la sua oscurità, mostrano il nostro voltarci dall'altra parte rispetto 
          a un messaggio divino: direi che sono cose vicine alla situazione di 
          cui hai parlato e in cui più o meno ci troviamo tutti. E' proprio assiomatico 
          che noi, per il fatto stesso di essere nati in questo mondo, di trovarci 
          qui, siamo in una condizione di oscurità, come una caduta rispetto a 
          una centralità divina da cui siamo precipitati. Se uno vuol rendersi 
          conto di questa oscurità, di questa caduta, e vuole così vedere in faccia 
          la la propria ombra, che è l'abc di ogni vero cammino interiore, non 
          può che identificarsi con un essere amputato e oscuro. 
          Per ciò che mi riguarda, in questo seminario ho molto osato, ponendomi 
          nudo, con verità, per quello che sono. Se poi alla fine c'è nei miei 
          quadri un'immagine luminosa, sia pure conquistata attraverso l'estremo 
          del dolore, beh, direi che questo è un fatto positivo. Non che io pretenda 
          però di avere acquisito chissà quale livello, ma diciamo che posso testimoniare 
          del cammino percorso: sono nell'oscurità, però so che c'è una luce, 
          come un pesce che, pur essendo nell'acqua, si rendesse conto che al 
          di fuori dell'acqua c'è un altro mondo...o come dire che uno muore, 
          però sa che la vita è eterna. Ma lo sa come? Lo sa per intuizione, per 
          analogia, per fede, ma la fede non può essere una cosa imparata a memoria, 
          come quando si recita con le parole del Credo che Dio è il creatore 
          del cielo e della terra...no, la fede è un convincimento interiore a 
          cui si giunge con dolore e poi, al termine di un travaglio, con serenità..Io, 
          che in qualche modo ho questa fede, ce l'ho anzi fermamente, mi spendo 
          a comunicarvela aiutandomi con i quadri, anche se non sono opere molto 
          felici. Parlando della mia pittura ho spesso evocato un bambino Down, 
          che è una parte di me. Dopo essermi dedicato per decenni all'architettura, 
          che porta a un livello molto sofisticato di pensiero, mi sono accorto 
          in un certo momento della mia vita di avere una parte oscura, la mia 
          ombra, come se fosse un mio fratellino Down, e da allora me lo sono 
          sempre portato dietro tenendolo per mano, ed ho così scoperto che era 
          solo attraverso di lui che io potevo crescere. E' solamente attraverso 
          l'oscurità che si arriva alla luce
          
          Roberto P.
          Ovviamente, devo partire dalla mia esperienza soggettiva. Nonostante 
          le avversità della vita che ho attraversato, la mia visione di Dio non 
          è mai stata buia, non è mai stata oscura. Se avessi dovuto dipingere 
          io, non avrei mai usato colori scuri, la mia visione di Dio è sempre 
          stata solare. Ti chiedo come mai in alcuni tuoi quadri c'è questa illuminazione, 
          mentre in altri, siccome Dio è dentro di te soltanto in parte, lo dipingi 
          mutilato. Una visione dall'esterno mi dà invece un altro tipo di lettura
          
          Vittorio M.
          Non vorrei parlare troppo del mio approccio personale ma, diciamo, il 
          concetto è abbastanza chiaro. Io non mi faccio un'idea astratta di Dio, 
          dicendo che Dio è il massimo della luce. No, il Dio che è dentro di 
          me è nel massimo dell'ombra. In qualunque analisi, se non conosci l'ombra 
          non conosci niente. Dante, nella Divina Commedia, ne ha speso un terzo 
          nell'oscurità dell'inferno e un altro terzo nella faticosa esperienza 
          del Purgatorio. Questa è la realtà, non bisogna farsi un'idea intellettuale 
          e illusoria di quello che ci trascende. Partendo da questo riconoscimento, 
          vediamo di migliorare l'immagine che ci facciamo di Dio, e lo potremo 
          fare solo migliorando noi stessi. La mia versione è autentica anche 
          se potrà sembrare opprimente, non dipingo Dio come potrei immaginarlo 
          facendomi qualche illusione, ma come sento la sua presenza in me, dolorosamente 
          avvolta nella mia oscurità, ma non perché io sia un uomo che per sua 
          natura tenda al buio, al nero, che sia iscritto a sette sataniche o 
          roba del genere, ma semplicemente perché assumo in pieno questa natura, 
          non solo mia ma della condizione umana. L'abbiamo detto all'inizio del 
          Seminario: per uscire dalla caverna oscura, bisogna dapprima rendersi 
          conto di esserci. 
          E' la mia lettura personale, ma c'è qualcuno che ha da dire qualcos'altro?
          
