Dibattito - Incontro n° 17
Dopo avervi esposto questi quadri, cominciamo il nostro dibattito come
al solito. Chi vuole dire qualcosa?
Gerardo P.
I quadri nascono così, già scomposti, oppure fai prima
il quadro intero e poi lo scomponi?
Vittorio M.
Si, faccio il quadro intero e lo scompongo solo dopo. Ma ti ripeto,
non è una ricetta e non è che l'abbia fatto per tutta
la vita. Questo quadro (Proserpina) è fatto in quattro pezzi
ma non è stato scomposto. Voleva dire che aveva già raggiunto
quello che doveva essere. Altre volte la scomposizione è una
marcia in più. Il quadro poteva magari andare già bene
ma, con la scomposizione...per es. quel quadro che hai accanto a te
(1989.11.20 I misteri dell'amore 1) era nato con la figura angelica
o demoniaca sulla sinistra, come uno spettatore di quello che accadeva.
Il fatto di averlo portato in centro ha un forte senso, quello della
centralità del Sé. La scomposizione non è un gioco
come aveva creduto una nostra amica, per me ha un senso, certo qualcuno
può ricomporlo in un altro modo.
Ti faccio un altro esempio, con la facciata dell'Avenue Matignon che
ho realizzato a Parigi tanti anni fa. Prima della costruzione esisteva
un vecchio edificio che avevo molto amato. Fu purtroppo demolito nonostante
le mie proteste ma ne rimase in me una memoria che animò il nuovo
progetto. Il lungo studio che ne seguì tentò molte strade
di scomposizione e ricomposizione delle sue parti....come fa un bambino:
per capire le cose, esse vanno scomposte e ricomposte, poi ti accorgi
che il ricomporle in un certo modo le carica di espressività.
La deformazione è l'abc dell'arte, l'artista che dipinge tale
e quale quello che vede non è interessante, deve introdurre un
elemento di deformazione, legato a un'emotività, legato anche
a un intento.
Gerardo P.
Mi sembra comunque che il significato che vuoi dare venga dalla rappresentazione
dell'intero, che è quello nato dall'ispirazione.
Vittorio M.
Si, ma c'è un intero di partenza e c'è un intero di arrivo.
L'intero di partenza è un intero, diciamo, ordinario, normale,
mentre quello di arrivo (lo è per esempio questa facciata) è
una rappresentazione dinamica, perché è stato fortemente
interpretato, cambiando, rovesciando degli elementi - guarda per esempio
questi particolari - con una alterazione della realtà. Non è
però un gioco, non è che per gioco lo si possa fare in
tanti modi. Ci sono voluti centinaia di disegni per arrivare a questa
facciata. C'è un intero artistico che richiede una scomposizione
del reale per comporre l'intero intellettivo, l'intero ideale, ti è
chiaro?
Questa è un'operazione alchemica. Avviene anche nella natura:
tutti noi moriamo, i nostri corpi vengono dissolti e, con queste sostanze,
la natura crea nuove forme. Quindi, dopo aver fatto un quadro, tutto
bello, intero, lo scomporlo, rovinarlo e ricomporlo in un altro modo,
è un passo in più.
Kendall K.
La mia sensazione è che, finché Vittorio non tocca la
sua realtà interiore, non può considerare terminata l'opera.
Anche se essa sembra perfetta, compiuta, se non rispecchia interamente
la sua sensibilità ci vuole un cambiamento o quello spostamento
che vedi. A me per esempio in alcuni quadri ha dato fastidio una linea
bianca che c'era fra due pannelli, ma ho capito che questa linea bianca,
che esteticamente non riuscivo a digerire, è essenziale perché
aiuta a esprimere, è una finezza della sua esperienza.
Vittorio M.
A parte la scomposizione, si può dire in generale che l'arte
si appoggia molto sulla deformazione, non è la fotografia del
reale. Se però è voluta, se uno prende, come ha fatto
Duchamp, la Gioconda, e ci mette su i baffi e la barba, non è
una deformazione espressiva, ma per me è solo una buffonata,
una provocazione, una volgarità. Ma se Leonardo stesso, invece
di dipingere il viso della Gioconda in modo così perfetto, avesse
sentito il bisogno di deformarla - magari è deformato ciò
che vediamo rispetto all'originale, chi lo sa?. - quella si che è
l'arte.
