Dibattito
- Incontro n° 20
Ma adesso cominciamo il dibattito. Avete qualcosa da dire?
Pat Sophie G.
Tu hai accennato una volta a una diversità di approccio fra
uomo e donna, l'uomo che è più sognatore o astratto nelle
sue idee e la donna che è invece più pratica, scusandoti
però di dire delle banalità, ma io ritengo che nulla sia
banale in assoluto e che non si possano comunque separare gli aspetti
pratici, legati anche alla funzione della donna, da quelli meno pratici
o addirittura spirituali. Quanto alle figure dei quadri, io non le ho
viste come femminili e maschili, ma piuttosto come immagini che esprimono
il femminile che sento molto in te, in molte di queste figure ci sei
tu.
Ho poi trovato un vecchio libro con delle conferenze di Steiner, in
cui parlava di come la nostra anima esista come base di tutta la materializzazione.
Esiste già nella pietra, nel granello di sabbia, in un'immagine
che poi si evolve pian piano, diventando poi pesce e ogni altra creatura
in vari passaggi. Si parte così con la visione dell'intero, al
contrario di quanto noi studiamo nei libri per quanto riguarda la formazione
della vita e di conseguenza l'apparizione dell'uomo nel mondo. Lo dico
perché è proprio vicino a quello che anche tu hai detto
e che esprimevi nei tuoi primi quadri, ci sono dei mostri, c'è
il momento della catastrofe, i passaggi che si condensano e fissano
poi nelle pietre, successivamente nei vegetali ecc.
Ed è una cosa bella perché dimostra che ogni cosa che
noi diciamo o facciamo, anche qui fra di noi in queste serate, si collega
a un mondo remoto e si diffonde magari in una maniera capillare...fa
bene, insomma!
Vittorio M.
...e poi soprattutto si congiunge a quello che Steiner e molti altri
filosofi, veggenti e mistici hanno sempre detto e che è bello
ripetere, anche senza saperlo. Se si guarda alla verità, essa
ha sempre lo stesso suono come la campana di bronzo di un antico detto
cinese. Se invece non si guarda alla verità ma all'effimero,
ci si chiederà di essere originale, di proporre qualcosa di nuovo.
In realtà il vero nuovo, il nuovo nascente è anche profondamente
antico, perché è perenne. Quello che è veramente
nutriente, originale, vivo c’è sempre stato e lo si ritrova
se ci si riavvicina alla fonte interiore.
A proposito di quello che poi dici su come io rappresento il maschile
e il femminile, devo dire che essi sono in realtà due parti di
me: i miei quadri sono come i sogni in cui tutti i personaggi sono delle
parti di noi stessi, proiettate ed identificate nell'immagine di persone….se
ci fate caso, provate a descrivere un sogno e vedrete che tutti i personaggi
che sono apparsi sono ognuno una parte di noi stessi. Il sogno è
un regista che inscena questa commedia: le persone che sembrano reali
sono solo delle sembianze prestate per esprimere una parte di voi che,
da un certo punto di vista, si associa con queste sembianze.
Sappiamo poi tutti che il maschile e il femminile sono due aspetti
che ognuno di noi deve imparare a integrare nella propria personalità.
E' anzi un punto essenziale della nostra evoluzione.
Quello che poi hai detto, di aver trovato in Steiner delle cose che
ti fanno pensare ai miei quadri, mi fa ricordare che, quando tentai
di leggere da giovane questo straordinario veggente, non capivo niente.
Mi è accaduto poi di scorrere qualche pagina 30-40 anni dopo
e allora l’ho capito: per capire, per fare entrare in noi le cose,
bisogna che il nostro vaso sia diventato abbastanza capiente da poterle
contenere. Una cosa ancor più vera è poi che si capisce
solo ciò che già si conosce.
Gerardo P.
Perché, Aviva, non ci parli dell’anima femminile, della
rappresentazione femminile dell’anima?…
.
Vittorio M.
