Dibattito 
        - Incontro n° 18 
        
Vittorio M.
          Ecco, questi sono i quadri che volevo farvi vedere stasera. Come sempre 
          vi chiedo se qualcuno di voi ha qualcosa da dire...
        Livio Z.. 
          L'ultimo quadro è il più affascinante..
        Vittorio M.
          Quando io dipingo gli angeli che mi parlano, non vorrei che pensaste 
          che io sia un po' matto e neppure che abbia qualche speciale potere. 
          Viviamo tutti in una sfera - il seminario era cominciato con la metafora 
          della caverna oscura - una sfera di oscurità, e tendiamo alla 
          luce. Questa luce è non solo qualcosa di visivo, ma è 
          fatta di suono, di parola, è come se il cosmo intero, il divino 
          in noi ci parlasse, ci parlasse per svegliarci, per condurci alla luce, 
          a un'altra dimensione, che secondo me è la vera dimensione, oltre 
          quella temporale, provvisoria, futile, della nostra vita e della nostra 
          morte, una dimensione che va al di là. E' questa che possiamo 
          immaginare come un angelo che ci parla. Per tutta la vita ho poi sperimentato 
          istintivamente che, accanto a quest'angelo che ci parla, di fronte ad 
          esso, c'è qualcosa in noi che lo rifiuta. Io mi volto dall'altra 
          parte, non ne voglio sapere, mi copro, dormo...Gesù stesso diceva: 
          Effatà!, svegliati, apri gli occhi. In questo quadro, finalmente 
          mi volto e guardo l'angelo, è arrivato il momento dell'incontro!... 
          No, no, non ancora, perché io non ho gli occhi per vedere, il 
          mio viso è impastato di terra, di ombra.
        Pat Sophie G.
          E' come se tu avessi voglia di specchiarti, però lo specchio 
          non riflette...e allora tutta questa foga di andare nell'azzurro, di 
          lanciarti in quell'onda....è proprio come un'aspirazione che 
          rimane bloccata ...è un desiderio veramente forte ma non è 
          ancora arrivato il momento.
        Vittorio M.
          .E' un quadro di molti anni fa, non so se nel frattempo ho fatto dei 
          progressi....comunque, io ho affrontato questo seminario mostrando spudoratamente 
          la mia ombra, non come un fatto personale, ma perché penso che 
          sia un fatto comune a tutti noi. Io, in qualche modo, ho percorso la 
          strada della pittura per aiutarmi a prenderne coscienza, ma molti non 
          sospettano neanche di vivere nell'ombra, pur risentendone ogni giorno 
          gli effetti negativi.. E' questa la nostra situazione. Quindi, c'è 
          una condizione materiale e una spirituale, c'è un'ombra e una 
          luce, il transito dall'una all'altra è l'argomento non dico della 
          nostra condizione individuale, la mia e la vostra, ma di tutta l'evoluzione 
          cosmica. Quindi non c'è da meravigliarci che non si arrivi così 
          facilmente alla luce. L'importante è di essere in cammino, di 
          partecipare come si suol dire, ai diversi livelli in cui ci è 
          possibile farlo. Per consolarmi mi dico che, almeno, non mi volto più 
          dall'altra parte, ed è già qualcosa...
        Francesco R.
          Io vorrei sottoporre due domande. Innanzitutto devo dire che sono veramente 
          sorpreso dalla bellezza e dalla pregnanza della tua pittura, che non 
          conoscevo assolutamente. La prima domanda che volevo farti è 
          se c'è un principio geometrico dietro la tua costruzione pittorica, 
          e la seconda è che, sentendoti adesso dire nell'ultima parte 
          del tuo discorso che hai unito il senso di due fenomeni, cioè 
          suono e luce, volevo chiederti se hai sentito dire che in sanscrito, 
          luce e suono sono uniti da una loro affinità fonetica, bar e 
          sbarr, sono quasi la stessa parola. e quindi è molto attinente 
          a quello che dicevi. 