....
Luisa G.
A me ha molto colpito che tu hai avvicinato la donna come la tua anima
Vittorio M.
Questo è il senso dell'amore: uno proietta in una donna la propria
anima, se è uomo, o il proprio animus, come diceva Jung, se è
donna. Non è però una cosa permanente, e così nasce
una differenza fra il momento in cui uno compie questa proiezione e
qualche anno dopo, se l'amore finisce, quando egli la ritira.
Vedo però fra di noi una esimia psicologa, che potrebbe dire
in materia molte cose...
Silvana O.
Volevo dire, visto che mi dai la parola come psicologa, che in questo
tuo cammino in rapporto con l'anima, sento una sofferenza. Vedo che
parti da un fatto reale, che trasponi nella vita simbolica, come amore
e psiche, pulsioni ideali e non personali, ma tu pensi che il ricongiungimento
a cui aspiriamo sia possibile solo dall'altra parte, e che non lo si
possa invece raggiungere qua, nel qui e ora?
Vittorio M.
Ci tentiamo continuamente. Ci abbiamo provato già nascendo, quando
un' animuccia e un po' di materia hanno cercato di ricongiungersi in
qualche modo, e per tutta la vita non facciamo altro, ci congiungiamo
con gli altri, nelle relazioni, con l'immagine di noi stessi, e soprattutto
nell'amore. Ogni volta ci proviamo, ma ogni volta questo congiungimento
si rivela un fallimento
Silvana O.
E' questo che io sento, invece mi sarebbe piaciuto che in questo cammino
- nel mezzo del cammin di nostra vita, ritornando alla conferenza su
Dante di ieri sera - ci fossero dei momenti di esplosione di gioia,
come ci sono dei momenti di esplosione di infelicità
Vittorio M.
Ma in quelli non dipingo!
Silvana O.
La risposta mi è piaciuta!.....tutti ridono
Vittorio M
Nei momenti di felicità, dicevo, di solito non dipingo perché
sono molto occupato a viverne appunto la felicità.... Se si può
però trarre una filosofia da queste esperienze, è quella
di dirsi che non solo questi momenti di gioia si sono rivelati effimeri,
ma si sono rivelati effimeri anche i momenti di disperazione. ll fare
il quadro e il disfarlo, di cui parlavamo prima, è un'immagine
di quello che stiamo dicendo. C'è una situazione in cui si costruisce
un rapporto, poi lo si smonta, gli si da un senso, e così trovo
che la lezione del cammino è proprio quella di giungere a staccarsi
dall'oggetto, a non cercare in un'altra persona la possibilità
di questo congiungimento, perché si tratta di ricongiungerci,
su un piano molto più profondo, a Dio
Silvana O.
Il discorso è proprio qua, di un'eliminazione, cioè il
riuscire ad arrivare a trovare la parte mancante del nostro Io più
profondo
Vittorio M.
...avere un rapporto col divino
Silvana O.
...un rapporto col divino che significa cercare di avere l'illuminazione
Vittorio M..
Per risponderti, poiché tu non hai seguito i nostri incontri
e sei arrivata tardi stasera, devo riallacciarmi a quanto abbiamo detto
nel corso del Seminario, attraverso la sua articolazione in alcune fasi:
una fase è quella di Euridice, l'anima che Orfeo ricerca nella
discesa agli inferi, e la seconda èi Proserpina, che è
in qualche modo uno stabilire un dialogo fra la parte del suo essere
che vive sulla terra e la parte invece in cui vive nell'Ade. Anche nella
mia esperienza pittorica, si accetta questa divisione, in luce e ombra,
anima e corpo, a cui seguirà un nuovo amore, ossia un nuovo tentativo
di ricongiungimento. Questo però, non solo non arriva mai alla
sua completa realizzazione, ma se ne vede presto il dis-congiungimento,
con una nuova separazione. E' un po' come nei quadri che si sono composti
e scomposti. La terza fase è quella di Psiche, la cui conclusione
è che Psiche è finalmente assunta fra gli Dei. Quindi,
dopo un esperienza di amore, felicissimo e poi infelice, si giunge a
questa assunzione nel divino, nel riconoscimento cioè della divinità
dell'anima umana.
