Dibattito
- Incontro n° 18
Vittorio M.
Ecco, questi sono i quadri che volevo farvi vedere stasera. Come sempre
vi chiedo se qualcuno di voi ha qualcosa da dire...
Livio Z..
L'ultimo quadro è il più affascinante..
Vittorio M.
Quando io dipingo gli angeli che mi parlano, non vorrei che pensaste
che io sia un po' matto e neppure che abbia qualche speciale potere.
Viviamo tutti in una sfera - il seminario era cominciato con la metafora
della caverna oscura - una sfera di oscurità, e tendiamo alla
luce. Questa luce è non solo qualcosa di visivo, ma è
fatta di suono, di parola, è come se il cosmo intero, il divino
in noi ci parlasse, ci parlasse per svegliarci, per condurci alla luce,
a un'altra dimensione, che secondo me è la vera dimensione, oltre
quella temporale, provvisoria, futile, della nostra vita e della nostra
morte, una dimensione che va al di là. E' questa che possiamo
immaginare come un angelo che ci parla. Per tutta la vita ho poi sperimentato
istintivamente che, accanto a quest'angelo che ci parla, di fronte ad
esso, c'è qualcosa in noi che lo rifiuta. Io mi volto dall'altra
parte, non ne voglio sapere, mi copro, dormo...Gesù stesso diceva:
Effatà!, svegliati, apri gli occhi. In questo quadro, finalmente
mi volto e guardo l'angelo, è arrivato il momento dell'incontro!...
No, no, non ancora, perché io non ho gli occhi per vedere, il
mio viso è impastato di terra, di ombra.
Pat Sophie G.
E' come se tu avessi voglia di specchiarti, però lo specchio
non riflette...e allora tutta questa foga di andare nell'azzurro, di
lanciarti in quell'onda....è proprio come un'aspirazione che
rimane bloccata ...è un desiderio veramente forte ma non è
ancora arrivato il momento.
Vittorio M.
.E' un quadro di molti anni fa, non so se nel frattempo ho fatto dei
progressi....comunque, io ho affrontato questo seminario mostrando spudoratamente
la mia ombra, non come un fatto personale, ma perché penso che
sia un fatto comune a tutti noi. Io, in qualche modo, ho percorso la
strada della pittura per aiutarmi a prenderne coscienza, ma molti non
sospettano neanche di vivere nell'ombra, pur risentendone ogni giorno
gli effetti negativi.. E' questa la nostra situazione. Quindi, c'è
una condizione materiale e una spirituale, c'è un'ombra e una
luce, il transito dall'una all'altra è l'argomento non dico della
nostra condizione individuale, la mia e la vostra, ma di tutta l'evoluzione
cosmica. Quindi non c'è da meravigliarci che non si arrivi così
facilmente alla luce. L'importante è di essere in cammino, di
partecipare come si suol dire, ai diversi livelli in cui ci è
possibile farlo. Per consolarmi mi dico che, almeno, non mi volto più
dall'altra parte, ed è già qualcosa...
Francesco R.
Io vorrei sottoporre due domande. Innanzitutto devo dire che sono veramente
sorpreso dalla bellezza e dalla pregnanza della tua pittura, che non
conoscevo assolutamente. La prima domanda che volevo farti è
se c'è un principio geometrico dietro la tua costruzione pittorica,
e la seconda è che, sentendoti adesso dire nell'ultima parte
del tuo discorso che hai unito il senso di due fenomeni, cioè
suono e luce, volevo chiederti se hai sentito dire che in sanscrito,
luce e suono sono uniti da una loro affinità fonetica, bar e
sbarr, sono quasi la stessa parola. e quindi è molto attinente
a quello che dicevi.
Vittorio M.
Ti ringrazio molto della tua osservazione. Non ho mai approfondito questo
fatto, ma sappiamo che
il fiat lux della bibbia equivale all' Om dell' induismo, è la
stessa cosa, la luce o il suono primordiale. Qui non vorrei scomodare
un concetto così importante, però tutto si lega, è
la parola che è luce che fa uscire dall’oscurità,
l’oscurità che potrebbe equivalere al silenzio. Non lo
menziono però in un senso negativo, come se il silenzio equivalesse
all'essere privati di luce. E' piuttosto dal silenzio che viene il suono
come dall'oscurità viene la luce. Il silenzio ha una sua meravigliosa
realtà: silenzio, vuoto e oscurità mi sembra che vadano
proprio insieme se sono compresi come il bacino vivo, germinante dell’essere,
non come un'oscurità negativa, non come un essere messo a tacere,
non come un cadere nel vuoto.
