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C.1.2.25


Indice ARTE E PSICHE

 
Dibattito - Incontro n° 20

Ma adesso cominciamo il dibattito. Avete qualcosa da dire?

Pat Sophie G.

Tu hai accennato una volta a una diversità di approccio fra uomo e donna, l'uomo che è più sognatore o astratto nelle sue idee e la donna che è invece più pratica, scusandoti però di dire delle banalità, ma io ritengo che nulla sia banale in assoluto e che non si possano comunque separare gli aspetti pratici, legati anche alla funzione della donna, da quelli meno pratici o addirittura spirituali. Quanto alle figure dei quadri, io non le ho viste come femminili e maschili, ma piuttosto come immagini che esprimono il femminile che sento molto in te, in molte di queste figure ci sei tu.
Ho poi trovato un vecchio libro con delle conferenze di Steiner, in cui parlava di come la nostra anima esista come base di tutta la materializzazione. Esiste già nella pietra, nel granello di sabbia, in un'immagine che poi si evolve pian piano, diventando poi pesce e ogni altra creatura in vari passaggi. Si parte così con la visione dell'intero, al contrario di quanto noi studiamo nei libri per quanto riguarda la formazione della vita e di conseguenza l'apparizione dell'uomo nel mondo. Lo dico perché è proprio vicino a quello che anche tu hai detto e che esprimevi nei tuoi primi quadri, ci sono dei mostri, c'è il momento della catastrofe, i passaggi che si condensano e fissano poi nelle pietre, successivamente nei vegetali ecc.
Ed è una cosa bella perché dimostra che ogni cosa che noi diciamo o facciamo, anche qui fra di noi in queste serate, si collega a un mondo remoto e si diffonde magari in una maniera capillare...fa bene, insomma!

Vittorio M.
...e poi soprattutto si congiunge a quello che Steiner e molti altri filosofi, veggenti e mistici hanno sempre detto e che è bello ripetere, anche senza saperlo. Se si guarda alla verità, essa ha sempre lo stesso suono come la campana di bronzo di un antico detto cinese. Se invece non si guarda alla verità ma all'effimero, ci si chiederà di essere originale, di proporre qualcosa di nuovo. In realtà il vero nuovo, il nuovo nascente è anche profondamente antico, perché è perenne. Quello che è veramente nutriente, originale, vivo c’è sempre stato e lo si ritrova se ci si riavvicina alla fonte interiore.
A proposito di quello che poi dici su come io rappresento il maschile e il femminile, devo dire che essi sono in realtà due parti di me: i miei quadri sono come i sogni in cui tutti i personaggi sono delle parti di noi stessi, proiettate ed identificate nell'immagine di persone….se ci fate caso, provate a descrivere un sogno e vedrete che tutti i personaggi che sono apparsi sono ognuno una parte di noi stessi. Il sogno è un regista che inscena questa commedia: le persone che sembrano reali sono solo delle sembianze prestate per esprimere una parte di voi che, da un certo punto di vista, si associa con queste sembianze.

Sappiamo poi tutti che il maschile e il femminile sono due aspetti che ognuno di noi deve imparare a integrare nella propria personalità. E' anzi un punto essenziale della nostra evoluzione.
Quello che poi hai detto, di aver trovato in Steiner delle cose che ti fanno pensare ai miei quadri, mi fa ricordare che, quando tentai di leggere da giovane questo straordinario veggente, non capivo niente. Mi è accaduto poi di scorrere qualche pagina 30-40 anni dopo e allora l’ho capito: per capire, per fare entrare in noi le cose, bisogna che il nostro vaso sia diventato abbastanza capiente da poterle contenere. Una cosa ancor più vera è poi che si capisce solo ciò che già si conosce.

Gerardo P.
Perché, Aviva, non ci parli dell’anima femminile, della rappresentazione femminile dell’anima?…
.
Vittorio M.

Aviva, devo tirarti le orecchie…ho trovato un libro di Jung in cui c’è proprio quella citazione di cui abbiamo discusso in un incontro. Si parlava in essa di un piccolo angolo di un tappeto, con un ghirigoro indecifrabile, che Jung paragonava a un sogno. Non se ne capisce il senso mentre questo sarebbe evidente se lo si potesse collegare al disegno di insieme dell'intero tappeto.

Aviva S.
Quando una persona sogna non riesce...è già difficile ricordare il sogno, figuriamoci l'insieme dei sogni. Metterli insieme è impossibile a meno che i diversi sogni non siano seguiti in una terapia.

