Dibattito - Incontro n° 17 
        
Dopo avervi esposto questi quadri, cominciamo il nostro dibattito come 
          al solito. Chi vuole dire qualcosa?
        Gerardo P.
          I quadri nascono così, già scomposti, oppure fai prima 
          il quadro intero e poi lo scomponi?
        Vittorio M. 
          Si, faccio il quadro intero e lo scompongo solo dopo. Ma ti ripeto, 
          non è una ricetta e non è che l'abbia fatto per tutta 
          la vita. Questo quadro (Proserpina) è fatto in quattro pezzi 
          ma non è stato scomposto. Voleva dire che aveva già raggiunto 
          quello che doveva essere. Altre volte la scomposizione è una 
          marcia in più. Il quadro poteva magari andare già bene 
          ma, con la scomposizione...per es. quel quadro che hai accanto a te 
          (1989.11.20 I misteri dell'amore 1) era nato con la figura angelica 
          o demoniaca sulla sinistra, come uno spettatore di quello che accadeva. 
          Il fatto di averlo portato in centro ha un forte senso, quello della 
          centralità del Sé. La scomposizione non è un gioco 
          come aveva creduto una nostra amica, per me ha un senso, certo qualcuno 
          può ricomporlo in un altro modo.
        Ti faccio un altro esempio, con la facciata dell'Avenue Matignon che 
          ho realizzato a Parigi tanti anni fa. Prima della costruzione esisteva 
          un vecchio edificio che avevo molto amato. Fu purtroppo demolito nonostante 
          le mie proteste ma ne rimase in me una memoria che animò il nuovo 
          progetto. Il lungo studio che ne seguì tentò molte strade 
          di scomposizione e ricomposizione delle sue parti....come fa un bambino: 
          per capire le cose, esse vanno scomposte e ricomposte, poi ti accorgi 
          che il ricomporle in un certo modo le carica di espressività. 
          La deformazione è l'abc dell'arte, l'artista che dipinge tale 
          e quale quello che vede non è interessante, deve introdurre un 
          elemento di deformazione, legato a un'emotività, legato anche 
          a un intento.
        Gerardo P.
          Mi sembra comunque che il significato che vuoi dare venga dalla rappresentazione 
          dell'intero, che è quello nato dall'ispirazione.
        Vittorio M.
          Si, ma c'è un intero di partenza e c'è un intero di arrivo. 
          L'intero di partenza è un intero, diciamo, ordinario, normale, 
          mentre quello di arrivo (lo è per esempio questa facciata) è 
          una rappresentazione dinamica, perché è stato fortemente 
          interpretato, cambiando, rovesciando degli elementi - guarda per esempio 
          questi particolari - con una alterazione della realtà. Non è 
          però un gioco, non è che per gioco lo si possa fare in 
          tanti modi. Ci sono voluti centinaia di disegni per arrivare a questa 
          facciata. C'è un intero artistico che richiede una scomposizione 
          del reale per comporre l'intero intellettivo, l'intero ideale, ti è 
          chiaro?
          Questa è un'operazione alchemica. Avviene anche nella natura: 
          tutti noi moriamo, i nostri corpi vengono dissolti e, con queste sostanze, 
          la natura crea nuove forme. Quindi, dopo aver fatto un quadro, tutto 
          bello, intero, lo scomporlo, rovinarlo e ricomporlo in un altro modo, 
          è un passo in più.
        Kendall K. 
          La mia sensazione è che, finché Vittorio non tocca la 
          sua realtà interiore, non può considerare terminata l'opera. 
          Anche se essa sembra perfetta, compiuta, se non rispecchia interamente 
          la sua sensibilità ci vuole un cambiamento o quello spostamento 
          che vedi. A me per esempio in alcuni quadri ha dato fastidio una linea 
          bianca che c'era fra due pannelli, ma ho capito che questa linea bianca, 
          che esteticamente non riuscivo a digerire, è essenziale perché 
          aiuta a esprimere, è una finezza della sua esperienza.
        Vittorio M.
          A parte la scomposizione, si può dire in generale che l'arte 
          si appoggia molto sulla deformazione, non è la fotografia del 
          reale. Se però è voluta, se uno prende, come ha fatto 
          Duchamp, la Gioconda, e ci mette su i baffi e la barba, non è 
          una deformazione espressiva, ma per me è solo una buffonata, 
          una provocazione, una volgarità. Ma se Leonardo stesso, invece 
          di dipingere il viso della Gioconda in modo così perfetto, avesse 
          sentito il bisogno di deformarla - magari è deformato ciò 
          che vediamo rispetto all'originale, chi lo sa?. - quella si che è 
          l'arte.