Silvana O.
...fra gli Dei, quindi nell'al di là..
Vittorio M.
No, non nell'al di là, è il riconoscimento del Dio in
noi. Che questo poi accada come un'illuminazione, o come la resurrezione
di cui ci parla Gesù, o come un processo evolutivo o infinito,
non lo sappiamo con certezza, ma questo è il fine. Io vi ho solo
voluto mostrare un cammino, vissuto in modo tale che l'eros si è
fatto guida di tante esperienze allineate, successive, dalla perdita
dell'anima al rapporto fra anima e corpo, alla loro separazione e, in
seguito, all'assunzione dell'anima umana in uno stato divino. Nei prossimi
quadri che vi mostrerò, vedrete moltissime immagini di aurore,
di angeli, come se esse preludessero a una nascita spirituale, quella
del Sé, forme quindi di un percorso positivo, non solo di disperazione.
Aviva S.
Intanto mi piace moltissimo questo romanzo che ci hai raccontato attraverso
i tuoi quadri, un romanzo in immagini, è stato veramente molto
bello. Questo è un aspetto ma...a cosa servirebbero questi innamoramenti
dell'eros se, una volta separati dalla donna, dall'uomo che abbiamo
amato, non riuscissimo a fare nostri certi aspetti, ma non nell'al di
là o nell'al di qua... Come dice Marie Louise von Franz, non
c'è separazione peggiore di quella da un uomo negativo, perché
noi abbiamo amato in lui quegli aspetti negativi che ci appartengono.
In questo senso c'è veramente un ampliamento, vuoi dell'anima,
vuoi della personalità, dell'Io, ma c'è sicuramente nella
misura in cui noi togliamo la proiezione dalla persona amata e siamo
costretti in qualche modo a elaborare quel lutto e a vivere in noi l'aspetto
che abbiamo amato. Li c'è un ampliamento, però è
al di quà.
Vittorio M.
Io non faccio distinzioni fra di qua e di là
Aviva S..
...ma hai parlato di un aspetto divino...
Vittorio M.
Si, ma l'aspetto divino è qua. Abbiamo fatto recentemente un
seminario dal titolo "Il Lavoro Spirituale". Ogni volta che
me ne hanno chiesto una definizione, l'ho detto cento volte, è
che il lavoro spirituale non è null'altro che il lavoro materiale,
qui e ora, hic et nunc, però con una differenza: un conto è
il vivere chiusi nella caverna oscura senza neppure accorgersene e un
altro è l'averne invece consapevolezza e cercare la luce, ossia
un intento spirituale. Io non credo a un'illuminazione permanente e
omni-comprensiva, ma a questo progressivo aprirsi attraverso l'esperienza,
nell'amare sempre di nuovo, anche se l'amore nasce e finisce, e poi
rinasce ancora...E' come rifare tante volte l'esperienza della vita,
si nasce e si muore, si nasce e si muore...
Aviva S.
Quello che voglio dire può essere sbagliato, comunque quello
che c'è in psicologia e nel pensiero junghiano è che,
comunque, non c'è una morte. Questa morte, in qualche modo, è
una nascita interiore, è il ritiro della proiezione dall'altro
per portarlo in se, se si è capaci; quindi non è una tristezza,
se non apparentemente ma, se si è in grado poi di elaborare tutto
questo, è un grande arricchimento.
Vittorio M.
È una ricchezza, ma non è certo facile rendersene conto.
Vi ho mostrato dei quadri in cui si vede un uomo addoloratissimo e l’angelo
che cerca di dirgli qualcosa che però lui non capta, perché
è chiuso nel proprio dolore e non capisce che quello che gli
accade è un'opportunità di crescita, un arricchimento.