          Paolo M.
          Mi sembra che ci sia una tensione abbastanza evidente, come un oscillare 
          fra due concezioni diverse, in quello che dici dei tuoi quadri, sul 
          rapporto con la divinità. Una, che si sente in questi ultimi quadri, 
          è molto orientale, buddista, per cui uno riconosce Dio in sé stesso 
          e anche in tutte le cose, e poi c'è la figura del Cristo della tradizione 
          in cui siamo cresciuti, che però è una cosa diversa, perché Dio, nella 
          religione cristiana, è altro da me, è il Padre, siamo a sua immagine 
          e somiglianza però è Dio, poi c'è lo Spirito Santo e poi ci sei tu, 
          sono ben diverse queste cose. Mi sembra appunto che nei tuoi quadri 
          e in quello che racconti, si alternino questi concetti e che ci sia 
          una tensione, non voglio dire non risolta. Ci parli poi di Gesù, dell'oscurità, 
          della croce, mentre nell'ultima parte prevale questa visione buddista, 
          che non so quanto sii accordi con la croce, il dolore... mi sembra che 
          ci sia un sincretismo..
          
          Vittorio M.
          Ma scusa, Paolo, non devi paragonare alcune nozioni sulle religioni 
          orientali con altre sull'insegnamento della Chiesa, che sono ovviamente 
          diverse, ma renderti conto piuttosto che sta nascendo nell'animo dell'uomo 
          del nostro tempo un nuovo impulso religioso, che si scopre figlio di 
          quanto hanno scoperto gli orientali da una parte e il cristianesimo 
          dall'altra. Io sono molto vicino all'idea orientale del Sé, dell'Atman, 
          però la vedo e la abbraccio interamente anche nel Cristo. Osservo che, 
          mentre gli orientali pensano di raggiungere Dio con delle pratiche rituali, 
          con la meditazione, con la concentrazione ecc., nel cristianesimo la 
          si raggiunge con il dolore e con la croce, che è un'esperienza molto 
          più pregnante dal punto di vista umano, un'esperienza decisiva. Io considererei 
          l'illuminazione orientale come l'essere, appunto, illuminati da un nobile 
          pensiero, un nobile intento, come è stato predicato dal Buddha, mentre 
          l'esperienza cristiana non è tanto l'essere illuminati, ma convertiti, 
          anzi folgorati come Paolo sulla via di Damasco. E' qualcosa che accade 
          in carne ed ossa, un farsi crocifiggere, scoprendo che il Cristo oscuro 
          che è in noi, che è morto nella tenebra, è anche il principio della 
          Resurrezione. Io lo associo anche a un principio di luce, al sole, e 
          anche all'oscurità da cui la luce emerge, vedendo quindi in tutto questo 
          una ciclicità che mi sembra il vero senso della vita. Non mi piace l'accezione 
          del sincretismo come di un voler mettere insieme delle cose inconciliabili 
          mentre penso a una religione per l'uomo di oggi che sappia nutrirsi 
          dei contributi delle religioni del passato, non guardando alla loro 
          lettera, frutto di culture locali e diverse, ma alla radice del senso 
          religioso, che è comune ad ogni religione e ad ogni uomo. 
          