          ....
          Luisa G.
          A me ha molto colpito che tu hai avvicinato la donna come la tua anima
         Vittorio M.
          Questo è il senso dell'amore: uno proietta in una donna la propria 
          anima, se è uomo, o il proprio animus, come diceva Jung, se è 
          donna. Non è però una cosa permanente, e così nasce 
          una differenza fra il momento in cui uno compie questa proiezione e 
          qualche anno dopo, se l'amore finisce, quando egli la ritira.
          Vedo però fra di noi una esimia psicologa, che potrebbe dire 
          in materia molte cose...
        Silvana O. 
          Volevo dire, visto che mi dai la parola come psicologa, che in questo 
          tuo cammino in rapporto con l'anima, sento una sofferenza. Vedo che 
          parti da un fatto reale, che trasponi nella vita simbolica, come amore 
          e psiche, pulsioni ideali e non personali, ma tu pensi che il ricongiungimento 
          a cui aspiriamo sia possibile solo dall'altra parte, e che non lo si 
          possa invece raggiungere qua, nel qui e ora?
        Vittorio M.
          Ci tentiamo continuamente. Ci abbiamo provato già nascendo, quando 
          un' animuccia e un po' di materia hanno cercato di ricongiungersi in 
          qualche modo, e per tutta la vita non facciamo altro, ci congiungiamo 
          con gli altri, nelle relazioni, con l'immagine di noi stessi, e soprattutto 
          nell'amore. Ogni volta ci proviamo, ma ogni volta questo congiungimento 
          si rivela un fallimento
        Silvana O.
          E' questo che io sento, invece mi sarebbe piaciuto che in questo cammino 
          - nel mezzo del cammin di nostra vita, ritornando alla conferenza su 
          Dante di ieri sera - ci fossero dei momenti di esplosione di gioia, 
          come ci sono dei momenti di esplosione di infelicità
        Vittorio M.
          Ma in quelli non dipingo!
        Silvana O.
          La risposta mi è piaciuta!.....tutti ridono
        Vittorio M
          Nei momenti di felicità, dicevo, di solito non dipingo perché 
          sono molto occupato a viverne appunto la felicità.... Se si può 
          però trarre una filosofia da queste esperienze, è quella 
          di dirsi che non solo questi momenti di gioia si sono rivelati effimeri, 
          ma si sono rivelati effimeri anche i momenti di disperazione. ll fare 
          il quadro e il disfarlo, di cui parlavamo prima, è un'immagine 
          di quello che stiamo dicendo. C'è una situazione in cui si costruisce 
          un rapporto, poi lo si smonta, gli si da un senso, e così trovo 
          che la lezione del cammino è proprio quella di giungere a staccarsi 
          dall'oggetto, a non cercare in un'altra persona la possibilità 
          di questo congiungimento, perché si tratta di ricongiungerci, 
          su un piano molto più profondo, a Dio
        Silvana O.
          Il discorso è proprio qua, di un'eliminazione, cioè il 
          riuscire ad arrivare a trovare la parte mancante del nostro Io più 
          profondo
        Vittorio M.
          ...avere un rapporto col divino
        Silvana O.
          ...un rapporto col divino che significa cercare di avere l'illuminazione
        Vittorio M..
          Per risponderti, poiché tu non hai seguito i nostri incontri 
          e sei arrivata tardi stasera, devo riallacciarmi a quanto abbiamo detto 
          nel corso del Seminario, attraverso la sua articolazione in alcune fasi: 
          una fase è quella di Euridice, l'anima che Orfeo ricerca nella 
          discesa agli inferi, e la seconda èi Proserpina, che è 
          in qualche modo uno stabilire un dialogo fra la parte del suo essere 
          che vive sulla terra e la parte invece in cui vive nell'Ade. Anche nella 
          mia esperienza pittorica, si accetta questa divisione, in luce e ombra, 
          anima e corpo, a cui seguirà un nuovo amore, ossia un nuovo tentativo 
          di ricongiungimento. Questo però, non solo non arriva mai alla 
          sua completa realizzazione, ma se ne vede presto il dis-congiungimento, 
          con una nuova separazione. E' un po' come nei quadri che si sono composti 
          e scomposti. La terza fase è quella di Psiche, la cui conclusione 
          è che Psiche è finalmente assunta fra gli Dei. Quindi, 
          dopo un esperienza di amore, felicissimo e poi infelice, si giunge a 
          questa assunzione nel divino, nel riconoscimento cioè della divinità 
          dell'anima umana.