Luisa G.
Infatti è molto bello che tu metta il vuoto al centro dei tuo
quadri. Se non sbaglio, hai detto prima che il vuoto lo vivi con serenità
e non paura, come un'apertura. Si può vedere nel tuo quadro (1990.08.22
Aurora), che mi è piaciuto molto, mi sembra di vedere in esso
anche un sipario, non so se è così..
Le braccia fanno poi concentrare l'attenzione sul vuoto che è
al centro del quadro.
Vittorio M.
Il sipario ti fa pensare a una certa teatralità ed è vero.
Sono tante le fonti di una piccola ispirazione, fra cui la poesia degli
antichi in cui si parlava sempre del sole che giungeva in una biga trainata
da cavalli d’oro, oppure dell'aurora con cui si alzava il sipario
del giorno, come in un teatro. Quanto al vuoto, in quasi in tutti i
quadri si troverà la sua centralità, intorno a cui le
forme vengono in qualche modo generate. Bisognerebbe inventare una teoria
astronomica ad hoc, per spiegare questa idea che il vuoto sia come una
centrifuga che genera delle forme tutt' intorno, ma non mi avventurerei
troppo in questa supposizione.
Roberto, scusa se ti provoco, ma hai qualcosa da dire?
Roberto P.
Sinceramente no
Vittorio M.
Ma in un incontro precedente avevamo discusso di un altro quadro (1989.11.09
Proserpina) in cui avevi notato una discordanza di colori, riferendola
a un conflitto fra l'apollineo e il dionisiaco. Io uso i colori in modo
molto istintivo, non certo per adattarli a una storia, mentre è
proprio dal colore che, per qualche strana alchimia, nasce la storia.
Se il colore è discordante vuol dire che la storia è discordante,
ma io comunque non vedo negli opposti una discordanza ma solo la grande
dualità della vita che è presente in tutto, non solo nel
maschile e femminile, ma nell'ombra e nella luce, nella vita e nella
morte, e anche nelle due fasi della storia di Proserpina. Vedo anche
la necessità dello sforzo di portare, nella misura delle nostre
forze, questa dualità all'unità, riconoscendola anche
nell’amore fra uomo e donna e in ogni altro aspetto della vita.
La vedo anche nel rapporto fra i colori o fra i suoni, in cui armonie
e dissonanze hanno la loro funzione, in un'ottica o una logica che non
sono in realtà tali ma fanno parte di un impulso fondamentale,
presente in tutto l'universo come nel nostro stesso animo.
Elisa M.
A me ha colpito invece molto il rapporto tra l’ amore e l’atto
della creazione, quando dici che l’amore è un atto di creazione,
che posso rappresentare l’amore con un atto di creazione
Vittorio M.
È una cosa che ha colpito anche me. L'ho notata riguardando questi
quadri e mi ha fatto pensare. Se guardo un fiore, una rosa, o anche
una semplice foglia, come faccio a non pensare che tutto questo è
stato fatto con amore? Mi si dirà che è il risultato di
un processo biologico, di un'evoluzione, ma non può non colpire
che in esso, come in tutte le cose e in tutte le creature, ci sia una
grazia straordinaria, una perfezione, una bellezza, proprio come nel
viso di una bella fanciulla. La mia ingenuità è di pensare
che c'è qualcosa o qualcuno che, in qualche modo, ha amato questa
foglia, questa cosa e quindi l’ha fatta bella.
Lo stesso lo fa in fondo l’artista. Egli è un uomo particolare,
in tante cose vale meno rispetto ad altri uomini, è meno serio,
onesto, è vanitoso, narcisista, però in qualche modo è
un mimo: è un dono prezioso perché, attraverso la mimica,
egli ripete, anche se nei suoi e nostri limiti, l'atto della creazione.