          Livio Z. Mi sono fatto spesso una domanda: Einstein credeva in Dio?
          
          Vittorio M.
          Certamente, l'ha proprio dichiarato, ma per forza: sarebbe solo un piccolo 
          scienziato quello che si limitasse al piano dell'osservazione e della 
          verifica sperimentale - anche se è quello che fa fare dei grandi progressi 
          alla conoscenza empirica e anche teorica - ma un grande scienziato, 
          che ha delle grandi intuizioni, una grande anima, non può che essere 
          profondissimamente religioso. Certo non crederà alla Madonna o a un 
          Gesù figlio unigenito di Dio, a un Santo o a un altro, ma non potrà 
          che essere profondamente religioso. 
          
          Livio insiste:
          ma l'ha veramente dichiarato? Roberto gli risponde che lo ha fatto in 
          molte occasioni...
          
          Vittorio M.
          Un grande scienziato che vede la meraviglia e la complessità dell'universo 
          non può che essere religioso. Si dichiarerà magari ateo all'inizio ma 
          solo su un piano contingente, nel senso che non crederà alle favole 
          della Chiesa - anche io non ci credo - a parte il fatto che sono favole 
          di cui, quando arrivi ad avere una religiosità profonda, finisci con 
          lo scoprire la verità, non letterale come ti hanno insegnato, ma come 
          simbolo, come è d'altra parte vero per tutte le favole. Il cristianesimo 
          è un messaggio che si rivolge a tanti livelli, da quello della nonnina 
          che ha una fede semplice che però le è di conforto, a quella del Santo, 
          del mistico o del grande scienziato. Ci sono diversi piani di conoscenza. 
          Uno che si applica solo a un piano pratico, come fa spesso chi crede 
          nella scienza, non può essere autorizzato a concludere che non esista 
          un piano trascendentale ma solo che non ha gli strumenti (e il cuore) 
          per conoscerlo..
          
          Roberto P.
          Vittorio, ti posso fare una domanda provocatoria? Tu dipingi o parli....quello 
          che prevale è la croce, non c'è mai la Natività. Io ho questa impressione, 
          che quando tu pensi al cristianesimo, prevale la visione del dolore...
          
          Vittorio M.
          ...ma non è vero! Mi do però una spiegazione pratica di quello che dici: 
          tu non sei venuto sempre ai nostri incontri e forse sei stato sfortunato...Ho 
          dipinto molte volte la Natività anche se sarebbe difficile farti vedere 
          adesso tanti quadri, ma quello che mi ha sempre preso non riguarda il 
          rappresentare o meno la Natività - ci sono tanti pittori che la dipingono 
          ma non per questo sono particolarmente credenti - è' il principio della 
          nascita che è centrale in tutto il mio lavoro. L'ho rappresentato anche 
          dipingendo infinite volte l'"Aurora", non è forse una nascita?; il titolo 
          del prossimo incontro è la "Nascita spirituale"; ho fatto il progetto 
          di Firenze che si chiama "La Città Nascente", non c'è nulla che mi commuova 
          quanto la nascita....quello che vi presento è un discorso che va dalla 
          nascita alla morte e non certo sulla sola morte. E' una meditazione 
          sullo svolgimento della vita umana, che, anche dopo la morte, vedo continuare 
          nella nuova nascita della reincarnazione...
          
          Livio Z. 
          Mi sono spesso domandato se Dio non sia un'invenzione necessaria dell'uomo
          