        
          Silvana O.
          ...fra gli Dei, quindi nell'al di là..
        Vittorio M.
          No, non nell'al di là, è il riconoscimento del Dio in 
          noi. Che questo poi accada come un'illuminazione, o come la resurrezione 
          di cui ci parla Gesù, o come un processo evolutivo o infinito, 
          non lo sappiamo con certezza, ma questo è il fine. Io vi ho solo 
          voluto mostrare un cammino, vissuto in modo tale che l'eros si è 
          fatto guida di tante esperienze allineate, successive, dalla perdita 
          dell'anima al rapporto fra anima e corpo, alla loro separazione e, in 
          seguito, all'assunzione dell'anima umana in uno stato divino. Nei prossimi 
          quadri che vi mostrerò, vedrete moltissime immagini di aurore, 
          di angeli, come se esse preludessero a una nascita spirituale, quella 
          del Sé, forme quindi di un percorso positivo, non solo di disperazione.
        Aviva S.
          Intanto mi piace moltissimo questo romanzo che ci hai raccontato attraverso 
          i tuoi quadri, un romanzo in immagini, è stato veramente molto 
          bello. Questo è un aspetto ma...a cosa servirebbero questi innamoramenti 
          dell'eros se, una volta separati dalla donna, dall'uomo che abbiamo 
          amato, non riuscissimo a fare nostri certi aspetti, ma non nell'al di 
          là o nell'al di qua... Come dice Marie Louise von Franz, non 
          c'è separazione peggiore di quella da un uomo negativo, perché 
          noi abbiamo amato in lui quegli aspetti negativi che ci appartengono. 
          In questo senso c'è veramente un ampliamento, vuoi dell'anima, 
          vuoi della personalità, dell'Io, ma c'è sicuramente nella 
          misura in cui noi togliamo la proiezione dalla persona amata e siamo 
          costretti in qualche modo a elaborare quel lutto e a vivere in noi l'aspetto 
          che abbiamo amato. Li c'è un ampliamento, però è 
          al di quà.
        Vittorio M.
          Io non faccio distinzioni fra di qua e di là
        Aviva S..
          ...ma hai parlato di un aspetto divino...
        Vittorio M.
          Si, ma l'aspetto divino è qua. Abbiamo fatto recentemente un 
          seminario dal titolo "Il Lavoro Spirituale". Ogni volta che 
          me ne hanno chiesto una definizione, l'ho detto cento volte, è 
          che il lavoro spirituale non è null'altro che il lavoro materiale, 
          qui e ora, hic et nunc, però con una differenza: un conto è 
          il vivere chiusi nella caverna oscura senza neppure accorgersene e un 
          altro è l'averne invece consapevolezza e cercare la luce, ossia 
          un intento spirituale. Io non credo a un'illuminazione permanente e 
          omni-comprensiva, ma a questo progressivo aprirsi attraverso l'esperienza, 
          nell'amare sempre di nuovo, anche se l'amore nasce e finisce, e poi 
          rinasce ancora...E' come rifare tante volte l'esperienza della vita, 
          si nasce e si muore, si nasce e si muore...
        Aviva S.
          Quello che voglio dire può essere sbagliato, comunque quello 
          che c'è in psicologia e nel pensiero junghiano è che, 
          comunque, non c'è una morte. Questa morte, in qualche modo, è 
          una nascita interiore, è il ritiro della proiezione dall'altro 
          per portarlo in se, se si è capaci; quindi non è una tristezza, 
          se non apparentemente ma, se si è in grado poi di elaborare tutto 
          questo, è un grande arricchimento.
        Vittorio M.
          È una ricchezza, ma non è certo facile rendersene conto. 
          Vi ho mostrato dei quadri in cui si vede un uomo addoloratissimo e l’angelo 
          che cerca di dirgli qualcosa che però lui non capta, perché 
          è chiuso nel proprio dolore e non capisce che quello che gli 
          accade è un'opportunità di crescita, un arricchimento. 