Aviva, devo tirarti le orecchie…ho trovato un libro di Jung in
cui c’è proprio quella citazione di cui abbiamo discusso
in un incontro. Si parlava in essa di un piccolo angolo di un tappeto,
con un ghirigoro indecifrabile, che Jung paragonava a un sogno. Non
se ne capisce il senso mentre questo sarebbe evidente se lo si potesse
collegare al disegno di insieme dell'intero tappeto.
Aviva S.
Quando una persona sogna non riesce...è già difficile
ricordare il sogno, figuriamoci l'insieme dei sogni. Metterli insieme
è impossibile a meno che i diversi sogni non siano seguiti in
una terapia.
Vittorio M.
E' per me una grande fortuna di poter invece mettere insieme tutti i
miei quadri-sogno e ne è certo risultata per me un'auto-terapia.
A parte comunque questo caso particolare e anche il riferimento a Jung,
non vorrei parlare solo di sogni ma di un tutto. Noi ne viviamo un piccolo
particolare ed abbiamo proprio il compito di collegarlo e integrarlo
all'unità del tutto. Ci dobbiamo arrivare: tutte le nostre vite,
i nostri casi, le nostre storie, sono dei piccoli particolari, da riunire
come i sogni o come i particolari del tappeto.
Mi viene anche un altro pensiero: non è che le nostre vite e
tutta la storia dell'uomo non siano che sogni?Anche se fosse così,
dovremmo appunto integrarli nel grande disegno: che esso sia magari
il sogno di Dio?
Aviva S.
dobbiamo chiederlo a Pessoa, il poeta portoghese
Vittorio M.
Non lo conosco
Aviva S.
Ti consiglio di leggere qualche sua poesia, perché questo tuo
pensiero si avvicina al pensiero di Pessoa, che è un poeta molto
profondo
Vittorio M,
Questo è molto bello e si avvicina a quanto dicevo a Pat Sophie,
cioè lo scoprire che un pensiero si avvicina a quello di un altro
è la cosa più bella che ci sia. Un uomo pensa di essere
un'isola, ma tutte le isole sono bagnate dallo stesso mare
Gerardo P.
Io penso invece che essere paragonati ad altri, anche a livello creativo,
non sia un complimento. Io penso che la propria individualità
non sia un'isola ma una caratteristica di creatività propria,
personale, che non deve somigliare a nessun altro. Un mio amico artista
si offenderebbe se gli dicessi che la sua opera mi fa pensare a quella
di un altro artista.
Vittorio M.
Mi offenderei in effetti anch'io se il richiamo fosse superficiale,
come il volermi incollare un'etichetta, ma non se si rivela un'affinità
profonda, spirituale. Di questa sarei e sono anzi felice. Tornando all'individualità,
il problema è però più complesso. Io penso che
il cammino dell'evoluzione spirituale passi attraverso una rinuncia
a se stesso, non aspettando che questo avvenga in ogni modo con la morte,
ma facendolo da vivo. Bisogna abbandonare l'ego, rendendosi conto che
esso è funzionale al compito che dobbiamo svolgere nella vita,
mentre il nostro vero essere non è la piccola personalità,
ma una personalità ben più grande. E' come essere un attore,
io sono un attore, recito una parte, ma è un altro il regista,
un altro colui che ha scritto la parte, senza parlare dello spirito
che l'ha ispirato, che ha ispirato uno Shakespeare. Noi dobbiamo quindi
raggiungere la consapevolezza di essere Shakespeare, anzi il suo ispiratore,
mentre l'attore oggi recita una parte, domani ne recita un'altra. E'
in questo senso che pensiamo alla reincarnazione, con cui il nostro
essere assume e recita diverse parti.
Gerardo P.
Noi individui siamo gli interpreti o i creatori di questa memoria universale?
Vittorio M.