Quando l’artista fa un'opera d’arte, se è un vero
artista la fa proprio con amore, non la fa per affermare una volontà
o un concetto. Ce ne sono che si innamorano di un concetto di per sé,
nello stesso modo in cui si innamorerebbero di una macchina, di un oggetto,
di un effetto particolare, di una prospettiva di successo....ma non
sono veri artisti perché non è appunto vero amore. Il
vero amore richiede di dimenticare se stessi e di darsi totalmente a
ciò che si ama. Un vero artista si applica alla sua opera con
amore - lo si vede bene nei quadri di una volta, Leonardo per anni e
anni ritornava sullo stesso quadro per una qualche sottigliezza - ma
oggi il discorso è cambiato, non si lavora più per amore
ma seguendo impulsi vitalistici, aggressivi, erotici, inconsci o, al
contrario freddamente calcolati. Vorrei dire che l'idea dell'arte vera
si lega all'amore, altrimenti è qualcosa di mercenario, proprio
come il sesso e, purtroppo, proprio come accade in gran parte del mondo
dell'arte di oggi.
Tornando all'uomo che si innamora di una donna, o viceversa, e come
se si innamorasse della creazione tutta intera, vede nella persona amata
il paradiso, la idealizza, proietta in essa i suoi archetipi, il suo
sangue. Magari in questa persona non ci sono neppure le cose stupende
che egli ci vede, ma è appunto come se lui la creasse, proprio
come un artista crea la sua opera (in una tela o in una pietra in cui
nessuno vedrebbe qualcosa di speciale), e soprattutto come il Creatore
crea la sua creatura. Potete immaginare, nello stesso modo, che cose
straordinarie Egli vede nell'uomo, che meraviglioso destino, quando
noi non ne viviamo che
l'oscurità e l'ignoranza?
Pat Sophie G.
Scusami, Vittorio, tu hai detto che la persona amata non ha magari particolari
qualità... L'artista non è poi che inventi qualche cosa,
egli coglie ciò che esiste. Così, questo cogliere ciò
che esiste si può riferire anche a una persona che ha magari
poche qualità: si può sempre coglierne la parte non visibile,
non espressa o
bloccata, e metterla in rilievo, non è che non ci siano delle
qualità da mettere in valore, ma esse devono essere tirate fuori
attraverso l'amore.
Vittorio M.
Si, in ogni cosa, in ogni persona c'è la più grande ricchezza,
occorre trovarla, rivelarla. A proposito dell'artista che inventa, ricordiamo
che in latino invenire vuol dire trovare, trovare quindi ciò
che già esiste e richiede solo di essere riconosciuto e messo
in valore. Insomma, il divino, la bellezza, l’amore sono in tutto,
bisogna solo avere gli occhi per vederli. E' come se ci fossero in tutto
il mondo i semi di tutto e che essi si risvegliassero nel momento in
cui possono entrare in una relazione, in infiniti modi possibili, che
sia il contatto del seme con il terreno, o quello di una persona con
un'altra
Francesco R.
Se mi dai il permesso ricomincio a parlare. Innanzi tutto, di fronte
a questa bellezza e ricchezza di provocazioni, io avrei grande piacere
di rivedere il dipinto, non so come chiamarlo, mi viene da dire "coscia
lunga"
Vittorio M
Coscia lunga? sei un intenditore...
Francesco R.
...non per il piacere erotico, ma c'erano due tornitissime, meravigliose
colonne, due gambe rosa, con una luce stupenda. Visto da qui il quadro
ha una luce, un cromatismo, che si fonde nel corpo di questa figura
femminile che è veramente di una grande delicatezza, mi piace
moltissimo. Però qui mi sono chiesto: qual'è il senso
di quella spirale che tu metti e che poi ho rivisto in un quadro seguente,
che è quello che mi ha portato a farti una domanda sul suo fondamento
geometrico. Ne ho colto la distribuzione dei pesi ma solo istintivamente,
perché io non ho le competenze per effettivamente affermare che
ci siano, però in un quadro seguente ritorna questa spirale ma
con dei pesi molto più forti che mi hanno costretto a guardarlo
dinamicamente, cioè ne ho sentito più forte il suono,
è li che ho visto un principio geometrico.