          Se ne renderà conto solo dopo, poi ci ricascherà di nuovo 
          in un'altra forma ma, non so se ti è successo, spero proprio 
          di si, queste forme sono come gradini di una scala con cui, da Euridice 
          a Proserpina a Psiche e oltre fino al discorso sul Sé, si vive 
          una continuità, in una positiva direzione di sviluppo. 
        Gerardo P
          Comunque forse Vittorio le nostre amiche cercano un messaggio di gioia 
          terrena in questa terra più che nell’aldilà...
        Pat Sophie G.
          Vittorio, scusami se ti ho interrotto prima, però è più 
          forte di me, il quadro più drammatico per me è quello 
          delle due teste mozze, però è lì che ho visto anche 
          la gioia quando tu hai fatto venir fuori la testolina d’oro. Innanzitutto 
          è una sola, non sono due, poi non è tanto visibile, si 
          direbbe che è timida. Ho proprio provato un male tremendo, quasi 
          fisico, nel vedere una scena di morte, fino a quando lo sguardo mi è 
          caduto sulla testa d'oro, (proprio mentre tu dicevi di notare che era 
          d'oro), che mi è sembrata anche timida, come in disparte, e soprattutto 
          unica, una testa sola. Qui ho provato un attimo di gioia: E' un sentimento 
          personale, la cosa importante è però che la testa è 
          oltre il discorso dell'al di là o dell'al di qua. E' un'essenza
          Poi, nel quadro, io vedo già l’arca, ho la fissazione dell’arca 
          (vedi l'Arca del Duomo), come se le figure fossero nell'arca e si ritrovassero 
          insieme oltre la separazione, nell'unità che è simboleggiata 
          dall'unica testa. .
        Vittorio M.
          Hai visto bene che la testa è una sola, non soltanto però 
          per i due personaggi del quadro, ma per tutti noi, nel momento in cui 
          raggiungiamo il Sé interiore, oltre la personalità. 
          La nostra vera anima non è quella che noi intendiamo, quella 
          che proiettiamo come dicevamo prima. Soprattutto, essa non è 
          permanente, come già diceva il Buddha. Oserei dire che è 
          una specie di veicolo, un vascello che ci porta avanti e indietro dalla 
          vita alla morte come fosse dalla terra alla luna e viceversa. In realtà 
          è solo un vascello, mentre il nostro vero principio spirituale 
          è al di là dell’anima, che è ancora in qualche 
          modo personalizzata. Diciamo che al livello più basso, quello 
          della nostra vita presente, c'è la personalità che si 
          ritiene autonoma, separata e dotata di un'anima individuale, appunto 
          simile a un veicolo, poi c'è l’anima vera che è 
          come una personalità estesa a diverse vite di reincarnazione 
          e poi c'è infine il Sé, il principio divino. Tutto questo 
          possiamo rappresentarcelo in una scala ascendente ma il principio divino 
          è in realtà presente e comune in tutto e in tutti, è 
          lo stesso in me e in te, è questa testa d’oro, al di là 
          non solo della separazione del corpo e dell'anima ma anche di quella 
          fra le anime. Il cammino dell’anima è di scoprire che è 
          sola soltanto perché si è separata dall'unità divina 
          e che deve quindi intraprendere quel processo di ricongiungimento che 
          passa attraverso l'amore e tutte le altre esperienze della vita. Io 
          credo molto in questo.
        In questi argomenti, i miei interlocutori naturali sono le psicologhe, 
          oltre a Pat Shopie, che sa sempre captare un senso segreto delle cose, 
          Kendall che dice cose bellissime, e voi cosa dite?
        Elisabetta C.
          Oscar Wild diceva: chi vive più di una vita, muore più 
          di una morte
        Vittorio M.
          Questo mi sembra proprio vero, e se ne desume che, in tal modo, conoscerà 
          anche più di una nascita. Sembra ovvio, ma chi lo crede veramente?
        Kendall K.
          Secondo me, è possibile, essendo l'Italia un paese molto cattolico, 
          che l’idea di reincarnazione sia rifiutata per questo. Io la trovo 
          semplicemente ovvia, parte della mia cultura e della libertà 
          di scegliere la religione che preferisco, come si fa nel mio paese, 
          in America. Invece in Italia l’idea di reincarnazione è 
          attualmente rifiutata anche dal papa, quindi potrebbe anche spaventare 
          un italiano. Per me, diciamo, è normale, ogni cosa che hai detto 
          rispecchia la mia esperienza, però io ho degli amici cattolici 
          praticanti che non accetterebbero neanche di sentir parlare di reincarnazione. 