        Vittorio M.
          Ti ringrazio molto della tua osservazione. Non ho mai approfondito questo 
          fatto, ma sappiamo che 
          il fiat lux della bibbia equivale all' Om dell' induismo, è la 
          stessa cosa, la luce o il suono primordiale. Qui non vorrei scomodare 
          un concetto così importante, però tutto si lega, è 
          la parola che è luce che fa uscire dall’oscurità, 
          l’oscurità che potrebbe equivalere al silenzio. Non lo 
          menziono però in un senso negativo, come se il silenzio equivalesse 
          all'essere privati di luce. E' piuttosto dal silenzio che viene il suono 
          come dall'oscurità viene la luce. Il silenzio ha una sua meravigliosa 
          realtà: silenzio, vuoto e oscurità mi sembra che vadano 
          proprio insieme se sono compresi come il bacino vivo, germinante dell’essere, 
          non come un'oscurità negativa, non come un essere messo a tacere, 
          non come un cadere nel vuoto. 
         
        Luisa G.
          Infatti è molto bello che tu metta il vuoto al centro dei tuo 
          quadri. Se non sbaglio, hai detto prima che il vuoto lo vivi con serenità 
          e non paura, come un'apertura. Si può vedere nel tuo quadro (1990.08.22 
          Aurora), che mi è piaciuto molto, mi sembra di vedere in esso 
          anche un sipario, non so se è così..
          Le braccia fanno poi concentrare l'attenzione sul vuoto che è 
          al centro del quadro.
        Vittorio M.
          Il sipario ti fa pensare a una certa teatralità ed è vero. 
          Sono tante le fonti di una piccola ispirazione, fra cui la poesia degli 
          antichi in cui si parlava sempre del sole che giungeva in una biga trainata 
          da cavalli d’oro, oppure dell'aurora con cui si alzava il sipario 
          del giorno, come in un teatro. Quanto al vuoto, in quasi in tutti i 
          quadri si troverà la sua centralità, intorno a cui le 
          forme vengono in qualche modo generate. Bisognerebbe inventare una teoria 
          astronomica ad hoc, per spiegare questa idea che il vuoto sia come una 
          centrifuga che genera delle forme tutt' intorno, ma non mi avventurerei 
          troppo in questa supposizione.
          Roberto, scusa se ti provoco, ma hai qualcosa da dire?
        Roberto P.
          Sinceramente no
        Vittorio M.
          Ma in un incontro precedente avevamo discusso di un altro quadro (1989.11.09 
          Proserpina) in cui avevi notato una discordanza di colori, riferendola 
          a un conflitto fra l'apollineo e il dionisiaco. Io uso i colori in modo 
          molto istintivo, non certo per adattarli a una storia, mentre è 
          proprio dal colore che, per qualche strana alchimia, nasce la storia. 
          Se il colore è discordante vuol dire che la storia è discordante, 
          ma io comunque non vedo negli opposti una discordanza ma solo la grande 
          dualità della vita che è presente in tutto, non solo nel 
          maschile e femminile, ma nell'ombra e nella luce, nella vita e nella 
          morte, e anche nelle due fasi della storia di Proserpina. Vedo anche 
          la necessità dello sforzo di portare, nella misura delle nostre 
          forze, questa dualità all'unità, riconoscendola anche 
          nell’amore fra uomo e donna e in ogni altro aspetto della vita. 
          La vedo anche nel rapporto fra i colori o fra i suoni, in cui armonie 
          e dissonanze hanno la loro funzione, in un'ottica o una logica che non 
          sono in realtà tali ma fanno parte di un impulso fondamentale, 
          presente in tutto l'universo come nel nostro stesso animo. 
        Elisa M.
          A me ha colpito invece molto il rapporto tra l’ amore e l’atto 
          della creazione, quando dici che l’amore è un atto di creazione, 
          che posso rappresentare l’amore con un atto di creazione
        Vittorio M.