Vittorio M.
E' per me una grande fortuna di poter invece mettere insieme tutti i miei quadri-sogno e ne è certo risultata per me un'auto-terapia. A parte comunque questo caso particolare e anche il riferimento a Jung, non vorrei parlare solo di sogni ma di un tutto. Noi ne viviamo un piccolo particolare ed abbiamo proprio il compito di collegarlo e integrarlo all'unità del tutto. Ci dobbiamo arrivare: tutte le nostre vite, i nostri casi, le nostre storie, sono dei piccoli particolari, da riunire come i sogni o come i particolari del tappeto.
Mi viene anche un altro pensiero: non è che le nostre vite e tutta la storia dell'uomo non siano che sogni?Anche se fosse così, dovremmo appunto integrarli nel grande disegno: che esso sia magari il sogno di Dio?

Aviva S.
dobbiamo chiederlo a Pessoa, il poeta portoghese

Vittorio M.
Non lo conosco

Aviva S.
Ti consiglio di leggere qualche sua poesia, perché questo tuo pensiero si avvicina al pensiero di Pessoa, che è un poeta molto profondo

Vittorio M,
Questo è molto bello e si avvicina a quanto dicevo a Pat Sophie, cioè lo scoprire che un pensiero si avvicina a quello di un altro è la cosa più bella che ci sia. Un uomo pensa di essere un'isola, ma tutte le isole sono bagnate dallo stesso mare

Gerardo P.
Io penso invece che essere paragonati ad altri, anche a livello creativo, non sia un complimento. Io penso che la propria individualità non sia un'isola ma una caratteristica di creatività propria, personale, che non deve somigliare a nessun altro. Un mio amico artista si offenderebbe se gli dicessi che la sua opera mi fa pensare a quella di un altro artista.

Vittorio M.
Mi offenderei in effetti anch'io se il richiamo fosse superficiale, come il volermi incollare un'etichetta, ma non se si rivela un'affinità profonda, spirituale. Di questa sarei e sono anzi felice. Tornando all'individualità, il problema è però più complesso. Io penso che il cammino dell'evoluzione spirituale passi attraverso una rinuncia a se stesso, non aspettando che questo avvenga in ogni modo con la morte, ma facendolo da vivo. Bisogna abbandonare l'ego, rendendosi conto che esso è funzionale al compito che dobbiamo svolgere nella vita, mentre il nostro vero essere non è la piccola personalità, ma una personalità ben più grande. E' come essere un attore, io sono un attore, recito una parte, ma è un altro il regista, un altro colui che ha scritto la parte, senza parlare dello spirito che l'ha ispirato, che ha ispirato uno Shakespeare. Noi dobbiamo quindi

raggiungere la consapevolezza di essere Shakespeare, anzi il suo ispiratore, mentre l'attore oggi recita una parte, domani ne recita un'altra. E' in questo senso che pensiamo alla reincarnazione, con cui il nostro essere assume e recita diverse parti.

Gerardo P.
Noi individui siamo gli interpreti o i creatori di questa memoria universale?

Vittorio M.
Siamo l'uno e l'altro: c'è un aspetto dell'individualità, l'egoismo, l'ego, di cui dobbiamo liberarci, tant'è vero che quando uno ama profondamente esce da sé stesso, pensa solo alla persona amata, e quando un artista fa un'opera veramente di cuore, non pensa più a sé stesso, alle sue teorie, sacrifica ogni cosa, è tutto al servizio di ciò che sente profondamente.
Questo è il senso della parola del Vangelo: "Qual'è la cosa più necessaria?" non è certo avere una forte personalità, con tutti i tributi che essa ti chiede, ma è "amare Dio con tutta l'anima, con tutte le forze...", una cosa che sembra molto astratta...io amo gli esseri umani, amo la mia donna, i miei figli, amo anche me stesso.... e invece, se vai in fondo a questa idea, considerando che tutto ciò che ami è temporaneo e irreale e che la sola realtà vera è Dio, capisci che amare Dio vuol dire aderire a questa profonda realtà, a questa certezza, e fare questo cammino che ci porta a essere Dio, a diventare Dio, nelle forme possibili, una volta un sassolino, una volta un albero, un animale o un essere umano... speriamo che le forme migliorino e che giungiamo a forme sempre più pure o anche all'assenza di una forma. Ora, l'individualità è un passaggio necessario per compiere questo cammino, ma non deve chiudersi in se stessa, nel culto della propria personalità, come se fosse il tutto. Essa può invece costituire un grosso ostacolo per avvicinarsi al tutto.
Da un altro punto di vista, però, è vero anche il discorso contrario, cioè che quando un regista ti chiede di recitare una parte, se sei un attore così e così, si sente che l'hai imparata a memoria, ma se invece sei una personalità e reciti questa parte con intensità, ..sembra vero, la gente è commossa, un grande attore solo con un gesto, solo con una parola ti dice tutto, un grande scrittore, lo capisci dalla prima frase di un libro. Avete letto le memorie di Adriano di Yourcenar? Leggi la prima frase, caspita, che scrittrice! Lo capisci subito. Un regista è molto contento quando c'è un attore con le palle che veramente si esprime con tutta l'anima e ci crede, e oso pensare che anche Dio ci abbia messo nel mondo perché siamo interamente e fortemente noi stessi.
Come mettere d'accordo questi due aspetti, da una parte l'ostacolo della personalità e dall'altra il suo valore? Una parte di noi deve crederci completamente, l'attore deve essere così bravo da calarsi anima e corpo nella sua parte e dimenticarsi di essere tizio o caio, in quel momento è Re Lear, è Amleto, è interamente il personaggio che recita. Un'altra parte di noi deve invece prendere le distanze e capire che è solo un ruolo illusorio che recita, che potrebbe anche recitarne un'altro e un'altro ancora. Se cioè si pone su un piano coscienziale, non è più solo quell'attore più o meno figurante, più o meno talentuoso che credeva di essere, ma è anche, in nuce, il regista, il grande regista. Noi siamo allievi registi in qualche modo e se non impariamo questo in due, tre, cinquecentosessanta vite come il Buddha, cinquantamila, un milione come me, continuiamo a vivere come fantasmi, a fare più o meno i figuranti in una grande commedia di cui non conosciamo nulla al di fuori della nostra particina..