Siamo l'uno e l'altro: c'è un aspetto dell'individualità,
l'egoismo, l'ego, di cui dobbiamo liberarci, tant'è vero che
quando uno ama profondamente esce da sé stesso, pensa solo alla
persona amata, e quando un artista fa un'opera veramente di cuore, non
pensa più a sé stesso, alle sue teorie, sacrifica ogni
cosa, è tutto al servizio di ciò che sente profondamente.
Questo è il senso della parola del Vangelo: "Qual'è
la cosa più necessaria?" non è certo avere una forte
personalità, con tutti i tributi che essa ti chiede, ma è
"amare Dio con tutta l'anima, con tutte le forze...", una
cosa che sembra molto astratta...io amo gli esseri umani, amo la mia
donna, i miei figli, amo anche me stesso.... e invece, se vai in fondo
a questa idea, considerando che tutto ciò che ami è temporaneo
e irreale e che la sola realtà vera è Dio, capisci che
amare Dio vuol dire aderire a questa profonda realtà, a questa
certezza, e fare questo cammino che ci porta a essere Dio, a diventare
Dio, nelle forme possibili, una volta un sassolino, una volta un albero,
un animale o un essere umano... speriamo che le forme migliorino e che
giungiamo a forme sempre più pure o anche all'assenza di una
forma. Ora, l'individualità è un passaggio necessario
per compiere questo cammino, ma non deve chiudersi in se stessa, nel
culto della propria personalità, come se fosse il tutto. Essa
può invece costituire un grosso ostacolo per avvicinarsi al tutto.
Da un altro punto di vista, però, è vero anche il discorso
contrario, cioè che quando un regista ti chiede di recitare una
parte, se sei un attore così e così, si sente che l'hai
imparata a memoria, ma se invece sei una personalità e reciti
questa parte con intensità, ..sembra vero, la gente è
commossa, un grande attore solo con un gesto, solo con una parola ti
dice tutto, un grande scrittore, lo capisci dalla prima frase di un
libro. Avete letto le memorie di Adriano di Yourcenar? Leggi la prima
frase, caspita, che scrittrice! Lo capisci subito. Un regista è
molto contento quando c'è un attore con le palle che veramente
si esprime con tutta l'anima e ci crede, e oso pensare che anche Dio
ci abbia messo nel mondo perché siamo interamente e fortemente
noi stessi.
Come mettere d'accordo questi due aspetti, da una parte l'ostacolo della
personalità e dall'altra il suo valore? Una parte di noi deve
crederci completamente, l'attore deve essere così bravo da calarsi
anima e corpo nella sua parte e dimenticarsi di essere tizio o caio,
in quel momento è Re Lear, è Amleto, è interamente
il personaggio che recita. Un'altra parte di noi deve invece prendere
le distanze e capire che è solo un ruolo illusorio che recita,
che potrebbe anche recitarne un'altro e un'altro ancora. Se cioè
si pone su un piano coscienziale, non è più solo quell'attore
più o meno figurante, più o meno talentuoso che credeva
di essere, ma è anche, in nuce, il regista, il grande regista.
Noi siamo allievi registi in qualche modo e se non impariamo questo
in due, tre, cinquecentosessanta vite come il Buddha, cinquantamila,
un milione come me, continuiamo a vivere come fantasmi, a fare più
o meno i figuranti in una grande commedia di cui non conosciamo nulla
al di fuori della nostra particina..
Aviva S.
...ma fra il regista e l'attore, dove si colloca l'anima?
Vittorio M.
Non saprei proprio risponderti...l'anima è in tutto, l'anima
è nel soffio che ispira chi ha scritto la commedia, è
nel regista che la mette in scena, è nell'attore che la personifica,
è nello spettatore...L'anima è un' essenza universale
di cui ognuno di noi ha non dico un pezzettino - l'anima non può
essere fatta a pezzettini - ma ha una valenza, un piccolo aspetto dell'anima
si collassa nella tua vita, nella tuia opera, Allora, in un uomo di
grandissimo cuore, di grandissimo talento, di grandissima capacità
di amare, una grande parte dell'anima intensamente vivrà in lui.