Mi viene poi da fare un'altra osservazione, intanto che riguardiamo
questi bellissimi dipinti che, come tu dici, appartengono ad un periodo
determinato della tua creazione, della tua produzione. Vedendoli cosi,
in maniera disordinata per me, da osservatore occasionale, mi sembra
che raccontino una storia, hanno una organicità nella loro sequenza,
come ce li hai mostrati.
Vittorio M.
Tu purtroppo sei arrivato per ultimo, noi abbiamo già fatto sei
incontri, che prima ho brevissimamente sintetizzato per Livio, non per
te che sei arrivato ancora dopo. La storia che racconto ha un fondamento
personale: tutti questi quadri sono relativi ad amori o disamori veri,
reali, ma la storia più profonda che ne è nata e che ho
cercato di spiegare è questa vicenda dell’anima umana di
cui ho dato una lettura in diverse fasi. Scusatemi se devo ripeterla,
è la storia di Euridice, di cui Orfeo va alla ricerca, poi la
storia di Proserpina, in cui essa vive per metà del tempo nell’Ade
e poi, dal prossimo incontro, la storia di Psiche. Il filo conduttore
di questo percorso è che il rapporto fra uomo e donna è
visto come metafora del rapporto del corpo con l’anima, la vicenda
quindi del nocciolo del nostro essere al mondo. Nella prima parte del
discorso tu assisti alla perdita dell’anima: c'è una serie
lancinante di quadri che esprimono proprio la discesa agli inferi alla
ricerca di Euridice che poi non troveremo mai, sarà persa per
sempre. E' questa una concezione negativa del mondo, quella dell’uomo
totalmente immerso nella materia e che ha perso la sua anima, mentre
il mito di Proserpina sarà invece letto non solo nell'accezione
classica dell'alternanza delle stagioni ma nell'analogia di una stessa
alternanza fra giorno e notte, vita e morte, corpo e anima. Con la storia
successiva di Psiche l'esperienza dell'anima si farà del tutto
matura e autonoma, non sarà più né persa per sempre
né dipendente da un'alternanza ma raggiungerà la sua consapevolezza.
Non a caso Psiche vene accolta fra gli Dei ed è questa la fine
della storia, quando l'anima umana scopre la sua natura divina. Questo
comporta la ricerca, la scoperta di quel Sé interiore che in
moltissimi quadri si vede sommerso, mutilato: è cioè il
divino che è in noi, ma in un modo inconscio, che dovremo portare
a consapevolezza e unità.
Questo è il filo conduttore del seminario e della mia pittura.
Io ho la grande fortuna che, invece di fare analisi, come dovremmo fare
tutti, ho avuto l'opportunità di lavorare alla mia consapevolezza
attraverso i quadri. E' come se tu potessi vedere, su trenta, quarant'anni,
tutti i tuoi sogni allineati uno dopo l'altro e non dimenticati- ci
dimentichiamo i sogni di un'ora prima, figuriamoci se sono di qualche
decennio prima - io invece vedo tutti i sogni allineati cronologicamente,
hanno tutti un senso, un senso profondo, vero, sono perfettamente visualizzati
e conservati. Questa è stata per me una grande fortuna, che cerco
di condividere con voi, ma non è possibile farlo in una piccola
conversazione...ci è voluto un seminario e bisogna almeno prenderne
qualche dispensa per seguire meglio il lavoro fatto.
Francesco R.
Lo farò senz'altro e mi scuso. Purtroppo è molto umano
di non poter partecipare come vorremmo e di essere quindi talvolta assenti.
Penso a Orfeo e Euridice: lui si volta a guardare se lei lo sta seguendo.
Quindi tu getti uno sguardo su una faccenda che è la tua vita,
non ti preoccupi più dell'oggetto che è stato all'origine
della tua creazione, ma non ne perdi la storia. Orfeo non perde la storia,
perde Euridice.
Vittorio M.