Aviva S.
...ma fra il regista e l'attore, dove si colloca l'anima?

Vittorio M.
Non saprei proprio risponderti...l'anima è in tutto, l'anima è nel soffio che ispira chi ha scritto la commedia, è nel regista che la mette in scena, è nell'attore che la personifica, è nello spettatore...L'anima è un' essenza universale di cui ognuno di noi ha non dico un pezzettino - l'anima non può essere fatta a pezzettini - ma ha una valenza, un piccolo aspetto dell'anima si collassa nella tua vita, nella tuia opera, Allora, in un uomo di grandissimo cuore, di grandissimo talento, di grandissima capacità di amare, una grande parte dell'anima intensamente vivrà in lui. In uno invece che farà una vita mediocre, che non avrà idee, intensità,...diciamo che non tutta l'anima si esprimerà. Tutti quanti abbiamo bisogno di esprimerla ma ci sono tante forme...dobbiamo imparare che nella nostra vita eterna dobbiamo recitare infinite parti, cominciando dalle più piccole. Nello stesso modo in cui la verità va vista da tanti punti di vista per essere compresa, così le nostre vite saranno come altrettanti punti di vista di una sola verità centrale. Quindi come dire dov'è l'anima? L'anima è centrale, è tutto in tutto

Gerardo P.
Certo il progetto, il testo è unico, poi ognuno avrà una parte determinata. Io non credo che un individuo possa scegliere quale parte attribuirsi nella vita, perché il grande architetto dell'universo ha già pianificato una certa struttura e poi è l'anima che si manifesta individualmente in modo diverso in ognuno di noi, però non ci può essere una mia scelta di quale parte io possa interpretare.

Vittorio M.
Dovresti parlarne con quel signore che si chiamava Platone, non è potuto venire stasera perché è morto...ma diceva che, prima di nascere, le anime sono poste davanti a tanti simulacri, uno per esempio di un re, l'altro di un mendicante - andando un po' agli estremi - per scegliere la vita che desiderano. Non si parla di una scelta razionale ma di un processo misterioso che è adombrato da un' interpretazione poetica, ma perché, per quale motivo l'anima continua a reincarnarsi? Per vivere delle esperienze che possono guarirla dalle deformità che noi tutti esser umani abbiamo. Se non fossimo deformi e oscuri non saremmo nati, saremmo angeli, saremmo in cielo..la nostra esistenza è una malattia, e la malattia che cos'è se non un processo di guarigione? Quindi c'è questa scelta, a livello subliminale, a livello inconscio, non so... Quanto al disegno dell'universo, hai paragonato Dio a un architetto, ti ringrazio del paragone... Ti parlerò quindi del mio mestiere: quando faccio un progetto, scelgo i materiali che sono inerti ma io penso anche per loro, poi penso a tante altre cose, alle funzioni, agli spazi, alla bellezza della costruzione ecc. Immagino però che un architetto sublime non dovrebbe lavorare con dei materiali inerti ma con dei materiali viventi, creativi, cioè dovrebbe dire al mattone di non mettersi lì, incastrato per sempre, no... è attraverso di te che vorrei vedere formarsi l'idea della costruzione, cioè vorrei che il mattone si creasse da solo, che da un po' di argilla impastata giungesse all'idea, all'espressione.
Il paragone che abbiamo fatto con gli attori è lo stesso di quello dei materiali. Il grande disegno è di permettere a tutte le creature, dalle più modeste alle più grandi di costruirsi liberamente, creativamente, sfruttando le proprie potenzialità, certo attraverso l'evoluzione naturale, ma c'è un disegno di insieme? Che cos'è, un progetto, un intento, un'armonia? Tutto quello che si fa, coscientemente o incoscientemente, porta sempre alla realizzazione di questo grande insieme, e il senso di questo grande insieme penso appunto che sia il ritorno all'unità con Dio.
Guardando adesso i quadri, c'è qualcosa che vorreste dire?