          Vittorio M.
          L'altro giorno ho sentito una conferenza su Darwin che, da quando ha 
          scoperto la teoria dell'evoluzione, è diventato sinonimo della negazione 
          di Dio. Darwin diceva invece di non avere nulla contro l'idea di un 
          Dio, ma solo di "non averne bisogno". Scoprendo, aggiungeva, che le 
          leggi del mondo sono quelle dell'evoluzione, non c'è nessun bisogno 
          di immaginare un Dio creatore.
          Lo trovo un punto di vista perlomeno limitato. Se è vero che tutto funziona 
          secondo le leggi dell'evoluzione, ci si può chiedere di dove vengono 
          queste leggi. A dire il vero, esse non fanno che aprirti uno spiraglio 
          su una incredibile, meravigliosa armonia dell'universo, un'armonia che 
          comprende infinite cose, fra cui l'evoluzione delle specie. Non dico 
          che tutto ciò sia creato da qualcuno o che esista un grande disegno, 
          ma siamo certamente lungi dal capire qualcosa di certo su una realtà 
          che ci trascende. Come però, in ognuno di noi, accanto agli aspetti 
          materiali del funzionamento del nostro corpo, sentiamo la presenza di 
          un'anima, di un centro interiore, così possiamo intuire che in tutto 
          l'universo materiale ci sia un Spirito di cui l'universo stesso sarà 
          la manifestazione. 
          Questo è un pensiero religioso che qualunque grande scienziato non può 
          che condividere. La presunzione di poter negare Dio per il solo fatto 
          di arrivare a scoprire alcuni piccoli aspetti del mondo fisico, sarebbe 
          un po' come negare l'arte, l'ispirazione di un grande artista perché 
          si è scoperto la formula chimica dei colori dei suoi quadri. 
          
          Gerardo P.
          anche l'Arca del Duomo è una forma di nascita
          
          Vittorio M
          Si, esattamente. In tutti i miei progetti c'è questo senso di aspirazione, 
          di nascita, espressi in modi diversi. Tu citi l'Arca del Duomo, con 
          la sua forma di piramide aperta e rovesciata, mentre la piramide tradizionale 
          è una forma chiusa ( era una forma di potere e quindi associata alla 
          morte, non per nulla le piramidi erano tombe) La piramide rovesciata 
          si associa invece a un'idea di apertura, come un fiore o qualcosa che 
          si apre, che nasce, mentre ciò che si chiude è qualcosa che muore.
          Ma tutto questo c'è nella vita, il sole nasce la mattina e muore la 
          sera e va bene così, e va ancora meglio che la mattina dopo rinasca 
          ancora, questa è la formidabile analogia che è alla base di ogni speranza 
          di reincarnazione. Comunque, io vi ho presentato una piccola antologica 
          di pittura e ho finito col diventare una specie di predicatore, perché 
          vi parlo dell'arte dal punto di vista dei contenuti, cosa che è molto 
          trascurata nell'arte contemporanea. Sono i contenuti della vicenda umana. 
          Come avete potuto ascoltare, vedere e condividere nel corso dei nostri 
          incontri, è stata una meditazione non svolta in astratto ma condotta 
          sul filo, fin dall'inizio, dell'eros. Nella caverna in cui viviamo, 
          per uscire bisogna trovare un'uscita, ma la luce che può aiutarci in 
          questa ricerca, la torcia che abbiamo in mano, è l'eros. Come dicevamo 
          prima, questo è vero a tutti i livelli, dall'amore per una bella ragazza 
          all'amore per Dio, è la stessa cosa anche se su piani diversi.
          
          Paolo G.
          Non so dove ho letto che si può associare Dio all'immaginazione, è una 
          parola chiave: se esiste Dio, è colui che ha osato immaginare ogni cosa.
          
          Vittorio M.
          Un Dio che ha immaginato il mondo, è questo che vuoi dire? Possiamo 
          anche concludere che siamo un pensiero di Dio, siamo un'immaginazione 
          di Dio, nulla esiste senza il suo pensiero...ma, senza andare troppo 
          lontano, direi......
          
          Gerardo P.
          ...forse siamo il suo gioco...
          