Quello che mi ha fatto molto pensare è che, in tutti questi miti,
c'è in comune una cosa, la vista. Orfeo si volta per vedere Euridice
e, nel momento stesso in cui la guarda, lei scompare. Proserpina viene
trascinata nell'inferno, nell'oscurità totale, dove non può
vedere nulla. A Psiche accade la stessa cosa, viveva questo amore dolcissimo
per Eros, però a condizione di non vederlo, poiché per
qualche regola divina Eros non poteva esser visto da un mortale. Psiche
lo ama comunque ma poi, messa su dalle sorelle che le dicono...ma come...
fai l'amore con qualcuno che non conosci, magari è un mostro,
ti racconta che è un Dio ma invece...la convincono così
a munirsi di una lampada che Euridice accende per vedere questo Eros
che però, una volta visto, scompare all'istante. C'è quindi
in tutti e tre i miti questo fatto misterioso: che l'uomo vuole vedere
ma nel momento in cui vede, scompare l'oggetto della sua vista e del
suo desiderio. E' tragico, non ne so dare una spiegazione, anche se
tenderei a dire che, se uno crede di vedere al di fuori di sé
qualche cosa, oggettivandola, proiettandola, banalizzandola anche (Psiche,
nonostante che vivesse un amore meraviglioso sia pure al buio, voleva
vedere in carne ed ossa l'amato) ha perso il senso delle cose. Il senso
delle cose, quello che c'è da vedere, o da udire, è la
verità interiore, quella che è nel nostro cuore, non devo
voltarmi a vedere se c'è Euridice, non devo accendere una lampada
per vedere Eros, gli occhi e la lampada devono essere dentro di noi.
Quindi c'è una specie di proibizione divina che però nello
stesso tempo è l'esortazione a vedere veramente, a vedere cioè
nel tuo cuore la divinità che tutto vede...non è un gioco
di parole, ti è proibito di vedere la divinità all'esterno
solo perché proprio non c'è, mentre è all'interno
di te che devi trovarla.
Pat Sophie G.
L'amore era bloccato dalla cara "mammina", giusto? era la
madre che non voleva...? Non voglio però farti una domanda personale,
ma solo capire in che cosa consisteva il tuo blocco nel non poter vedere...il
motore che bloccava e nello stesso tempo spingeva...in fondo è
sua madre che aveva mandato Eros da Psiche per farla innamorare di un
uomo brutto per punirla della sua bellezza. Si è visto poi che
Eros, pur essendo un dio, ha paura della mamma e, a causa di questo,
costringe Psiche in una situazione difficile. Chi era dunque la tua
mamma....non parlo della mamma vera ma di ciò che ha causato
questo blocco?
Vittorio M.
prima di tutto, anche se non vorrei parlare di cose autobiografiche,
ricordo che mia madre condivideva la possessività di Venere,
che è di tutte le donne, ...ma, credimi, mi sono larghissimamente,
"globalizzatamente" liberato..
Quanto a questo blocco che ci impedisce di vedere, chiamiamolo così,
bisogna pensarci profondamente. Penso che sia la condizione umana in
generale di non riconoscere la felicità e di crearsi il dolore;
poi, oggettivamente, noi viviamo in una condizione di dolore. Per quanto
le giornate possano essere belle e luminose noi viviamo in una situazione
di oscurità permanente, con la ricorrente illusione di uscirne.
In ogni ciclo, che sia quello di un amore o di una vita, si giunge a
un momento di luce, da cui poi si ritorna di nuovo nell'oscurità.
Non accade forse anche al sole di splendere a mezzogiorno e poi spegnersi
al tramonto? Penso che questa sia proprio una realtà ineludibile,
la condizione di tutti. Se non ne fossimo condizionati, se fossimo liberi
di "vedere" e di "udire", se fossimo illuminati,
credi che saremmo in questo mondo a soffrire e a cercare di liberarci?
Il blocco di cui parli è la forza che ci ha fatto nascere, al
fine di poter giungere un giorno a liberarcene. Abbiamo parlato della
reincarnazione poiché non basta certo una vita per questo. Altro
che blocco della mammina! Io mi trascino questo blocco da milioni di
vite, come tutti voi, e chi non lo sa vive nell'illusione. Bisogna tornare,
ritornare, ogni volta sbattere il naso contro la morte, contro la giornata
che finisce, la vita che finisce, contro la nostra cecità, contro
la nostra sordità, sordi a tutto quello che è in un'altra
dimensione ma che è la nostra vera dimensione! Tuttavia l'angelo
ci parla, la luce ci inonda, c'è tutta una sostanza spirituale
dell'universo di cui noi rappresentiamo una caduta, una polvere. La
nostra vera madre è la polvere, è la terra. Poi c'è
il padre che è invece un principio di spirito, di luce, è
anzi "il" principio....