Luisa G.
Mi ha colpito il quadro della donna rosa, "La goccia", e quando hai detto che questa donna diventa essa stessa goccia. Non avevo capito dapprima che fosse una goccia. Poi. parlando della divisione, con il quadro del "cielo che mi cade addosso" che hai mostrato stasera, mi viene in mente la "goccia che fatto traboccare il vaso"...

Vittorio M.
...c'è stato anche quello, qualcosa che ha fatto traboccare il vaso, ma non è forse questo il punto.... Noi siamo soggetti di fronte ad oggetti, questa è la nostra normale condizione. C'è però un certo stadio, a livello mistico, in cui si vive una fusione fra soggetto e oggetto. L'ideale verso cui noi andiamo nel nostro lavoro interiore, è quello di togliere ogni differenza fra soggetto e oggetto e anche fra essi e il campo in cui si situano, cioè io, tu, lo spazio in cui siamo e anche il tempo devono giungere ad essere uniti. Istintivamente, molti quadri esprimono questo: se io dipingo un artista che sta scolpendo il busto di una donna (penso a un quadro di tanti anni fa 1989.01 L'artista incontro n. 15) il braccio della scultura e quello dell'artista mi vengono fuori come se fossero uno solo e fossero anche il mio braccio: se dipingo una donna che va con un vaso a prendere l'acqua alla fontana,( 1980.07 La fonte, nello stesso incontro la testa della donna diventa il vaso, il gesto che lei fa è un getto d'acqua. Così nello stesso modo, la donna rosa che vedi nel quadro, che è sotto una cascata d' acqua, diventa acqua anch'essa, diventa una goccia

Gerardo P.
una goccia che tende verso il cielo. Mi sembra che, più che cadere, tenda con le braccia e con gli occhi al cielo

Vittorio M.
Il senso dell'andare in su o in giù, in su e in giù, in mille modi, è proprio qualcosa da assimilare se vogliamo capire la vita. Quante cose in essa vanno dall'alto in basso o dal basso in alto, per esempio proprio l'acqua, che scende come pioggia o sale come vapore acqueo, o come la linfa di un albero che sale dalle radici alle fronde, mentre la luce scenderà dall'alto...Se guardiamo poi alla figura femminile del quadro, è bella, è rosea, si identifica con l'acqua, l'acqua è la purezza, scende dal cielo, sale al cielo. Questo quadro (1999.11.06 La goccia) è stato fatto in due tempi e dalla prima edizione in cui veniva espressa questa unità primordiale, verginale, si giunge nella seconda a una divisione, in cui una parte di lei, o di me - parlo sempre della mia anima - si aggira nell'oscurità, un'altra parte si rovescia...vedi che è la stessa figura ma rovesciata?...lo stato di turbamento, di disorientamento è evidente - non occorre spiegarlo, basta guardare fuori, a quanto accade nel mondo, a destra e a sinistra, come nel quadro - mentre quello che accade nel centro non è nel mondo, è in ognuno di noi, se, come e quando può "nascere" in noi.

Gerardo P.
Avevamo interrotto Aviva su Pessoa. Come mai ne avevi parlato?

Aviva S.
Guarda, Vittorio ha parlato del regista e degli attori pur non conoscendo Pessoa, come se stesse descrivendo il pensiero di questo poeta. E' stato veramente molto bello perché hai iniziato a spiegare un tuo pensiero e praticamente hai spiegato un po' come scrive questo poeta, che ha scritto anche delle cose in prosa e usa gli eteronimi. Essi sono degli alter ego con cui lui scrive dei racconti, dei libri, che firma con i suoi eteronimi, quindi con un altro attore che vive dell'abilità del regista che è lui. Se uno va a Lisbona, proprio nella piazza principale, c'è il suo busto, seduto a un bar

Gerardo P.
col, cappello, stupendo, E' degli inizi del Novecento, no?