          Vittorio M.
          ...già, la sua play station...però l'idea dell'immaginazione alla base 
          della Creazione è bellissima...ci sarebbe dunque qualcuno che ha immaginato 
          l'evoluzione da cui poi l'uomo ha estratto una teoria, o che si è sbizzarrito 
          in alcuni aspetti della materia su cui hanno poi lavorato i fisici quantistici....Però 
          l'immaginazione mi fa pensare anche agli artisti. Si sa che essi, accanto 
          ad altre qualità, sono spesso narcisisti, come dei commedianti, anzi 
          dei mimi, fanno la mimica di Dio. Dio ha creato il mondo e l'artista 
          fa un quadro. In qualche modo è un creatore anche lui, ripete il gesto 
          creativo, che è il gesto di dare nascita, immaginando, creando delle 
          opere, anche se ai livelli limitati in cui ce lo permette la condizione 
          umana. C'è chi dice che così facendo l'uomo è co-creatore del mondo 
          ma li mi sembra che si perda un poco il senso delle proporzioni, anche 
          se è vero che la nostra vita, nella misura in cui si ispira all'immaginazione, 
          all'amore, al donarsi, è una continua creazione: ce n'è una, gigantesca, 
          in atto nel cosmo e ce n'è un'altra, piccina piccina, che è la nostra.
          
          Giorgio F
          Mi fai pensare a questo tuo piccolo bambino Down, come lo chiami tu, 
          con una definizione che per me è però riduttiva. In realtà permette 
          a te e permette agli altri di arrivare a comprendere tutto il cammino, 
          quindi è essenziale
          
          Vittorio M.
          ...quindi ha una sua funzione, meno male. Non è poi che usi la parola 
          Down in un senso peggiorativo. Ho già detto prima, rispondendo a Roberto, 
          come l'incontro con l'aspetto irrazionale, con l'ombra che ho personificato 
          nel bambino, mi ha portato a riequilibrare il dominio in me della razionalità. 
          La pittura è stata questo, il tirare fuori questo aspetto, ed è stata 
          per me una bella auto-terapia. Come dicevamo prima, la terapia, per 
          uno che va in analisi, è di prendere contatto con la propria ombra. 
          Io non ho fatto analisi ma l'ho fatta attraverso i quadri, e la mia 
          insistenza sull'oscurità mostra proprio un sincero attaccamento a questo 
          bambino Down...(d'altra parte, rispetto a Dio, al Sé, non siamo forse 
          Down tutti noi?)...che spero sia adesso un po' cresciuto. Se poi questa 
          esperienza serve anche agli altri, è solo positivo. Quando un pittore 
          fa una mostra, si va a vederne i quadri, magari non si vedono neanche 
          perché alle vernici c'è un sacco di gente, e poi è talvolta difficile 
          di capire i quadri moderni; allora uno legge qualcosa che ha scritto 
          il critico e che è magari ancora più difficile da capire. Nell'insieme 
          è un'esperienza abbastanza superficiale, non approfondita mentre, grazie 
          alla vostra cortesia e bontà d'animo, in tutti questi incontri vi siete 
          avvicinati a una lettura più attenta e condivisa, che poi non è neanche 
          propriamente artistica e tanto meno critica, ma che ha magari messo 
          qualche seme nel vostro animo. Sembra molto piccolo, ma sta a noi farlo 
          crescere, proprio come il bambino interiore che ho chiamato Down, ognuno 
          come può....
          
          Livio Z.
          L'arte è salvifica, in particolare la musica. Mi ricorda quel pianista, 
          che si è salvato suonando il piano...
          
          Vittorio M.
          si, quel film meraviglioso, Il Pianista, di Polianski. 
          
          Roberto chiede di vedere un quadro di G. a Panarea.
          
          Vittorio M.
          Come tutti i quadri, ha un fondo di vita vissuta, anche se io tendo 
          a portare ciò che mi accade su un altro livello. Qui ero a Panarea con 
          la mia donna che , al ritorno a Milano, dopo qualche mese mi ha lasciato. 
          Lei leggeva seduta sul muretto del patio; nel quadro c'era anche il 
          suo volto, poi il quadro l'ho ripreso tempo dopo, l'ho rifatto, il volto 
          è stato cancellato perché, dopo l'abbandono, ero in uno stato di dolore 
          e anche di risentimento. Nello stesso tempo sembra essere scesa l'oscurità 
          su una scena che era in realtà quella di un bel pomeriggio di Agosto 
          mentre, stagliandosi sul fondo scuro, la veste della donna si è tinta 
          di rosa ed è diventata più bella, impreziosendosi con dei ricami d'oro.....
          