Pat Sophie G.
Nello stesso tempo, quando tu riesci a tornare all'anima, tendi a quello
che si intende con il femminile, quindi concludi...si fa per dire perché
poi ricomincia...
Livio Z.
Non capisco...l'anima è femminile?
Pat Sophie G.
Maschile o femminile sono concetti rigidi, tutto ciò in realtà
è l'uno, però è anche vero che quando noi abbandoniamo
il femminile, come fa la nostra religione, perdiamo l'anima...
Vittorio M.
Io sento l'anima al femminile, ma Jung associava l'animus al maschile,
E' la stessa cosa, cioè è una parte interna di noi che
noi tendiamo a investire, a proiettare all'esterno, ma la ricerca del
femminile da parte del maschile, e viceversa, è sempre in rapporto
al fatto di volerci ricongiungere in un'unità. Io penso che l'unità
primigenia, l'unità divina, non ha né maschile né
femminile, è Uno e non due.
Pat Sophie G.
Non è possibile dire che sia femminile o maschile l'anima o l'animus,
in realtà chi si è materializzato al maschile, cerca l'anima
al femminile, chi si è materializzato al femminile cerca l'anima
al maschile. In questo senso non è possibile definire e separare
il concetto di anima perché è un tutto.
Vittorio M.
La vera realtà è un'unità, noi cerchiamo sempre
di dividerla in due e troviamo allora questa dualità in tutto
Pat Sophie G.
Tu nei tuoi quadri, poiché sei materializzato in un maschio,
identifichi la tua anima con la donna amata.
Vittorio M.
Un'associazione particolare che vi ho raccontato. (dopo aver proiettato
come diciamo la mia anima in una donna) è che, quando essa mi
lascia, scatta in me la percezione che è l'anima che lascia il
corpo, sento moltissimo questo fatto
Pat Sophie G.
Poi c'è anche la parte maschile che diventa anima nei tuoi quadri,
in certi momenti. Lì vedi proprio che il percorso è continuamente
a spirale...
Vittorio M.
Più che l'anima, i personaggi maschili dei miei quadri significano
il Sé, Eros, il divino. Un uomo identifica la propria anima con
la donna, con la madre, mentre il destino, il compimento dell'anima
è nella linea di un principio maschile, come il sole, come il
padre.
Ma vediamo la spirale a cui Francesco ha accennato prima. E' un segno
che troverai nei miei quadri centinaia di volte. Pensando alla vita
e alla morte, al giorno e alla notte , abbiamo riconosciuto che si tratta
di una realtà ciclica. E' sempre la stessa esperienza che bisogna
ripetere, non però in un cerchio chiuso, ma appunto in una spirale
attraverso la quale evolviamo. Io però assumo la spirale non
solo come cammino di sviluppo ma come principio motore dell'universo,
una galassia è una spirale, il Dna è una spirale...Questo
l'ho sentito sia a livello istintivo, sia a livelli estremamente più
elaborati, come nel progetto della Città Nascente per il nuovo
centro di Firenze, che è tutto costruito sulla spirale. Essa
parte dal centro sacrale della città e poi da lì si apre
e sviluppa in volute sempre più larghe fino a coinvolgere virtualmente
tutto il mondo e, da tutto il mondo, se vuoi, ritorna al centro. E'
una specie di molla con un movimento ritmico, così almeno lo
sento. Dipingendo, non mi è mai venuto in mente di costruire
geometricamente la spirale ma in quel progetto l'ho fatto, con una progressione
geometrica che può essere anche una progressione armonica
Francesco R.
Comunque è una forza centrifuga quella che tu esprimi...
Vittorio M.
Centrifuga e centripeta, centrifuga perché, partendo da questo
punto, da questo cuore, ti espandi in tutto l'universo, e anche centripeta
perché la forza, l'energia di tutto l'universo giunge a te, con
un movimento inverso ma uguale, come se ci fosse quindi un grande ritmo,
un grande respiro...
il dibattito può proseguire on line scrivendoci:
arcadelduomo@gmail.com