Danilo G.
Stavo pensando che si può credere che si nasce Dio e si vive per duplicare, ricercare questa esperienza divina, inconscia

Vittorio M.
E' esattamente così. Noi nasciamo Dio nel senso che Dio è all'origine dell'universo e noi, nel momento della nascita di un bambino che, in sé, è molto lontano da Dio perché è uno dei tanti esperimenti per unire lo spirito alla materia (parlando di esperimenti non vorrei però diminuire la sacralità della nascita) riviviamo nella nascita il momento della Creazione. In questo senso si può dire che nasciamo Dio. I bambini hanno l'innocenza, la purezza dell'origine, che poi perdono, via via che diventano uomini. Se ci pensi, un bambino già nel feto ripercorre tutti gli stati evolutivi dell'uomo, cominciando dalla formazione della prima cellula, la sua suddivisione e moltiplicazione, e poi continua questa evoluzione dopo la nascita, attraverso i primi movimenti. Il bambino comincia a gattonare, poi a camminare, poi a dire le prime parole e ad apprendere la cultura umana, giungendo infine ad essere un uomo del nostro tempo. E' qui che si trova, ahimè, molto lontano da Dio ed è da qui che comincia poi il cammino cosciente per riavvicinarsi a Dio, non più solo in virtù di un'evoluzione automatica, ma con l'assunzione del compito sacro della vita, di tutte le vite.

Danilo G.
E qui si ritorna a questa fonte con la fine terrena

Vittorio M.
Beh, si ritorna...Non credo che il ritorno si compia così facilmente con la morte e che ci si ritrovi in paradiso, il cammino sarà lungo...

Danilo G.
Non si può fare un ragionamento prettamente terreno, perché i circuiti di santificazione sono diversi

Elisa M.
Stavo pensando a tutta questa frammentazione, cioè che all'interno dell'individuo coesistono più personalità, più individui, poi a sua volta l'individuo si incarna, secondo alcune credenze, e vive tante vite, e quindi stavo cercando di rappresentarmi tutto ciò quasi come una funzione matematica, qualcosa che potesse descrivere tutta questa complessità. Non so se è rappresentabile, cerco di farmi un'immagine di tutta questa complessità...

Vittorio M.
un modello matematico

Pat Sophie G.
I frattali danno un'idea, sono geometria pura, un'architettura sublime, sembra quasi un suono e sono ripetuti all'infinito praticamente. E' forse l'unico modo per riuscire a capire l'integrazione fra quello che è lo spirito e la rappresentazione materiale attraverso la matematica. E' difficile spiegarli e molto più facile guardarli. Se tu li guardi da una parte o da un'altra, sotto diverse luci, tu vedi una forma continuamente mutevole ma sempre perfetta., organica, all'infinito. Senti l'anima...

Gaetano M.
come partendo da un elemento geometrico molto semplice, si crea una composizione che sembra molto complessa ma che ripete sempre lo stesso elemento, anche a scale diverse.

Vittorio M.
comunque, per rispondere a Elisa che cercava un modello matematico, mi sembra che il mondo sia
un modello matematico, in tutto e in ogni sua parte, tu sei un modello matematico. Io penso che, che, se tu guardi una piccola cosa, prima parlavo di un sasso, di un albero, di un fiore, se tu veramente approfondisci questo, è come un libro in cui puoi leggere tutto. Non è possibile che il tutto, Dio, l'universo, siano qualcosa di totalmente diverso da questo sasso. Se, in qualche modo, un sasso è un'immagine di Dio, si può dire che Dio stesso è come un sasso. , può sembrare una corbelleria. Si preferisce pensare che una rosa è l'opera di un Dio creatore che ha prodotto questo o quest'altro, oppure che è il frutto del caso? No, è uno dei modi in cui tutta la materia cerca di ritornare allo stato spirituale, allo stato divino. Anche i sassi partecipano a questo lavoro, anche le piante, anche noi. Tu sei sulla stessa strada, sei un modello dell'universo, come ogni altra cosa.

Giulio R.
Ma non puoi contenere tutto questo in un modello matematico. C'è una contrapposizione interna

Vittorio M.
...o c'è una matematica trascendentale, a cui si arriverà...molto più modestamente ogni mio quadro è un modello in qualche modo. Io non sono uno di quei pittori che dicono faccio questo o quest'altro io quando l'ho fatto non volevo dire niente, ma appunto per questo ho fiducia che una manifestazione spontanea, un po' come i Ching, una cosa apparentemente casuale sia collegata a tutto un insieme..io li considero come basi di una lettura di fenomeni che trascendono di gran lunga il quadro, come un modello. Abbiamo visto per esempio la lettura del salire e scendere....

Giulio R.
Quando parliamo di emozioni - il quadro esprime e suscita emozioni, è difficile, anzi impossibile modellizzarlo, sarebbe come fare una curva gaussiana e dire: questo sentimento è dentro la curva, quest'altro è fuori della curva, mi sembra anche piuttosto banale...