In uno invece che farà una vita mediocre, che non avrà
idee, intensità,...diciamo che non tutta l'anima si esprimerà.
Tutti quanti abbiamo bisogno di esprimerla ma ci sono tante forme...dobbiamo
imparare che nella nostra vita eterna dobbiamo recitare infinite parti,
cominciando dalle più piccole. Nello stesso modo in cui la verità
va vista da tanti punti di vista per essere compresa, così le
nostre vite saranno come altrettanti punti di vista di una sola verità
centrale. Quindi come dire dov'è l'anima? L'anima è centrale,
è tutto in tutto
Gerardo P.
Certo il progetto, il testo è unico, poi ognuno avrà una
parte determinata. Io non credo che un individuo possa scegliere quale
parte attribuirsi nella vita, perché il grande architetto dell'universo
ha già pianificato una certa struttura e poi è l'anima
che si manifesta individualmente in modo diverso in ognuno di noi, però
non ci può essere una mia scelta di quale parte io possa interpretare.
Vittorio M.
Dovresti parlarne con quel signore che si chiamava Platone, non è
potuto venire stasera perché è morto...ma diceva che,
prima di nascere, le anime sono poste davanti a tanti simulacri, uno
per esempio di un re, l'altro di un mendicante - andando un po' agli
estremi - per scegliere la vita che desiderano. Non si parla di una
scelta razionale ma di un processo misterioso che è adombrato
da un' interpretazione poetica, ma perché, per quale motivo l'anima
continua a reincarnarsi? Per vivere delle esperienze che possono guarirla
dalle deformità che noi tutti esser umani abbiamo. Se non fossimo
deformi e oscuri non saremmo nati, saremmo angeli, saremmo in cielo..la
nostra esistenza è una malattia, e la malattia che cos'è
se non un processo di guarigione? Quindi c'è questa scelta, a
livello subliminale, a livello inconscio, non so... Quanto al disegno
dell'universo, hai paragonato Dio a un architetto, ti ringrazio del
paragone... Ti parlerò quindi del mio mestiere: quando faccio
un progetto, scelgo i materiali che sono inerti ma io penso anche per
loro, poi penso a tante altre cose, alle funzioni, agli spazi, alla
bellezza della costruzione ecc. Immagino però che un architetto
sublime non dovrebbe lavorare con dei materiali inerti ma con dei materiali
viventi, creativi, cioè dovrebbe dire al mattone di non mettersi
lì, incastrato per sempre, no... è attraverso di te che
vorrei vedere formarsi l'idea della costruzione, cioè vorrei
che il mattone si creasse da solo, che da un po' di argilla impastata
giungesse all'idea, all'espressione.
Il paragone che abbiamo fatto con gli attori è lo stesso di quello
dei materiali. Il grande disegno è di permettere a tutte le creature,
dalle più modeste alle più grandi di costruirsi liberamente,
creativamente, sfruttando le proprie potenzialità, certo attraverso
l'evoluzione naturale, ma c'è un disegno di insieme? Che cos'è,
un progetto, un intento, un'armonia? Tutto quello che si fa, coscientemente
o incoscientemente, porta sempre alla realizzazione di questo grande
insieme, e il senso di questo grande insieme penso appunto che sia il
ritorno all'unità con Dio.
Guardando adesso i quadri, c'è qualcosa che vorreste dire?
Luisa G.
Mi ha colpito il quadro della donna rosa, "La goccia", e quando
hai detto che questa donna diventa essa stessa goccia. Non avevo capito
dapprima che fosse una goccia. Poi. parlando della divisione, con il
quadro del "cielo che mi cade addosso" che hai mostrato stasera,
mi viene in mente la "goccia che fatto traboccare il vaso"...
Vittorio M.