          È una cosa che ha colpito anche me. L'ho notata riguardando questi 
          quadri e mi ha fatto pensare. Se guardo un fiore, una rosa, o anche 
          una semplice foglia, come faccio a non pensare che tutto questo è 
          stato fatto con amore? Mi si dirà che è il risultato di 
          un processo biologico, di un'evoluzione, ma non può non colpire 
          che in esso, come in tutte le cose e in tutte le creature, ci sia una 
          grazia straordinaria, una perfezione, una bellezza, proprio come nel 
          viso di una bella fanciulla. La mia ingenuità è di pensare 
          che c'è qualcosa o qualcuno che, in qualche modo, ha amato questa 
          foglia, questa cosa e quindi l’ha fatta bella. 
          Lo stesso lo fa in fondo l’artista. Egli è un uomo particolare, 
          in tante cose vale meno rispetto ad altri uomini, è meno serio, 
          onesto, è vanitoso, narcisista, però in qualche modo è 
          un mimo: è un dono prezioso perché, attraverso la mimica, 
          egli ripete, anche se nei suoi e nostri limiti, l'atto della creazione. 
          Quando l’artista fa un'opera d’arte, se è un vero 
          artista la fa proprio con amore, non la fa per affermare una volontà 
          o un concetto. Ce ne sono che si innamorano di un concetto di per sé, 
          nello stesso modo in cui si innamorerebbero di una macchina, di un oggetto, 
          di un effetto particolare, di una prospettiva di successo....ma non 
          sono veri artisti perché non è appunto vero amore. Il 
          vero amore richiede di dimenticare se stessi e di darsi totalmente a 
          ciò che si ama. Un vero artista si applica alla sua opera con 
          amore - lo si vede bene nei quadri di una volta, Leonardo per anni e 
          anni ritornava sullo stesso quadro per una qualche sottigliezza - ma 
          oggi il discorso è cambiato, non si lavora più per amore 
          ma seguendo impulsi vitalistici, aggressivi, erotici, inconsci o, al 
          contrario freddamente calcolati. Vorrei dire che l'idea dell'arte vera 
          si lega all'amore, altrimenti è qualcosa di mercenario, proprio 
          come il sesso e, purtroppo, proprio come accade in gran parte del mondo 
          dell'arte di oggi. 
          Tornando all'uomo che si innamora di una donna, o viceversa, e come 
          se si innamorasse della creazione tutta intera, vede nella persona amata 
          il paradiso, la idealizza, proietta in essa i suoi archetipi, il suo 
          sangue. Magari in questa persona non ci sono neppure le cose stupende 
          che egli ci vede, ma è appunto come se lui la creasse, proprio 
          come un artista crea la sua opera (in una tela o in una pietra in cui 
          nessuno vedrebbe qualcosa di speciale), e soprattutto come il Creatore 
          crea la sua creatura. Potete immaginare, nello stesso modo, che cose 
          straordinarie Egli vede nell'uomo, che meraviglioso destino, quando 
          noi non ne viviamo che 
          l'oscurità e l'ignoranza?
        Pat Sophie G.
          Scusami, Vittorio, tu hai detto che la persona amata non ha magari particolari 
          qualità... L'artista non è poi che inventi qualche cosa, 
          egli coglie ciò che esiste. Così, questo cogliere ciò 
          che esiste si può riferire anche a una persona che ha magari 
          poche qualità: si può sempre coglierne la parte non visibile, 
          non espressa o 
          bloccata, e metterla in rilievo, non è che non ci siano delle 
          qualità da mettere in valore, ma esse devono essere tirate fuori 
          attraverso l'amore.
        Vittorio M.