Vittorio M.
Mi permetterete di parlare un momento di un mio progetto, l'edificio del Fiore nel centro di Firenze (La Città Nascente, vedi Seminario "Il Lavoro Spirituale", incontro n.1) perché questo concetto di spirale, che associo sempre a un impulso di vita, di amore - per esempio disegno i seni delle donne come delle spirali - viene qui trasferito su un piano costruttivo e anche geometrico. C'era una volta qui un amico musicista che mi chiedeva se le spirali dei quadri io le costruivo geometricamente. Io gli ho risposto: no, però ti farò vedere un giorno la spirale del progetto del Fiore di Firenze che è proprio una costruzione matematica, e quindi anche armonica. Non è che un quadro io possa trasferirlo nella matematica, ma un quadro, un progetto, un pensiero, una musica, una persona, un fiore, una pianta, sono tutti frattali in qualche modo, se non ho capito male, sono tutti indici di una sola grande realtà, e se la matematica non ci arriva, è perché la matematica non ha ancora gli strumenti per arrivarci. Prova a spiegare una sinfonia di Mozart con la matematica, eppure dovresti farlo: è matematica

Giulio R.
Sono perfettamente d'accordo, però l'espressione di un sentimento che si è manifestato...io, a questo punto, sono disponibile a pensare che possa essere contenuto in un modello ma, fino a quando non si esprime attraverso qualcosa di consistente non è contenibile. Consistente significa qualcosa di realizzato: la spirale del progetto di Firenze è qualcosa di realizzato, una sinfonia di Mozart è qualcosa di realizzato e quindi può essere contenibile, prima non lo era.

Vittorio M.
Ma certo, prima parlavamo dell'anima, la si percepisce solo in quanto è realizzata, in te, in me, in qualunque cosa, altrimenti non si può parlare di un'anima, di uno spirito. Il solo modo di percepire lo spirituale è la realtà, la realtà poetica ma anche la realtà umana, la realtà della sofferenza, del lavoro, quella è la vera realtà. Quante volte l'ho detto nell'altro Seminario sul "Lavoro Spirituale", che significa il Lavoro materiale, però fatto con consapevolezza. Non c'è altro modo, non si può parlare di anima in generale. Tuttavia non si può neanche affermare che, se non la vediamo, vuol dire che non esiste. Eh no, perché se togliamo da noi l'anima, quello che ci anima, penso, quello che ci illumina, la nostra vita stessa, rimaniamo ipso facto dei cadaveri, della polvere, niente. E quando poi noi diveniamo in effetti dei cadaveri, della polvere, pensare invece che la parte essenziale che si è espressa in noi continua a vivere seguendo un suo destino, anzi una sua meravigliosa vocazione, è un pensiero così bello, che auguro proprio alla matematica e a noi tutti di farlo proprio.

Parliamo però sempre di problemi generali, che è molto interessante, ma vediamo di ancorare adesso il discorso a qualche immagine in particolare: questa, per esempio, del Giardino dell'Eden.

Qual è la vostra idea sul muro che si vede nel quadro? L'avevi visto Aviva, o sei arrivata dopo?

















Il giardino dell'Eden (part.)
Te lo spiego nelle grandi linee. E' un quadro fatto in due tempi: nel primo c'era una situazione felice paragonabile al paradiso terrestre, con Adamo, Eva, l'albero della vita, il frutto, lo spirito santo, tutto quanto, mentre dopo, nel periodo del dolore, dell'angoscia, si erge questo muro, che nasconde in parte Adamo, ma è proprio lui? Quanto ad Eva, sulla parte sinistra del quadro, che chiamo ormai anima, era già titubante, ma appare adesso sempre più rivolta a se stessa, staccata da Adamo, l'essere maschile che non è però un essere maschile vero e proprio, io lo chiamerei il Sé, l'essere superiore in noi che prima, in una condizione di innocenza come quella del paradiso terrestre, era paritario rispetto all'anima umana, se possiamo dire così. Il Sé, cioè Dio, dialogava con l'anima umana, alla pari. L'anima era un po' riottosa, forse già pensava a separarsi da questa unione...ma è con la divisione, con il frutto proibito, con la separazione, che si crea questa barriera: Dio, il nostro principio interiore, non è più conoscibile e noi sbattiamo contro il muro...Ogni filosofia, ogni ragionamento, ogni impresa, anche le più utili e belle, devono giungere di fronte a questo muro, che è il muro del totale fallimento Questa è la realtà, non voglio fare la Cassandra, ma è qualcosa di un'evidenza incontrovertibile. La sola cosa certa della nostra vita è la morte, con l'impossibilità di darcene una ragione. Ciò che è al di la della morte, al di la del muro, ci è sconosciuto. Tuttavia è da lì che ancora giunge una proposta. Il muro è attraversato da un braccio che si protende per offrirci un dono, che sia il dono della conoscenza, il frutto proibito, o la conoscenza in un senso vero, profondo, rimane da capire. . Un'altra cosa che vorrei mettere in evidenza è che questo albero non è un vero albero di legno, è un albero di acqua o di cielo, è un fiume che ci separa completamente ma nello stesso tempo ci unisce. La sola possibilità di unione, non è nella speranza che questa figura maschile vada al di la del fiume o che questa figura femminile venga di qua o che tutti e due si incontrino magari a metà strada. La sola possibilità di unione sembra proprio questo frutto che è nel centro dell'albero-fiume, cioè la conoscenza. Ma non parlo della ragione, la ragione che acceca, che porta fuori strada, che fa commettere peccati di orgoglio, e neppure la ragione che costruisce l'ego. In questo caso, la leggerei come la ragione che si apre alla conoscenza, la conoscenza vera, non intellettuale, la conoscenza che è portata dall'albero come il suo frutto supremo. L'abbiamo chiamato l'albero della vita, ma è anche l'albero del cielo, l'albero cosmico