        
        Vittorio M.
          La nostra religione può effettivamente essere un ostacolo a crederci, 
          ma non è il solo. La maggior parte delle persone, anche se non 
          è cattolica, non crede alla reincarnazione, di cui ci si fa poi 
          un' idea molto confusa. Si menzionano sempre le storie di bambini indiani 
          che, senza esserci mai stati, conoscono alla perfezione un villaggio 
          vicino...
        Kendall K.
          Ma io personalmente la prima volta che sono andata a Venezia sapevo 
          già tutto, ho portato il mio fidanzato in un posto, ma io non 
          conoscevo Venezia……
        Vittorio M.
          Tu hai una sensibilità particolare, mentre io mi limito a leggere 
          delle analogie.
        Elisabetta C.
          Accanirsi su una consolazione è come n accanimento terapeutico...è 
          meglio lasciar fluire, come emerge dalle tue storie visive... noi siamo 
          fortunati ad avere così tanti ingressi. La cosa più bella 
          in assoluto, al di là di riflessioni che non sono in grado di 
          fare, è che abbiamo la possibilità di contemplare contestualmente, 
          pensare, vivere, fare un'esperienza...
         Vittorio M.
          Si, noi disponiamo come tu dici di questo straordinario strumento di 
          esperienza e conoscenza, però il fatto che col tempo la disponibilità 
          di questo strumento diminuisce, cessa, e quindi, dopo qualche anno, 
          più o meno, ne sei privata... è un pensiero che ti toglie 
          il fiato. Siamo quindi portati a darcene una spiegazione e a pensare 
          a una continuazione della vita in altre forme, da cui l'idea della reincarnazione. 
          Mi sembra però che un errore in cui possiamo incorrere è 
          di immaginare di rinascere come Vittorio, Liz, o Aviva, non penso che 
          siano le nostre personalità provvisorie che rinascono, è 
          qualcosa di più essenziale che si reincarna.
        Silvana O.
          Scusa Vittorio se chiedo la parola. Qual'è la tua obiezione contro 
          la reincarnazione?
        Vittorio M.
          Non ho nessuna obiezione, al contrario io sono un sostenitore della 
          reincarnazione, si diceva solo che non è un'opinione molto condivisa, 
          Kendall diceva che è a causa della mentalità cattolica 
          in Italia e io aggiungevo che non ci si fa della reincarnazione un'idea 
          molto precisa. Tu che fai regressione ne saprai senz'altro più 
          di noi, ma, nel limite delle mie scarse conoscenze, non credo che noi 
          ci reincarniamo come personalità. Le nostre personalità 
          appartengono a questo corpo, a questo contesto, alla mia cultura, alla 
          mia ignoranza, che muore, finisce con questo corpo. La testa d'oro che 
          notava Pat Sophie si porta invece dietro...
        Silvana O.
          ...si porta tanto...ci portiamo dietro i suoni, gli odori, i profumi, 
          le sensazioni, la sensazione del caldo del sole...ci portiamo dietro 
          tante cose, è come se ci si portasse dietro un file con esperienze 
          a 36o gradi.
        Elisa M.
          Io sono cristiana cattolica, a me sembra che quest'anima, che è 
          destinata a continuare un processo di reincarnazione, sia un'anima dannata, 
          un'anima che non trova mai pace. Prima parlavamo di un tutto, di qualcosa 
          di infinito, che ha però un inizio e una fine. Per me l'anima 
          è qualcosa di infinito che ha un inizio e una fine.
        Silvana O.
          Posso obbiettare? Come diceva Vittorio prima, c'è una scintilla 
          divina in ognuno di noi, lo puoi chiamare il Sé, lo spirito ecc 
          che in qualche modo fa parte di Dio, che si stacca da Dio, che a poco 
          a poco si appesantisce, entra nella materia e, attraverso esperienze 
          sempre più complesse si affina, per ritornare a quello che diceva 
          Vittorio prima, a prendere coscienza del fatto che siamo tutti parte 
          di Dio e dobbiamo quindi raggiungere di nuovo il divino, quindi è 
          Dio che in qualche modo si allontana da se stesso, per poi ritornare 
          a se stesso.
        Vittorio M.
          E' verissimo, non c'è una sola parola che non condivida. Però 
          i cattolici hanno un'opinione diversa, irrigidita nella lettera di un 
          certo insegnamento...