          Si, in ogni cosa, in ogni persona c'è la più grande ricchezza, 
          occorre trovarla, rivelarla. A proposito dell'artista che inventa, ricordiamo 
          che in latino invenire vuol dire trovare, trovare quindi ciò 
          che già esiste e richiede solo di essere riconosciuto e messo 
          in valore. Insomma, il divino, la bellezza, l’amore sono in tutto, 
          bisogna solo avere gli occhi per vederli. E' come se ci fossero in tutto 
          il mondo i semi di tutto e che essi si risvegliassero nel momento in 
          cui possono entrare in una relazione, in infiniti modi possibili, che 
          sia il contatto del seme con il terreno, o quello di una persona con 
          un'altra 
        Francesco R.
          Se mi dai il permesso ricomincio a parlare. Innanzi tutto, di fronte 
          a questa bellezza e ricchezza di provocazioni, io avrei grande piacere 
          di rivedere il dipinto, non so come chiamarlo, mi viene da dire "coscia 
          lunga"
        Vittorio M
          Coscia lunga? sei un intenditore...
        Francesco R.
          ...non per il piacere erotico, ma c'erano due tornitissime, meravigliose 
          colonne, due gambe rosa, con una luce stupenda. Visto da qui il quadro 
          ha una luce, un cromatismo, che si fonde nel corpo di questa figura 
          femminile che è veramente di una grande delicatezza, mi piace 
          moltissimo. Però qui mi sono chiesto: qual'è il senso 
          di quella spirale che tu metti e che poi ho rivisto in un quadro seguente, 
          che è quello che mi ha portato a farti una domanda sul suo fondamento 
          geometrico. Ne ho colto la distribuzione dei pesi ma solo istintivamente, 
          perché io non ho le competenze per effettivamente affermare che 
          ci siano, però in un quadro seguente ritorna questa spirale ma 
          con dei pesi molto più forti che mi hanno costretto a guardarlo 
          dinamicamente, cioè ne ho sentito più forte il suono, 
          è li che ho visto un principio geometrico.
          Mi viene poi da fare un'altra osservazione, intanto che riguardiamo 
          questi bellissimi dipinti che, come tu dici, appartengono ad un periodo 
          determinato della tua creazione, della tua produzione. Vedendoli cosi, 
          in maniera disordinata per me, da osservatore occasionale, mi sembra 
          che raccontino una storia, hanno una organicità nella loro sequenza, 
          come ce li hai mostrati.
        Vittorio M.
          Tu purtroppo sei arrivato per ultimo, noi abbiamo già fatto sei 
          incontri, che prima ho brevissimamente sintetizzato per Livio, non per 
          te che sei arrivato ancora dopo. La storia che racconto ha un fondamento 
          personale: tutti questi quadri sono relativi ad amori o disamori veri, 
          reali, ma la storia più profonda che ne è nata e che ho 
          cercato di spiegare è questa vicenda dell’anima umana di 
          cui ho dato una lettura in diverse fasi. Scusatemi se devo ripeterla, 
          è la storia di Euridice, di cui Orfeo va alla ricerca, poi la 
          storia di Proserpina, in cui essa vive per metà del tempo nell’Ade 
          e poi, dal prossimo incontro, la storia di Psiche. Il filo conduttore 
          di questo percorso è che il rapporto fra uomo e donna è 
          visto come metafora del rapporto del corpo con l’anima, la vicenda 
          quindi del nocciolo del nostro essere al mondo. Nella prima parte del 
          discorso tu assisti alla perdita dell’anima: c'è una serie 
          lancinante di quadri che esprimono proprio la discesa agli inferi alla 
          ricerca di Euridice che poi non troveremo mai, sarà persa per 
          sempre. E' questa una concezione negativa del mondo, quella dell’uomo 
          totalmente immerso nella materia e che ha perso la sua anima, mentre 
          il mito di Proserpina sarà invece letto non solo nell'accezione 
          classica dell'alternanza delle stagioni ma nell'analogia di una stessa 
          alternanza fra giorno e notte, vita e morte, corpo e anima. Con la storia 
          successiva di Psiche l'esperienza dell'anima si farà del tutto 
          matura e autonoma, non sarà più né persa per sempre 
          né dipendente da un'alternanza ma raggiungerà la sua consapevolezza. 