Aviva S.
Posso dire una cosa che mi piace? Anni fa ero nel Benin ed ho conosciuto uno stregone che poi, , parlando, mi ha regalato una maschera che loro si mettono in testa quando si preparano ai loro riti animistici, e la maschera sembra quello che vedo in questo tuo quadro. Si mette in testa e c'è un uccello che è sopra la testa, proprio come nel tuo quadro.

Vittorio M.
Ma qual'è secondo te il significato di questa maschera e del rito che vi è associato?

Aviva S.
Lo stregone in quel momento sta officiando, c'è quindi un significato sacro nella maschera. Analogamente, se guardo alla separazione espressa nel tuo quadro, c'è una trasmutazione, c'è un cambiamento, forse l'uccello, anche simbolicamente, indica un'elevazione.

Vittorio M.
..è un'immagine dello spirito. E' molto giusto quello che dici, anche come riferimento a un rito sciamanico. Vorrei però dire, prima di pensare a cosa si mette in testa il personaggio del quadro, è che egli non ha proprio la testa, quindi è impersonale, non è una persona, non sono io, come non è più una persona lo stregone quando officia. Al posto della testa ha...lo "spirito santo", cioè il soffio divino che lo pervade. E' poi accaduto che questo muro, che impedisce il contatto di Dio con l'uomo, imprigiona anche lo spirito, la colomba è imbrattata di terra ed è chiusa, incastrata nel muro, e questa è una lettura, tragica ma vera, del mondo in cui viviamo. Il muro c'è a tanti livelli, in tanti aspetti del mondo, dell'umanità, ma c'è anche in ognuno di noi, ed è quest'ultimo il livello su cui possiamo veramente lavorare, perché sarebbe ben difficile di abbatterlo in tutto il pianeta che esso condanna alla violenza, alla guerra, alla distruzione. Dentro di noi, può voler dire anche altre cose: chiusura del cuore, chiusura mentale, ostruzioni artificiose, strutture che ci impediscono di vedere, barriere.....E dire che la comunione sarebbe invece così bella e naturale, fra l'anima umana e lo spirito, fra un uomo e una donna che si amano, fra tutti gli uomini, se rinunciassimo a costruire questa divisione. Ma sarebbe mai possibile? Certamente no, il mondo non potrebbe reggere senza l'opposizione delle forze che si contrastano l'una con l'altra come i mattoni di una volta. Anche quello che è negativo è necessario perché, attraverso di esso, attraverso il male, è il bene che si sviluppa. E' stato necessario uscire da uno stato inconscio, il paradiso terrestre dell'unione fra l'umano e il divino, e che l'uomo fosse dolorosamente diviso per poi giungere con le sue forze, un po' alla volta, a recuperare l'unità perduta e a ricongiungersi col divino..
Portando adesso tutto questo con una specie di zoomata al contrario sul piano personale di un amore infelice, anche questo è molto salutare. Era bello, era facile, era carino fare l'amore tutti i giorni e sognare una felicità illusoria, mentre invece questa divisione che si è creata mi ha fatto molto lavorare. Si arriva a capire che lo scopo degli amori che vanno bene è di metter su famiglia e fare figli, mentre, quando vanno male, e di permettere all'anima di crescere. E' come dire: un grappolo d'uva, quando gli va bene è messo in una bella fruttiera ed è ammirato e gustato; quando gli va male, è schiacciato, torturato, fermentato..., però questo ti da il vino!

Pat Sophie G.
Il muro è anche la solidarietà, che è l'appartenenza, è qualcosa di solido che vorrebbe permettere una comunione. In effetti si ricerca in molte maniere un'unione, e allora ci si mette in coppia, si creano gruppi, chiese, nazioni. Dal piccolo al grande il muro è solidarietà, appartenenza, almeno per noi che sentiamo come possibile la comunione.