Se ne renderà conto solo dopo, poi ci ricascherà di nuovo
in un'altra forma ma, non so se ti è successo, spero proprio
di si, queste forme sono come gradini di una scala con cui, da Euridice
a Proserpina a Psiche e oltre fino al discorso sul Sé, si vive
una continuità, in una positiva direzione di sviluppo.
Gerardo P
Comunque forse Vittorio le nostre amiche cercano un messaggio di gioia
terrena in questa terra più che nell’aldilà...
Pat Sophie G.
Vittorio, scusami se ti ho interrotto prima, però è più
forte di me, il quadro più drammatico per me è quello
delle due teste mozze, però è lì che ho visto anche
la gioia quando tu hai fatto venir fuori la testolina d’oro. Innanzitutto
è una sola, non sono due, poi non è tanto visibile, si
direbbe che è timida. Ho proprio provato un male tremendo, quasi
fisico, nel vedere una scena di morte, fino a quando lo sguardo mi è
caduto sulla testa d'oro, (proprio mentre tu dicevi di notare che era
d'oro), che mi è sembrata anche timida, come in disparte, e soprattutto
unica, una testa sola. Qui ho provato un attimo di gioia: E' un sentimento
personale, la cosa importante è però che la testa è
oltre il discorso dell'al di là o dell'al di qua. E' un'essenza
Poi, nel quadro, io vedo già l’arca, ho la fissazione dell’arca
(vedi l'Arca del Duomo), come se le figure fossero nell'arca e si ritrovassero
insieme oltre la separazione, nell'unità che è simboleggiata
dall'unica testa. .
Vittorio M.
Hai visto bene che la testa è una sola, non soltanto però
per i due personaggi del quadro, ma per tutti noi, nel momento in cui
raggiungiamo il Sé interiore, oltre la personalità.
La nostra vera anima non è quella che noi intendiamo, quella
che proiettiamo come dicevamo prima. Soprattutto, essa non è
permanente, come già diceva il Buddha. Oserei dire che è
una specie di veicolo, un vascello che ci porta avanti e indietro dalla
vita alla morte come fosse dalla terra alla luna e viceversa. In realtà
è solo un vascello, mentre il nostro vero principio spirituale
è al di là dell’anima, che è ancora in qualche
modo personalizzata. Diciamo che al livello più basso, quello
della nostra vita presente, c'è la personalità che si
ritiene autonoma, separata e dotata di un'anima individuale, appunto
simile a un veicolo, poi c'è l’anima vera che è
come una personalità estesa a diverse vite di reincarnazione
e poi c'è infine il Sé, il principio divino. Tutto questo
possiamo rappresentarcelo in una scala ascendente ma il principio divino
è in realtà presente e comune in tutto e in tutti, è
lo stesso in me e in te, è questa testa d’oro, al di là
non solo della separazione del corpo e dell'anima ma anche di quella
fra le anime. Il cammino dell’anima è di scoprire che è
sola soltanto perché si è separata dall'unità divina
e che deve quindi intraprendere quel processo di ricongiungimento che
passa attraverso l'amore e tutte le altre esperienze della vita. Io
credo molto in questo.
In questi argomenti, i miei interlocutori naturali sono le psicologhe,
oltre a Pat Shopie, che sa sempre captare un senso segreto delle cose,
Kendall che dice cose bellissime, e voi cosa dite?
Elisabetta C.
Oscar Wild diceva: chi vive più di una vita, muore più
di una morte
Vittorio M.
Questo mi sembra proprio vero, e se ne desume che, in tal modo, conoscerà
anche più di una nascita. Sembra ovvio, ma chi lo crede veramente?
Kendall K.
Secondo me, è possibile, essendo l'Italia un paese molto cattolico,
che l’idea di reincarnazione sia rifiutata per questo. Io la trovo
semplicemente ovvia, parte della mia cultura e della libertà
di scegliere la religione che preferisco, come si fa nel mio paese,
in America. Invece in Italia l’idea di reincarnazione è
attualmente rifiutata anche dal papa, quindi potrebbe anche spaventare
un italiano. Per me, diciamo, è normale, ogni cosa che hai detto
rispecchia la mia esperienza, però io ho degli amici cattolici
praticanti che non accetterebbero neanche di sentir parlare di reincarnazione.