          Non a caso Psiche vene accolta fra gli Dei ed è questa la fine 
          della storia, quando l'anima umana scopre la sua natura divina. Questo 
          comporta la ricerca, la scoperta di quel Sé interiore che in 
          moltissimi quadri si vede sommerso, mutilato: è cioè il 
          divino che è in noi, ma in un modo inconscio, che dovremo portare 
          a consapevolezza e unità. 
          Questo è il filo conduttore del seminario e della mia pittura. 
          Io ho la grande fortuna che, invece di fare analisi, come dovremmo fare 
          tutti, ho avuto l'opportunità di lavorare alla mia consapevolezza 
          attraverso i quadri. E' come se tu potessi vedere, su trenta, quarant'anni, 
          tutti i tuoi sogni allineati uno dopo l'altro e non dimenticati- ci 
          dimentichiamo i sogni di un'ora prima, figuriamoci se sono di qualche 
          decennio prima - io invece vedo tutti i sogni allineati cronologicamente, 
          hanno tutti un senso, un senso profondo, vero, sono perfettamente visualizzati 
          e conservati. Questa è stata per me una grande fortuna, che cerco 
          di condividere con voi, ma non è possibile farlo in una piccola 
          conversazione...ci è voluto un seminario e bisogna almeno prenderne 
          qualche dispensa per seguire meglio il lavoro fatto.
        Francesco R.
          Lo farò senz'altro e mi scuso. Purtroppo è molto umano 
          di non poter partecipare come vorremmo e di essere quindi talvolta assenti. 
          Penso a Orfeo e Euridice: lui si volta a guardare se lei lo sta seguendo. 
          Quindi tu getti uno sguardo su una faccenda che è la tua vita, 
          non ti preoccupi più dell'oggetto che è stato all'origine 
          della tua creazione, ma non ne perdi la storia. Orfeo non perde la storia, 
          perde Euridice.
        Vittorio M.
          Quello che mi ha fatto molto pensare è che, in tutti questi miti, 
          c'è in comune una cosa, la vista. Orfeo si volta per vedere Euridice 
          e, nel momento stesso in cui la guarda, lei scompare. Proserpina viene 
          trascinata nell'inferno, nell'oscurità totale, dove non può 
          vedere nulla. A Psiche accade la stessa cosa, viveva questo amore dolcissimo 
          per Eros, però a condizione di non vederlo, poiché per 
          qualche regola divina Eros non poteva esser visto da un mortale. Psiche 
          lo ama comunque ma poi, messa su dalle sorelle che le dicono...ma come... 
          fai l'amore con qualcuno che non conosci, magari è un mostro, 
          ti racconta che è un Dio ma invece...la convincono così 
          a munirsi di una lampada che Euridice accende per vedere questo Eros 
          che però, una volta visto, scompare all'istante. C'è quindi 
          in tutti e tre i miti questo fatto misterioso: che l'uomo vuole vedere 
          ma nel momento in cui vede, scompare l'oggetto della sua vista e del 
          suo desiderio. E' tragico, non ne so dare una spiegazione, anche se 
          tenderei a dire che, se uno crede di vedere al di fuori di sé 
          qualche cosa, oggettivandola, proiettandola, banalizzandola anche (Psiche, 
          nonostante che vivesse un amore meraviglioso sia pure al buio, voleva 
          vedere in carne ed ossa l'amato) ha perso il senso delle cose. Il senso 
          delle cose, quello che c'è da vedere, o da udire, è la 
          verità interiore, quella che è nel nostro cuore, non devo 
          voltarmi a vedere se c'è Euridice, non devo accendere una lampada 
          per vedere Eros, gli occhi e la lampada devono essere dentro di noi. 