        Paolo M.
          Io sono d'accordo con Elisa. Secondo la tradizione indiana, il karma 
          è una dannazione, una condanna, tant'è vero che a differenza 
          delle prospettive rosee di cui sento parlare, nel karma ti puoi reincarnare 
          anche in un animale inferiore, non solo in uno stato di ascesa... Gli 
          economisti hanno una storiella divertente: Paul Krugman, Premio Nobel 
          per l'economia, diceva che nelle vite passate doveva esser stato bravo 
          perché altrimenti sarebbe rinato fisico o sociologo. Questa è 
          la storia del karma, tant'è vero che la fine di questo ciclo 
          è il massimo che si può sperare.
        Tutti parlano insieme...Paolo continua a dire che il senso del karma 
          è quello di una dannazione, Silvana trova che è ben semplicistico, 
          Kendall difende l'idea del rapporto fra causa e effetto, del fare del 
          bene se vuoi ricevere bene...Paolo dice che è una teoria auto-consolatoria 
          che lo fa anche sorridere, trova molto ingenuo pensare a un percorso 
          lineare verso la luce...magari fosse così, non crede a un processo 
          lineare ma pensa che sia piuttosto una cosa che va avanti e indietro, 
          una condanna...
        Vittorio M
          L'idea che sia una dannazione...beh, ha una sua verità. Se pensiamo 
          all'Uno che si divide nel molteplice, dando così origine a un 
          mondo dove esiste la sofferenza e la morte, non possiamo che associarvi 
          l'idea di una caduta, di una condanna. Penso infatti alla caduta degli 
          angeli ribelli, alla cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso, a molte 
          altre immagini del fatto inequivocabile che non viviamo certo come spiriti 
          puri e felici in paradiso, ma siamo scesi in una condizione di materialità, 
          attraverso la quale facciamo un cammino infinito, partendo dai primi 
          atomi, dalle prime molecole, dai primi animali, e procediamo nell'evoluzione 
          finché non giungiamo alla condizione di esseri umani. Attraverso 
          tutto questo facciamo le nostre esperienze e progrediamo...io guardo 
          all'amore perché mi fa capire come, nell'ambito della mia vita, 
          ne vedo i passaggi cruciali che poi si ripeteranno in chissà 
          quante altre vite, in quante esperienze. E' questa una dannazione? Quello 
          che gli orientali temono, è la ruota del samsara. La prospettiva 
          di rinascere è per loro un incubo poiché, vivendo come 
          poveracci, temono di dover sempre rinascere come poveracci, però 
          nell'induismo c'è anche la forte indicazione di una direzione 
          di ascesa spirituale attraverso pratiche di purificazione. Il Cristianesimo 
          dà uno sbocco decisivo a questa possibilità per l'uomo 
          di accedere a un destino superiore, solo che ne colloca la possibilità 
          in uno spazio di tempo così limitato, in una sola vita, in cui 
          uno nasce e, dopo un brevissimo tempo, muore ed è dannato oppure 
          va in paradiso per l'eternità, che è ben difficile crederci. 
          So che ci sono stati illustri Padri della Chiesa che hanno elaborato 
          questo concetto, ma a noi oggi non può che apparire del tutto 
          irragionevole ed obsoleto, probabilmente dovuto a credenze popolari 
          che hanno deviato il corso del pensiero religioso..
        Pat Sophie G.
          Si parla di karma così semplicisticamente, con l'idea che il 
          karma sia lineare, in uno spazio e un tempo come noi li concepiamo- 
          parto da qui e arrivo li - ma il karma lo si deve vedere come un cerchio, 
          non una linea. E' inutile dire io mi sono comportato bene e rinasco..oppure 
          mi sono comportato male e rinasco in una bestia, noi contemporaneamente, 
          adesso, siamo tutte le nostre cosiddette incarnazioni, nello stesso 
          istante, perché noi siamo tutto ciò al di là dello 
          spazio e del tempo. La quantistica questa cosa ce le fa capire. Quando 
          ti fa capire che siamo noi che creiamo, ci dice che creiamo anche le 
          nostre incarnazioni, e lo facciamo in un contemporaneo, non in un prima 
          o dopo.
        Vittorio M.
          C'è effettivamente questo aspetto, l'intuizione che il karma 
          non sia semplicemente una sequenza, questo è vero. Un'immagine 
          istintiva della reincarnazione che mi viene è quella di un albero. 