Vittorio M.
Un muro può suggerire l'idea della solidarietà, dell'unione fra i mattoni che, tutti insieme, lo compongono, ma nel quadro non ha questo significato. E' separazione. Il muro è poi costruzione, costruzione del mondo, di tutto quello che c'è. Costruiamo perché dobbiamo costruire, per mille scopi fra cui anche delle opere di solidarietà; ma il tragico è che questa costruzione finisce col divenire un muro separativo dalla nostra essenza. D'altra parte la nostra essenza non può rimanere in una specie di paradiso senza tempo e deve cimentarsi con la necessità della lotta, della sopravvivenza, anche se con questo facciamo un muro, suscitando però anche le forze che dopo porteranno alla demolizione di questo muro.... è un processo continuo. Continueremo sempre a costruire il muro che avrà una sua funzione ma nello stesso tempo dovremo cambiarlo o demolirlo. La vita è un processo dinamico in cui non c'è nessuna certezza, la sola certezza è che esso sia appunto in continuo mutamento.

Luisa G.
Anche pittoricamente, non è un muro che copre completamente la figura, è quasi trasparente, e anche la forma del muro è frastagliata...non è un muro definito

Vittorio M.
...è un muro in costruzione, anche se la sua forma, come dici tu frastagliata, potrebbe indicare anche una demolizione. Lo puoi vedere, senza alzarti, anche in quella foto di una facciata appesa al muro. (Avenue Matignon, Parigi, vedi Incontro "Il Lavoro Spirituale incontro n. 2)...Il muro del quadro è trasparente, come tu dici, ma solo se visto dal di dietro: infatti, se uno ha un occhio spirituale, non vede la barriera. Se ti poni invece sull'altro lato, a sinistra, non è affatto trasparente, ma massiccio e invalicabile, anche se la sua consistenza è illusoria. Quello che noi consideriamo come muro, non più adesso sul piano delle costruzioni umane ma sul piano di ciò che ci impedisce di vedere Dio, è illusorio, basta un attimo perché si dissolva, come è un attimo l'illuminazione.

Vittorio M.

Vorrei mostrarvi adesso un altro quadro che non c'entra niente e non è neppure un gran che, mi sembra, ma che permette qualche osservazione psicologica.

 

1998.08.19

Si vede una donna, che è l'anima, separata da una figura maschile. Però, dietro di loro, c'è un altro personaggio (azzurro), ne vedo la testa, il braccio; è come se, fisicamente, queste due persone fossero separate, mentre il Sé, cioè l'anima profonda e superiore in noi, le ricollegasse. Questa figura emana in qualche modo dalla donna, dall'anima e abbraccia l'uomo.


2004.098.21 Lo specchio

Il quadro seguente, fatto anni dopo, mostra una donna che si guarda in uno specchio, la cui forma è uguale a quella della testa della figura azzurra, il Sé, del quadro precedente. E' quindi in qualche modo come se l'anima si guardasse in uno specchio che è il suo essere interiore. Il Sé è lo specchio dell'anima. Quando l'anima guarda nello specchio, cosa vede? Vede il Sé che è la sua vera essenza. C'è questo senso, questo avvolgimento interiore, io non guardo nello specchio qualcosa d'altro. Invece di guardare qualcosa all'esterno, guardo questa riflessione in cui si vede tutto, si vede tutto l'universo, cominciando da me stesso, dalla mia anima, dal Se spirituale.

 

Paolo G.
Mi viene in mente una definizione di anima, molto bella: "l'anima è la vanità, il piacere del corpo quando sta bene, le cose vanno bene, ma è anche la voglia di uscire dal corpo quando invece le cose vanno male"

Vittorio M.
Confesso che quando si parla di anima mi chiedo sempre come potrei definirla. In un libro che .ho scritto due anni fa, composto di tanti pezzi, si poneva in ognuno di essi la stessa domanda: "che cos'è l'anima"? La vuoi definire come vanità? Penso che non si possa definire ma, prima di tutto, l'anima la leggerei nella realtà, la tua anima la leggo nel tuo sguardo, in come sei, non posso immaginare nient'altro e, se vado oltre, è appunto in qualche modo un gioco di specchi. La vanità potrebbe suggerire proprio l'immagine dello specchio, però è lo stesso specchio in cui puoi vedere anche il cielo. Narciso si curva e vede la sua immagine nel lago, ma il lago riflette anche il cielo
Una storiella indiana racconta che, dopo la morte di Narciso, qualcuno, passeggiando lungo il lago, vide che piangeva. Perché piangi?, chiese al lago, sarà certo per la morte di Narciso... Certo, rispose il lago, mi manca infinitamente, quando si curvava su di me per specchiarsi, io mi specchiavo nei suoi occhi!.
Questo gioco di specchi chiarisce un poco anche la questione della personalità di cui parlavamo prima. Nello specchio vediamo sempre noi stessi ma un conto è il non vedere altro, come il lago, e un altro riuscire a vedere, come Narciso, almeno un riflesso del cielo.


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