          Quindi c'è una specie di proibizione divina che però nello 
          stesso tempo è l'esortazione a vedere veramente, a vedere cioè 
          nel tuo cuore la divinità che tutto vede...non è un gioco 
          di parole, ti è proibito di vedere la divinità all'esterno 
          solo perché proprio non c'è, mentre è all'interno 
          di te che devi trovarla.
        Pat Sophie G.
          L'amore era bloccato dalla cara "mammina", giusto? era la 
          madre che non voleva...? Non voglio però farti una domanda personale, 
          ma solo capire in che cosa consisteva il tuo blocco nel non poter vedere...il 
          motore che bloccava e nello stesso tempo spingeva...in fondo è 
          sua madre che aveva mandato Eros da Psiche per farla innamorare di un 
          uomo brutto per punirla della sua bellezza. Si è visto poi che 
          Eros, pur essendo un dio, ha paura della mamma e, a causa di questo, 
          costringe Psiche in una situazione difficile. Chi era dunque la tua 
          mamma....non parlo della mamma vera ma di ciò che ha causato 
          questo blocco? 
        Vittorio M.
          prima di tutto, anche se non vorrei parlare di cose autobiografiche, 
          ricordo che mia madre condivideva la possessività di Venere, 
          che è di tutte le donne, ...ma, credimi, mi sono larghissimamente, 
          "globalizzatamente" liberato..
          Quanto a questo blocco che ci impedisce di vedere, chiamiamolo così, 
          bisogna pensarci profondamente. Penso che sia la condizione umana in 
          generale di non riconoscere la felicità e di crearsi il dolore; 
          poi, oggettivamente, noi viviamo in una condizione di dolore. Per quanto 
          le giornate possano essere belle e luminose noi viviamo in una situazione 
          di oscurità permanente, con la ricorrente illusione di uscirne. 
          In ogni ciclo, che sia quello di un amore o di una vita, si giunge a 
          un momento di luce, da cui poi si ritorna di nuovo nell'oscurità. 
          Non accade forse anche al sole di splendere a mezzogiorno e poi spegnersi 
          al tramonto? Penso che questa sia proprio una realtà ineludibile, 
          la condizione di tutti. Se non ne fossimo condizionati, se fossimo liberi 
          di "vedere" e di "udire", se fossimo illuminati, 
          credi che saremmo in questo mondo a soffrire e a cercare di liberarci? 
          Il blocco di cui parli è la forza che ci ha fatto nascere, al 
          fine di poter giungere un giorno a liberarcene. Abbiamo parlato della 
          reincarnazione poiché non basta certo una vita per questo. Altro 
          che blocco della mammina! Io mi trascino questo blocco da milioni di 
          vite, come tutti voi, e chi non lo sa vive nell'illusione. Bisogna tornare, 
          ritornare, ogni volta sbattere il naso contro la morte, contro la giornata 
          che finisce, la vita che finisce, contro la nostra cecità, contro 
          la nostra sordità, sordi a tutto quello che è in un'altra 
          dimensione ma che è la nostra vera dimensione! Tuttavia l'angelo 
          ci parla, la luce ci inonda, c'è tutta una sostanza spirituale 
          dell'universo di cui noi rappresentiamo una caduta, una polvere. La 
          nostra vera madre è la polvere, è la terra. Poi c'è 
          il padre che è invece un principio di spirito, di luce, è 
          anzi "il" principio....
        Pat Sophie G.
          Nello stesso tempo, quando tu riesci a tornare all'anima, tendi a quello 
          che si intende con il femminile, quindi concludi...si fa per dire perché 
          poi ricomincia...
        Livio Z. 
          Non capisco...l'anima è femminile?
        Pat Sophie G.
          Maschile o femminile sono concetti rigidi, tutto ciò in realtà 
          è l'uno, però è anche vero che quando noi abbandoniamo 
          il femminile, come fa la nostra religione, perdiamo l'anima...