          Gerardo P.
          Era rimasto solo un bell'involucro...
          
          Vittorio M.
          ...ecco, rimane un involucro, con una sua forma, una sua carnalità, 
          ma rimane soprattutto il dolore dell'abbandono. Il quadro si legge poi 
          sempre come metafora dell'anima che, pur trovandosi nell'oscurità, tende 
          a una rinascita aurorale, non magari nella forma di un nuovo amore ma 
          in quella della meditazione, della conoscenza. Questo stava forse scritto 
          nel piccolo libro che la donna sta leggendo.
          
          Gerardo P.
          non hai trovato altre muse ispiratrici nei tuoi viaggi?
          
          Vittorio M.
          Certo ho trovato delle donne, ma l'ispirazione è un'altra cosa. E' in 
          rapporto a quanto tu investi nella relazione con una persona. Guarda 
          Dante che ha portato questa ispirazione su un piano angelico, ha reso 
          Beatrice una manifestazione di Dio, un essere meraviglioso. In generale 
          l'ispirazione rimane però più spesso su un piano erotico o sentimentale, 
          ed è accaduto anche a me di viverla talvolta su questo piano. Ciò però 
          che mi ha più colpito e mi ha portato ad amplificare il dolore di una 
          separazione è stato di risentirla come premonizione o metafora della 
          separazione dell'anima dal corpo. Avendo conosciuto molti amori, avendone 
          vissuto ripetutamente la nascita e la fine, ho conosciuto anche molte 
          morti. Questa è la chiave di tante mie riflessioni. Ora, non c'è dubbio 
          che un amore profondamente vissuto in tutto il suo svolgimento è uno 
          dei più grandi insegnamenti per istruirci a capire le verità della vita, 
          le verità che non si imparano leggendo i libri e studiando filosofia 
          ma vivendone certi nessi fondamentali. C'è chi, in seguito a un dolore, 
          si è suicidato, altri si sono realizzati. L'amore tocca le corde più 
          profonde del nostro animo, però quello che è consumato a livello di 
          divertimento non c'entra niente con quello che invece è introiettato 
          e portato su un altro piano.
          
          Gerardo P.
          guarda quello che ha fatto Gauguin con gli amori consumati in tutta 
          la vita, ha fatto dei capolavori stupendi
          
          Vittorio M.
          Non voglio fare gerarchie fra diversi amori e tanto meno fra diversi 
          artisti. La materia prima, il fuoco, è quella...poi un artista fa una 
          cosa e un altro un'altra. Per ciò che mi riguarda, quando vivo l'amore 
          non dipingo molto, mentre viene dopo il momento del canto di dolore 
          in cui l'amore viene sublimato
          
          Livio Z.
          Tout passe, tout lasse, tout casse
          
          Vittorio M.
          però vedi... quando un rapporto si stanca e poi finisce col rompersi, 
          non ha una grande risonanza, mentre, se viene stroncato un rapporto 
          sul più bello, è come un fulmine che ti cade addosso a ciel sereno, 
          e questo crea un travaglio incredibile, mi è accaduto diverse volte, 
          direi che fa bene, uno si abitua a lavorare con i fulmini (come facevano 
          gli antichi aruspici etruschi...) mentre gli amori che non hanno questo 
          trauma vanno a finire nel tout passe ecc. oppure in una vita ordinaria, 
          anch'essa utile ma su un altro piano, una vita operativa, in cui uno 
          si sposa, fa figli, prende così cura della sua famiglia, partecipa di 
          una vita sociale, ma quando questo non è dato e l'amore viene rifiutato 
          e interrotto, allora prende un'altra linea evolutiva, non permette di 
          fare dei figli in carne ed ossa ma conduce ad altre nasacite...
          
