Nel dibattito sono intervenuti anche: Livio Zeller, Pat Sophie Graja, Francesco Rampichini, Luisa Gonnellla,
Elisa Merli.
Vittorio Mazzucconi
Nel nostro Seminario, attraverso la pittura, si vuole raccontare l'esperienza
della nostra anima, della vicenda umana. L'abbiamo fatto seguendo il filo
conduttore dell'eros, con la lettura di diversi miti. Il primo mito è
stato quello di Euridice, con la discesa agli Inferi di Orfeo che va alla
sua ricerca, il secondo di cui ci siamo appena occupati è quello di Proserpina,
e il terzo che inizieremo la prossima volta riguarda Psiche.
Nel mito di Proserpina abbiamo imparato una cosa importante, cioè che
la nostra anima, invece di perdersi negli Inferi senza speranza come Euridice
- io parlo degli Inferi pagani, ma in fondo l'inferno cristiano non è
molto diverso - trova una specie di equilibrio, di compromesso fra l'al
di là e l'al di qua. Proserpina per metà del tempo vive infatti nell'Ade
e per l'altra metà sulla terra. Questo è importante perché mi porta a
tutta una serie di paragoni, cioè non solo con l'alternanza delle stagioni
che gli antichi Greci leggevano in questo mito, ma anche con l'alternanza
fra il giorno e la notte, e soprattutto l'alternanza fra la vita e la
morte. Quindi, allargando un po' il senso del mito, l'alternanza fra la
vita e la morte ci apre una prospettiva molto profonda, portatrice di
speranza, perché vuol dire che la nostra vita può non chiudersi nell'arco
di una piccola e brevissima esperienza, ma, essendo un fatto ciclico,
si può estendere a molteplici incarnazioni.
Il mito di Proserpina si è associato per me all'esperienza di un amore
reale. di cui la pittura ha espresso la nascita come l'accendersi di una
piccola luce dopo tutta l'oscurità precedente della discesa agli Inferi.Vi
ho poi mostrato in successive scene di amore, di unione, di divisione,
l'evoluzione di questo nuovo amore fino alla sua fine drammatica, ancora
una volta, giungendo a un ultimo quadro che ne trasferisce il dolore su
tutt'altro piano: la grande Crocifissione che ho esposto a suo tempo nella
Basilica di San Simpliciano. Può apparire blasfemo l'accostamento di una
storia di amore alla Crocifissione, ma voglio solo dire che, nei momenti
di grande dolore, un dolore non dovuto a cause trascendentali ma a cause
molto umane, l'immagine del Crocifisso ritorna sempre in me come simbolo
del dolore. Proprio in questi giorni c'è una polemica sull'uso del Crocifisso
nei luoghi pubblici, ma questo è un altro discorso. Diciamo che una spinta
inconscia mi ha portato a fare tre o quattro quadri molto drammatici sulla
Crocifissione, e li ho fatti quando ero molto addolorato. Qualunque fosse
stata la causa del dolore, io l'ho risentita come una stretta al cuore
e sono stato portato ad associarlo, come si può fare di ogni altro dolore
del mondo, al simbolo più pregnante del dolore, che è radicato ormai nella
nostra coscienza come un archetipo.
Dopo il mito di Euridice
e la discesa agli Inferi di Orfeo, eravamo entrati in un periodo di intervallo
che ho chiamato la "notte dell'anima", in cui non c'era più il grande
fuoco dell'eros, con la sua forza vitale, ma c'era in qualche modo una
luce lunare, che permetteva di vedere delle cose su un piano più elevato
di esperienza. Verrà il giorno in cui potrà rinascere l'amore ma, prima
che questo possa accadere, c'è appunto un intervallo, proprio come l'intervallo
fra una giornata e la giornata successiva, che può essere paragonato a
una notte. In essa avvengono dei sogni, come nella notte risplende in
un cielo interiore la luna, e quindi, come ci è accaduto di dire in altri
incontri, c'era, nel periodo successivo a quello della discesa agli Inferi,
questo senso di luce lunare e di percezione, non dico soprannaturale,
ma vicina a un qualche spiraglio di esperienza soprannaturale, come accade
appunto nei sogni. In essi riaffiorano magari delle scene banali della
giornata, seguendo vari impulsi o anche vivendo degli incubi, ma certe
volte passa anche un messaggio misterioso, che ha per noi un senso molto
importante, se siamo capaci di comprenderlo. Qualcosa di simile accadeva
quindi dopo il periodo di Euridice.
Dopo quello di Proserpina è accaduto invece qualcosa di diverso, ed è
di questo che parliamo stasera. In un certo senso abbiamo imparato a gestire
questa esperienza, in modo tale che la perdita dell'amore non sarà più
una perdita totale, senza speranza. come non sarà più una perdita totale
la morte, se beninteso riusciremo a convincercene. Non voglio dire che
la perdita, in un caso o nell'altro, non sia dolorosa, ma l'importante
è che segua ad essa la possibilità di un recupero vitale e naturale, nell'ambito
della ciclicità dell'amore e della vita stessa. Anche la separazione fra
corpo e anima non ci sembrerà più definitiva. Certo non si ricongiungeranno
lo stesso corpo e la stessa anima, come non lo faremo noi con le persone
amate da cui ci siamo separati, ma altri amanti, altre incarnazioni realizzeranno
di nuovo l'unione.
Con questa comprensione, la nostra anima non rimarrà annichilita dopo
una perdita: pur risentendola, imparerà in qualche modo a gestirla. Rendendosi
conto della sua ciclicità, come nel mito di Proserpina, capirà che non
si può vivere sempre nella luce dell'estate ma che occorre farlo anche
nell'oscurità dell'inverno. Troverà un equilibrio, che si potrebbe anche
chiamare un compromesso, se non fosse invece qualcosa di molto ma molto
più grande, ossia l'armonia del tutto, in cui gli opposti si compongono.
Nei quadri che vi farò vedere, spero che noterete anche una creatività
molto più aperta e libera di quella della pittura precedente. E' come
se l'anima, una volta sciolta dall'unione col corpo, fosse appunto libera
di compiere nuove esperienze con un surplus di creatività. E' come se
potesse entrare nelle esperienze ed uscirne a suo grado, invece di essere
pesantemente e rigidamente legata a un corpo, a un rapporto. Io parlo
indifferentemente dei due invitandovi continuamente a vedere insieme la
perdita di un amore e la perdita di una vita. Che dopo la perdita di un
amore e il lutto che porta con sé ci si senta liberi e ricchi di una nuova
vitalità, ne abbiamo fatto tutti l'esperienza. Ma l'analogia che io vi
propongo ci lascia immaginare che, anche dopo la nostra morte, la nostra
anima conoscerà questa libertà, questa creatività. E' una bella notizia. |