          Immaginate l'albero che ha tante foglie: le nostre vite sono come le 
          foglie, non è che ne viva una prima e l'altra dopo. E' l'interezza 
          dell'albero, chiamiamolo il Sé, che si realizza in tutte le foglie 
          insieme, e questo esprime l'idea della contemporaneità di cui 
          parla giustamente Pat Sophie.
          Che cosa sia poi in realtà il karma, non lo sappiamo, è 
          un mistero. Non penso che si possa applicare ad esso un concetto lineare, 
          ragionevole, come se si tenesse una contabilità delle azioni 
          giuste o sbagliate, da compensare poi in una vita successiva. Ci può 
          essere anche questo aspetto, ma, penso, in un ambito molto più 
          complesso. Negarne a priori la possibilità mi sembra però 
          un bendarsi gli occhi, mentre è giusto cercare di avvicinarsi 
          ad essa, di vederla, anche se dobbiamo riconoscere che non possiamo 
          vederla veramente ma solo intuirla per mezzo di analogie
        Paolo M.
          Si è partiti dalla nostra vita in cui, attraverso tante esperienze, 
          si può arrivare, si spera, a dei livelli più alti di coscienza, 
          e su questo si può convenire. Se poi c'è la trasposizione 
          di questa idea a diverse vite, entriamo in un altro campo, legittimo 
          perché ognuno può seguire la propria idea, ma nient'altro. 
          Intanto non segue logicamente e poi è qualcosa che non fa parte 
          dell'esperienza ma di congetture che possiamo avere o non avere, tutte 
          legittime, ne possiamo discutere, ma porre queste due cose sullo stesso 
          piano è un errore logico, si entra nel campo della fede con cui 
          è difficile dialogare.
        Vittorio M.
          Hai ragione, ma è anche difficile dialogare con chi si basa solo 
          sull'aspetto razionale. L'umanità, da tempi immemorabili, si 
          è basata anche su intuizioni, miti, credenze, che cercano di 
          orientarci nella vastità del mondo, non solo fisica. Non si può 
          pretendere che valga solo l' approccio scientifico di tempi molto più 
          recenti, con cui si accetta solo ciò che, sulla base dell'osservazione 
          e dell'esperienza, può esser razionalizzato e confermato. E' 
          certamente così che arriviamo a capire tante cose, ma esse sono 
          solo un pezzettino di un mondo che è però immensamente 
          più vasto, e non parlo solo di ciò che è visibile 
          e tangibile. Tutte le altre forme di conoscenza, la religione, l'arte, 
          la filosofia servono se vuoi a anticipare, ipotizzare, non a certificare, 
          alcuni lineamenti di questa vastità. Si può procedere 
          non solo con osservazioni scientifiche ma con intuizioni, con analogie. 
          Un'analogia è per esempio quella dei giorni, delle stagioni, 
          della vita e della morte, della rotazione degli astri, per farci capire 
          che tutto è ciclico e che lo è quindi anche la nostra 
          vita, come intuisce l'idea della reincarnazione. Un'analogia per esempio 
          è anche questa pittura: se tu prendi tutti i quadri, vedrai in 
          tutti che c'è un'unità ispiratrice, anche se sono tutti 
          quadri diversi....in qualche modo è come se le nostre vite fossero 
          come dei quadri di un unico autore. Un'immagine come un'altra, una semplice 
          a illusione? ma l'amore, l'arte, la bellezza, la santità, la 
          voce dei poeti, la musica che tu ami, è tutta illusione? Invece 
          è proprio questa la realtà umana, non solo le cognizioni 
          di cui si discute nei congressi dei fisici o degli economisti. 
          La verità non è solo ciò che può essere 
          certificato, è un complesso di cui la ragione coglie solo una 
          parte. Bisogna quindi avere la ragionevolezza e anche l'umiltà 
          di dire: conosciamo per certo solo alcune cose mentre, per il resto, 
          abbiamo delle intuizioni che un po' alla volta porteranno anche a delle 
          certezze razionali, ma non certo negare che esista questa vastità, 
          anzi questa infinità del conoscibile e che, oltre alla ragione, 
          non ci siano nell'uomo altre facoltà per avvicinarsi ad esso, 
          soprattutto quella dell'intuizione, che permette di far risuonare nel 
          nostro animo qualche nota dell'armonia del tutto..
        
		
        il dibattito può proseguire on line scrivendoci: 
arcadelduomo@gmail.com