          Gerardo P.
          Tutta la rappresentazione dei tuoi amori finiti è sempre negativa, ignorando 
          il periodo felice. Anche quella è una realtà che esiste, prima della 
          rottura e della fine terminale. C'è l'esperienza che crea intimità, 
          non c'è soltanto la fine in un rapporto, la realtà è tutto un registro 
          che dura fino alla fine, quello che si riceve da un rapporto amoroso 
          come da qualunque altra cosa, ha una valenza che ha anche dei momenti 
          positivi. Tu sei ispirato essenzialmente da questa sofferenza dovuta 
          alla rottura, però chissà quanto ti ha dato l'amore prima della rottura
          
          Vittorio M.
          Enormemente. Non ho mica detto che è valido solo quello che segue la 
          rottura. Lo è a maggior ragione la bellezza dell'amore, la sua fioritura, 
          il sentimento, il cuore, la carne, mentre tu vivi tutto questo. Ci sono 
          molti quadri che hanno tradotto questa vitalità dell'amore in forme, 
          in testimonianze pittoriche positive..ma purtroppo, ti ripeto, è quando 
          uno incontra il dolore, che questo ti scuote dalle fondamenta. Il sorriso 
          non ti scuote, ti fa venir voglia di dare un bacio, di fare l'amore, 
          di sentire la tua compagna vicina mentre, quando non ce l'hai più, senti 
          la morte nel cuore, vivi il dramma della separazione. Uno può cercare 
          di distrarsi, un' altro, come me, è portato a riflettere sul fatto che 
          il dramma della separazione non è solo quello di un amore andato male, 
          ma è la condizione umana: noi viviamo in questa terra proprio perché 
          siamo separati dal divino e, quando moriamo, siamo separati anche dal 
          corpo... 
          
          Gerardo P.
          C'è una realtà esistenziale in tutte le cose, c'è un principio e una 
          fine, gli amori, le emozioni, le vite...
          
          Vittorio M.
          Si, abbiamo parlato a lungo del principio e della fine in tutte le cose....Quando 
          ami una persona e ne sei riamato, hai un bimbo, vivi una situazione 
          felice che ti sembra dover durare per sempre. Se invece poi ti accade 
          di perderla, allora lì tocchi il fondo della questione, perché la disgrazia 
          che ti capita non è solo un caso fortuito o perfino secondario rispetto 
          alla felicità che hai vissuto, ma ti mostra l'ineluttabile corso della 
          vita: Se non fosse stata questa cosa che ti è capitata, questa donna 
          che ti ha lasciato, comunque saresti andato verso la fine dell'esperienza 
          umana, poiché tutto va verso la fine. L'amore, finché dura, ti inebria 
          con l'illusione che non sia così ma, quando finisce, ti mette appunto, 
          per un'interiore coincidenza, di fronte alla fine di tutto. E' lì che 
          nasce allora nell'uomo il bisogno di chiedersi cosa c'è dopo l'amore, 
          cosa c'è dopo la vita, e anche di testimoniarlo, nella misura in cui 
          può intuire qualcosa di questo possibile sviluppo. 
          L'uomo che ha fatto questo cammino è ormai portato a non proiettare 
          più in una donna la sua anima e anche i desideri del suo corpo, gli 
          impulsi vitali che ci invitano a vivere la vita in superficie, gioiosamente, 
          mentre nello stesso tempo servono una forza più profonda che ci spinge 
          a ricongiungerci in un'unità originaria. Il cammino ci porta a ricercare 
          ormai questa un'unità non più nell'eros, che ci è servito come una torcia 
          per trovare l'uscita dalla caverna. L'uscita è in noi stessi, l'unità 
          è in noi stessi, se troviamo e riconosciamo in noi il Sé interiore. 
          
          E' su questo che ho cercato di porre l'attenzione stasera. 
		
        il dibattito può proseguire on line scrivendoci: 
arcadelduomo@gmail.com