...c'è stato anche quello, qualcosa che ha fatto traboccare il
vaso, ma non è forse questo il punto.... Noi siamo soggetti di
fronte ad oggetti, questa è la nostra normale condizione. C'è
però un certo stadio, a livello mistico, in cui si vive una fusione
fra soggetto e oggetto. L'ideale verso cui noi andiamo nel nostro lavoro
interiore, è quello di togliere ogni differenza fra soggetto
e oggetto e anche fra essi e il campo in cui si situano, cioè
io, tu, lo spazio in cui siamo e anche il tempo devono giungere ad essere
uniti. Istintivamente, molti quadri esprimono questo: se io dipingo
un artista che sta scolpendo il busto di una donna (penso a un quadro
di tanti anni fa 1989.01 L'artista incontro n. 15) il braccio della
scultura e quello dell'artista mi vengono fuori come se fossero uno
solo e fossero anche il mio braccio: se dipingo una donna che va con
un vaso a prendere l'acqua alla fontana,( 1980.07 La fonte, nello stesso
incontro la testa della donna diventa il vaso, il gesto che lei fa è
un getto d'acqua. Così nello stesso modo, la donna rosa che vedi
nel quadro, che è sotto una cascata d' acqua, diventa acqua anch'essa,
diventa una goccia
Gerardo P.
una goccia che tende verso il cielo. Mi sembra che, più che cadere,
tenda con le braccia e con gli occhi al cielo
Vittorio M.
Il senso dell'andare in su o in giù, in su e in giù, in
mille modi, è proprio qualcosa da assimilare se vogliamo capire
la vita. Quante cose in essa vanno dall'alto in basso o dal basso in
alto, per esempio proprio l'acqua, che scende come pioggia o sale come
vapore acqueo, o come la linfa di un albero che sale dalle radici alle
fronde, mentre la luce scenderà dall'alto...Se guardiamo poi
alla figura femminile del quadro, è bella, è rosea, si
identifica con l'acqua, l'acqua è la purezza, scende dal cielo,
sale al cielo. Questo quadro (1999.11.06 La goccia) è stato fatto
in due tempi e dalla prima edizione in cui veniva espressa questa unità
primordiale, verginale, si giunge nella seconda a una divisione, in
cui una parte di lei, o di me - parlo sempre della mia anima - si aggira
nell'oscurità, un'altra parte si rovescia...vedi che è
la stessa figura ma rovesciata?...lo stato di turbamento, di disorientamento
è evidente - non occorre spiegarlo, basta guardare fuori, a quanto
accade nel mondo, a destra e a sinistra, come nel quadro - mentre quello
che accade nel centro non è nel mondo, è in ognuno di
noi, se, come e quando può "nascere" in noi.
Gerardo P.
Avevamo interrotto Aviva su Pessoa. Come mai ne avevi parlato?
Aviva S.
Guarda, Vittorio ha parlato del regista e degli attori pur non conoscendo
Pessoa, come se stesse descrivendo il pensiero di questo poeta. E' stato
veramente molto bello perché hai iniziato a spiegare un tuo pensiero
e praticamente hai spiegato un po' come scrive questo poeta, che ha
scritto anche delle cose in prosa e usa gli eteronimi. Essi sono degli
alter ego con cui lui scrive dei racconti, dei libri, che firma con
i suoi eteronimi, quindi con un altro attore che vive dell'abilità
del regista che è lui. Se uno va a Lisbona, proprio nella piazza
principale, c'è il suo busto, seduto a un bar
Gerardo P.
col, cappello, stupendo, E' degli inizi del Novecento, no?
Danilo G.
Stavo pensando che si può credere che si nasce Dio e si vive
per duplicare, ricercare questa esperienza divina, inconscia
Vittorio M.
E' esattamente così. Noi nasciamo Dio nel senso che Dio è
all'origine dell'universo e noi, nel momento della nascita di un bambino
che, in sé, è molto lontano da Dio perché è
uno dei tanti esperimenti per unire lo spirito alla materia (parlando
di esperimenti non vorrei però diminuire la sacralità
della nascita) riviviamo nella nascita il momento della Creazione. In
questo senso si può dire che nasciamo Dio. I bambini hanno l'innocenza,
la purezza dell'origine, che poi perdono, via via che diventano uomini.