        Vittorio M.
          Io sento l'anima al femminile, ma Jung associava l'animus al maschile, 
          E' la stessa cosa, cioè è una parte interna di noi che 
          noi tendiamo a investire, a proiettare all'esterno, ma la ricerca del 
          femminile da parte del maschile, e viceversa, è sempre in rapporto 
          al fatto di volerci ricongiungere in un'unità. Io penso che l'unità 
          primigenia, l'unità divina, non ha né maschile né 
          femminile, è Uno e non due.
        Pat Sophie G.
          Non è possibile dire che sia femminile o maschile l'anima o l'animus, 
          in realtà chi si è materializzato al maschile, cerca l'anima 
          al femminile, chi si è materializzato al femminile cerca l'anima 
          al maschile. In questo senso non è possibile definire e separare 
          il concetto di anima perché è un tutto.
        Vittorio M.
          La vera realtà è un'unità, noi cerchiamo sempre 
          di dividerla in due e troviamo allora questa dualità in tutto
        Pat Sophie G.
          Tu nei tuoi quadri, poiché sei materializzato in un maschio, 
          identifichi la tua anima con la donna amata. 
        Vittorio M.
          Un'associazione particolare che vi ho raccontato. (dopo aver proiettato 
          come diciamo la mia anima in una donna) è che, quando essa mi 
          lascia, scatta in me la percezione che è l'anima che lascia il 
          corpo, sento moltissimo questo fatto
        Pat Sophie G.
          Poi c'è anche la parte maschile che diventa anima nei tuoi quadri, 
          in certi momenti. Lì vedi proprio che il percorso è continuamente 
          a spirale...
        Vittorio M.
          Più che l'anima, i personaggi maschili dei miei quadri significano 
          il Sé, Eros, il divino. Un uomo identifica la propria anima con 
          la donna, con la madre, mentre il destino, il compimento dell'anima 
          è nella linea di un principio maschile, come il sole, come il 
          padre. 
          Ma vediamo la spirale a cui Francesco ha accennato prima. E' un segno 
          che troverai nei miei quadri centinaia di volte. Pensando alla vita 
          e alla morte, al giorno e alla notte , abbiamo riconosciuto che si tratta 
          di una realtà ciclica. E' sempre la stessa esperienza che bisogna 
          ripetere, non però in un cerchio chiuso, ma appunto in una spirale 
          attraverso la quale evolviamo. Io però assumo la spirale non 
          solo come cammino di sviluppo ma come principio motore dell'universo, 
          una galassia è una spirale, il Dna è una spirale...Questo 
          l'ho sentito sia a livello istintivo, sia a livelli estremamente più 
          elaborati, come nel progetto della Città Nascente per il nuovo 
          centro di Firenze, che è tutto costruito sulla spirale. Essa 
          parte dal centro sacrale della città e poi da lì si apre 
          e sviluppa in volute sempre più larghe fino a coinvolgere virtualmente 
          tutto il mondo e, da tutto il mondo, se vuoi, ritorna al centro. E' 
          una specie di molla con un movimento ritmico, così almeno lo 
          sento. Dipingendo, non mi è mai venuto in mente di costruire 
          geometricamente la spirale ma in quel progetto l'ho fatto, con una progressione 
          geometrica che può essere anche una progressione armonica
        Francesco R.
          Comunque è una forza centrifuga quella che tu esprimi...
        Vittorio M.
          Centrifuga e centripeta, centrifuga perché, partendo da questo 
          punto, da questo cuore, ti espandi in tutto l'universo, e anche centripeta 
          perché la forza, l'energia di tutto l'universo giunge a te, con 
          un movimento inverso ma uguale, come se ci fosse quindi un grande ritmo, 
          un grande respiro...
        
		
        il dibattito può proseguire on line scrivendoci: 
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