Vittorio M.
La nostra religione può effettivamente essere un ostacolo a crederci,
ma non è il solo. La maggior parte delle persone, anche se non
è cattolica, non crede alla reincarnazione, di cui ci si fa poi
un' idea molto confusa. Si menzionano sempre le storie di bambini indiani
che, senza esserci mai stati, conoscono alla perfezione un villaggio
vicino...
Kendall K.
Ma io personalmente la prima volta che sono andata a Venezia sapevo
già tutto, ho portato il mio fidanzato in un posto, ma io non
conoscevo Venezia……
Vittorio M.
Tu hai una sensibilità particolare, mentre io mi limito a leggere
delle analogie.
Elisabetta C.
Accanirsi su una consolazione è come n accanimento terapeutico...è
meglio lasciar fluire, come emerge dalle tue storie visive... noi siamo
fortunati ad avere così tanti ingressi. La cosa più bella
in assoluto, al di là di riflessioni che non sono in grado di
fare, è che abbiamo la possibilità di contemplare contestualmente,
pensare, vivere, fare un'esperienza...
Vittorio M.
Si, noi disponiamo come tu dici di questo straordinario strumento di
esperienza e conoscenza, però il fatto che col tempo la disponibilità
di questo strumento diminuisce, cessa, e quindi, dopo qualche anno,
più o meno, ne sei privata... è un pensiero che ti toglie
il fiato. Siamo quindi portati a darcene una spiegazione e a pensare
a una continuazione della vita in altre forme, da cui l'idea della reincarnazione.
Mi sembra però che un errore in cui possiamo incorrere è
di immaginare di rinascere come Vittorio, Liz, o Aviva, non penso che
siano le nostre personalità provvisorie che rinascono, è
qualcosa di più essenziale che si reincarna.
Silvana O.
Scusa Vittorio se chiedo la parola. Qual'è la tua obiezione contro
la reincarnazione?
Vittorio M.
Non ho nessuna obiezione, al contrario io sono un sostenitore della
reincarnazione, si diceva solo che non è un'opinione molto condivisa,
Kendall diceva che è a causa della mentalità cattolica
in Italia e io aggiungevo che non ci si fa della reincarnazione un'idea
molto precisa. Tu che fai regressione ne saprai senz'altro più
di noi, ma, nel limite delle mie scarse conoscenze, non credo che noi
ci reincarniamo come personalità. Le nostre personalità
appartengono a questo corpo, a questo contesto, alla mia cultura, alla
mia ignoranza, che muore, finisce con questo corpo. La testa d'oro che
notava Pat Sophie si porta invece dietro...
Silvana O.
...si porta tanto...ci portiamo dietro i suoni, gli odori, i profumi,
le sensazioni, la sensazione del caldo del sole...ci portiamo dietro
tante cose, è come se ci si portasse dietro un file con esperienze
a 36o gradi.
Elisa M.
Io sono cristiana cattolica, a me sembra che quest'anima, che è
destinata a continuare un processo di reincarnazione, sia un'anima dannata,
un'anima che non trova mai pace. Prima parlavamo di un tutto, di qualcosa
di infinito, che ha però un inizio e una fine. Per me l'anima
è qualcosa di infinito che ha un inizio e una fine.
Silvana O.
Posso obbiettare? Come diceva Vittorio prima, c'è una scintilla
divina in ognuno di noi, lo puoi chiamare il Sé, lo spirito ecc
che in qualche modo fa parte di Dio, che si stacca da Dio, che a poco
a poco si appesantisce, entra nella materia e, attraverso esperienze
sempre più complesse si affina, per ritornare a quello che diceva
Vittorio prima, a prendere coscienza del fatto che siamo tutti parte
di Dio e dobbiamo quindi raggiungere di nuovo il divino, quindi è
Dio che in qualche modo si allontana da se stesso, per poi ritornare
a se stesso.
Vittorio M.
E' verissimo, non c'è una sola parola che non condivida. Però
i cattolici hanno un'opinione diversa, irrigidita nella lettera di un
certo insegnamento...