Se ci pensi, un bambino già nel feto ripercorre tutti gli stati
evolutivi dell'uomo, cominciando dalla formazione della prima cellula,
la sua suddivisione e moltiplicazione, e poi continua questa evoluzione
dopo la nascita, attraverso i primi movimenti. Il bambino comincia a
gattonare, poi a camminare, poi a dire le prime parole e ad apprendere
la cultura umana, giungendo infine ad essere un uomo del nostro tempo.
E' qui che si trova, ahimè, molto lontano da Dio ed è
da qui che comincia poi il cammino cosciente per riavvicinarsi a Dio,
non più solo in virtù di un'evoluzione automatica, ma
con l'assunzione del compito sacro della vita, di tutte le vite.
Danilo G.
E qui si ritorna a questa fonte con la fine terrena
Vittorio M.
Beh, si ritorna...Non credo che il ritorno si compia così facilmente
con la morte e che ci si ritrovi in paradiso, il cammino sarà
lungo...
Danilo G.
Non si può fare un ragionamento prettamente terreno, perché
i circuiti di santificazione sono diversi
Elisa M.
Stavo pensando a tutta questa frammentazione, cioè che all'interno
dell'individuo coesistono più personalità, più
individui, poi a sua volta l'individuo si incarna, secondo alcune credenze,
e vive tante vite, e quindi stavo cercando di rappresentarmi tutto ciò
quasi come una funzione matematica, qualcosa che potesse descrivere
tutta questa complessità. Non so se è rappresentabile,
cerco di farmi un'immagine di tutta questa complessità...
Vittorio M.
un modello matematico
Pat Sophie G.
I frattali danno un'idea, sono geometria pura, un'architettura sublime,
sembra quasi un suono e sono ripetuti all'infinito praticamente. E'
forse l'unico modo per riuscire a capire l'integrazione fra quello che
è lo spirito e la rappresentazione materiale attraverso la matematica.
E' difficile spiegarli e molto più facile guardarli. Se tu li
guardi da una parte o da un'altra, sotto diverse luci, tu vedi una forma
continuamente mutevole ma sempre perfetta., organica, all'infinito.
Senti l'anima...
Gaetano M.
come partendo da un elemento geometrico molto semplice, si crea una
composizione che sembra molto complessa ma che ripete sempre lo stesso
elemento, anche a scale diverse.
Vittorio M.
comunque, per rispondere a Elisa che cercava un modello matematico,
mi sembra che il mondo sia
un modello matematico, in tutto e in ogni sua parte, tu sei un modello
matematico. Io penso che, che, se tu guardi una piccola cosa, prima
parlavo di un sasso, di un albero, di un fiore, se tu veramente approfondisci
questo, è come un libro in cui puoi leggere tutto. Non è
possibile che il tutto, Dio, l'universo, siano qualcosa di totalmente
diverso da questo sasso. Se, in qualche modo, un sasso è un'immagine
di Dio, si può dire che Dio stesso è come un sasso. ,
può sembrare una corbelleria. Si preferisce pensare che una rosa
è l'opera di un Dio creatore che ha prodotto questo o quest'altro,
oppure che è il frutto del caso? No, è uno dei modi in
cui tutta la materia cerca di ritornare allo stato spirituale, allo
stato divino. Anche i sassi partecipano a questo lavoro, anche le piante,
anche noi. Tu sei sulla stessa strada, sei un modello dell'universo,
come ogni altra cosa.
Giulio R.
Ma non puoi contenere tutto questo in un modello matematico. C'è
una contrapposizione interna
Vittorio M.
