Nel dibattito sono intervenuti
anche: Roberto Provenzano, Paolo Manasse, Livio Zeller, Gerardo Palmieri,
Paolo Gonella, Giorgio Fedeli.
Vittorio Mazzucconi
Abbiamo percorso tutta la storia di Euridice, di Proserpina
e Psiche, che si conclude con l'anima umana che viene assunta fra gli
Dei, cioè l'anima che scopre la sua divinità. La storia potrebbe essere
finita qui, però il. discorso sulla divinità interiore è da esplorare,
perché ci apre un nuovo orizzonte. In primo luogo, dobbiamo osservare
che fino ad oggi abbiamo sempre parlato dell'anima al femminile. C'è sempre
stata una proiezione su una donna della propria anima, dando così luogo
a tuta una serie di immagini in cui l'anima è rappresentata come la donna
amata. Qualcuno ha chiesto se il discorso non poteva essere rovesciato,
come aveva infatti suggerito Jung, pensando che l'anima della donna, che
lui chiamava animus, fosse maschile. Questo è molto vero: c'è in una donna
una componente maschile; c'è in un uomo una componente femminile. E siccome
lo scopo dello sviluppo interiore,. del cammino di individuazione come
lo chiamava Jung, è quello di reintegrare il maschile e il femminile in
noi, è quindi questa la strada da percorrere.
Abbiamo quindi sempre parlato dell'anima al femminile, ma stasera ve ne
farò invece vedere il principio maschile, anche se in una proiezione non
legata al genere. Quando uno si avvicina all'Olimpo in cui viene accolta
Psiche, e comincia così a scoprire la propria divinità interiore, scopre
anche un personaggio profondo in noi, quello che nei testi esoterici viene
chiamato il Testimone, che è poi la nostra vera natura, il nostro vero
essere, al di là del ciclo delle nascite e delle morti. Questo essere,
che è un nucleo divino permanente, non agisce direttamente ma solo per
mezzo delle sue manifestazioni, che sono le reincarnazioni. Noi agiamo
come guidati da questo personaggio - chiamiamolo così - non però nel senso
che egli ci dica quello che dobbiamo fare, ma nel senso che questo personaggio
si realizza, emerge dall'inconscio, via via che le nostre azioni, le nostre
vite, le nostre personalità gli danno corpo. Più in generale, è come se
Dio si realizzasse attraverso l'opera di tutte le creature e in particolare
dell'uomo, se guardiamo in particolare alla nostra esperienza. E' un realizzarsi
nel senso che tutto è inconscio e tutto deve diventare consapevole, tutto
è oscuro e tutto deve diventare luminoso. Quando si parla del Sé, è anche
quello che gli induisti chiamano l'Atman, è anche in un certo senso quello
che i cristiani chiamano il Cristo. San Paolo diceva che non viveva più
come Paolo ma che Cristo viveva in lui. E' la stessa cosa, qualunque sia
il nome che le diamo. E' il nostro essere spirituale che si svela, o con
una rivelazione religiosa o con il cammino di successive incarnazioni,
è proprio questo Dio in noi che è appunto il Cristo, l'Atman. Quando egli
si manifesta, la nostra personalità appare molto marginale, ci rendiamo
cioè conto di essere solo degli attori sulla scena. La volta scorsa abbiamo
parlato molto di questo, dicendo che oltre agli attori c'è però il regista
e poi c'è l'autore della pièce, della commedia, e poi c'è anche qualcosa
che ha ispirato questo autore. Una scatola cinese, una dentro l'altra,
se si vuole, o qualcosa che assomiglia a una cipolla, di cui la nostra
personalità è lo strato più superficiale. Parlando di cipolla mi ricordo
una volta che qualcuno disse che noi siamo appunto come le cipolle, si
toglie uno strato e poi un altro, e poi un altro ancora. Ogni volta che
togliamo uno strato piangiamo - anche questo è vero - e, dopo averli tolti
tutti, finalmente si arriva al centro in cui non c'è niente, c'è il vuoto
di cui tante volte abbiamo parlato. Ci sono quindi molti strati sotto
la nostra personalità apparente, che dobbiamo scoprire un po' alla volta.
Ci potremmo chiedere quale di essi sarà il Sé, probabilmente il centro,
ma sarà forse più corretto pensare non a un luogo, per quanto immateriale,
ma a un processo in cui continuamente si avanza, si scopre, si soffre,
perché il cammino è doloroso.
Ci possiamo anche chiedere qual'è il rapporto di questo discorso sul
Sé con il principio maschile. Forse che il Sé è maschile? Se l'anima è
femminile e tende con tutte le sue forze al Sé, esso è percepito come
maschile e potremmo avvicinare questa attrazione a quella subita dalla
terra, intesa come elemento femminile, che ruota intorno a un sole maschile.
Ma nel momento in cui il Sé fosse finalmente raggiunto, non sarebbe certo
né maschile né femminile poiché, in quanto unità divina, comprenderà ambedue
i generi, ne costituirà il ricongiungimento.
Piuttosto che parlare in astratto di questa idea del Sé, vorrei farvi
vedere come, attraverso i quadri, ho vissuto questo tipo di esperienza.
Perché il Sé ama nascondersi, come Eraclito diceva la natura ama nascondersi,
Dio ama nascondersi. Non so se gioca a rimpiattino con noi, ma fa certamente
parte del processo della nostra evoluzione di scoprire, di svelare tutto
ciò che è profondamente nascosto. Le mie rappresentazioni del Sé non sono
affatto, come uno potrebbe immaginare, rappresentazioni di un'entità luminosa,
sfolgorante, straordinaria. Sono manifestazioni del mio essere inconscio,
il quale si dibatte nella sua oscurità, inconscia come in tutti noi, e
un po' alla volta cerca di uscirne, ma lo fa in strani modi, come vi farò
vedere. |