...o c'è una matematica trascendentale, a cui si arriverà...molto
più modestamente ogni mio quadro è un modello in qualche
modo. Io non sono uno di quei pittori che dicono faccio questo o quest'altro
io quando l'ho fatto non volevo dire niente, ma appunto per questo ho
fiducia che una manifestazione spontanea, un po' come i Ching, una cosa
apparentemente casuale sia collegata a tutto un insieme..io li considero
come basi di una lettura di fenomeni che trascendono di gran lunga il
quadro, come un modello. Abbiamo visto per esempio la lettura del salire
e scendere....
Giulio R.
Quando parliamo di emozioni - il quadro esprime e suscita emozioni,
è difficile, anzi impossibile modellizzarlo, sarebbe come fare
una curva gaussiana e dire: questo sentimento è dentro la curva,
quest'altro è fuori della curva, mi sembra anche piuttosto banale...
Vittorio M.
Mi permetterete di parlare un momento di un mio progetto, l'edificio
del Fiore nel centro di Firenze (La Città Nascente, vedi Seminario
"Il Lavoro Spirituale", incontro n.1) perché questo
concetto di spirale, che associo sempre a un impulso di vita, di amore
- per esempio disegno i seni delle donne come delle spirali - viene
qui trasferito su un piano costruttivo e anche geometrico. C'era una
volta qui un amico musicista che mi chiedeva se le spirali dei quadri
io le costruivo geometricamente. Io gli ho risposto: no, però
ti farò vedere un giorno la spirale del progetto del Fiore di
Firenze che è proprio una costruzione matematica, e quindi anche
armonica. Non è che un quadro io possa trasferirlo nella matematica,
ma un quadro, un progetto, un pensiero, una musica, una persona, un
fiore, una pianta, sono tutti frattali in qualche modo, se non ho capito
male, sono tutti indici di una sola grande realtà, e se la matematica
non ci arriva, è perché la matematica non ha ancora gli
strumenti per arrivarci. Prova a spiegare una sinfonia di Mozart con
la matematica, eppure dovresti farlo: è matematica
Giulio R.
Sono perfettamente d'accordo, però l'espressione di un sentimento
che si è manifestato...io, a questo punto, sono disponibile a
pensare che possa essere contenuto in un modello ma, fino a quando non
si esprime attraverso qualcosa di consistente non è contenibile.
Consistente significa qualcosa di realizzato: la spirale del progetto
di Firenze è qualcosa di realizzato, una sinfonia di Mozart è
qualcosa di realizzato e quindi può essere contenibile, prima
non lo era.
Vittorio M.
Ma certo, prima parlavamo dell'anima, la si percepisce solo in quanto
è realizzata, in te, in me, in qualunque cosa, altrimenti non
si può parlare di un'anima, di uno spirito. Il solo modo di percepire
lo spirituale è la realtà, la realtà poetica ma
anche la realtà umana, la realtà della sofferenza, del
lavoro, quella è la vera realtà. Quante volte l'ho detto
nell'altro Seminario sul "Lavoro Spirituale", che significa
il Lavoro materiale, però fatto con consapevolezza. Non c'è
altro modo, non si può parlare di anima in generale. Tuttavia
non si può neanche affermare che, se non la vediamo, vuol dire
che non esiste. Eh no, perché se togliamo da noi l'anima, quello
che ci anima, penso, quello che ci illumina, la nostra vita stessa,
rimaniamo ipso facto dei cadaveri, della polvere, niente. E quando poi
noi diveniamo in effetti dei cadaveri, della polvere, pensare invece
che la parte essenziale che si è espressa in noi continua a vivere
seguendo un suo destino, anzi una sua meravigliosa vocazione, è
un pensiero così bello, che auguro proprio alla matematica e
a noi tutti di farlo proprio.
Parliamo però sempre di problemi generali, che è molto
interessante, ma vediamo di ancorare adesso il discorso a qualche immagine
in particolare: questa, per esempio, del Giardino dell'Eden.
Qual è la vostra idea sul muro che si vede nel quadro? L'avevi
visto Aviva, o sei arrivata dopo?