Paolo M.
Io sono d'accordo con Elisa. Secondo la tradizione indiana, il karma
è una dannazione, una condanna, tant'è vero che a differenza
delle prospettive rosee di cui sento parlare, nel karma ti puoi reincarnare
anche in un animale inferiore, non solo in uno stato di ascesa... Gli
economisti hanno una storiella divertente: Paul Krugman, Premio Nobel
per l'economia, diceva che nelle vite passate doveva esser stato bravo
perché altrimenti sarebbe rinato fisico o sociologo. Questa è
la storia del karma, tant'è vero che la fine di questo ciclo
è il massimo che si può sperare.
Tutti parlano insieme...Paolo continua a dire che il senso del karma
è quello di una dannazione, Silvana trova che è ben semplicistico,
Kendall difende l'idea del rapporto fra causa e effetto, del fare del
bene se vuoi ricevere bene...Paolo dice che è una teoria auto-consolatoria
che lo fa anche sorridere, trova molto ingenuo pensare a un percorso
lineare verso la luce...magari fosse così, non crede a un processo
lineare ma pensa che sia piuttosto una cosa che va avanti e indietro,
una condanna...
Vittorio M
L'idea che sia una dannazione...beh, ha una sua verità. Se pensiamo
all'Uno che si divide nel molteplice, dando così origine a un
mondo dove esiste la sofferenza e la morte, non possiamo che associarvi
l'idea di una caduta, di una condanna. Penso infatti alla caduta degli
angeli ribelli, alla cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso, a molte
altre immagini del fatto inequivocabile che non viviamo certo come spiriti
puri e felici in paradiso, ma siamo scesi in una condizione di materialità,
attraverso la quale facciamo un cammino infinito, partendo dai primi
atomi, dalle prime molecole, dai primi animali, e procediamo nell'evoluzione
finché non giungiamo alla condizione di esseri umani. Attraverso
tutto questo facciamo le nostre esperienze e progrediamo...io guardo
all'amore perché mi fa capire come, nell'ambito della mia vita,
ne vedo i passaggi cruciali che poi si ripeteranno in chissà
quante altre vite, in quante esperienze. E' questa una dannazione? Quello
che gli orientali temono, è la ruota del samsara. La prospettiva
di rinascere è per loro un incubo poiché, vivendo come
poveracci, temono di dover sempre rinascere come poveracci, però
nell'induismo c'è anche la forte indicazione di una direzione
di ascesa spirituale attraverso pratiche di purificazione. Il Cristianesimo
dà uno sbocco decisivo a questa possibilità per l'uomo
di accedere a un destino superiore, solo che ne colloca la possibilità
in uno spazio di tempo così limitato, in una sola vita, in cui
uno nasce e, dopo un brevissimo tempo, muore ed è dannato oppure
va in paradiso per l'eternità, che è ben difficile crederci.
So che ci sono stati illustri Padri della Chiesa che hanno elaborato
questo concetto, ma a noi oggi non può che apparire del tutto
irragionevole ed obsoleto, probabilmente dovuto a credenze popolari
che hanno deviato il corso del pensiero religioso..
Pat Sophie G.
Si parla di karma così semplicisticamente, con l'idea che il
karma sia lineare, in uno spazio e un tempo come noi li concepiamo-
parto da qui e arrivo li - ma il karma lo si deve vedere come un cerchio,
non una linea. E' inutile dire io mi sono comportato bene e rinasco..oppure
mi sono comportato male e rinasco in una bestia, noi contemporaneamente,
adesso, siamo tutte le nostre cosiddette incarnazioni, nello stesso
istante, perché noi siamo tutto ciò al di là dello
spazio e del tempo. La quantistica questa cosa ce le fa capire. Quando
ti fa capire che siamo noi che creiamo, ci dice che creiamo anche le
nostre incarnazioni, e lo facciamo in un contemporaneo, non in un prima
o dopo.
Vittorio M.
C'è effettivamente questo aspetto, l'intuizione che il karma
non sia semplicemente una sequenza, questo è vero. Un'immagine
istintiva della reincarnazione che mi viene è quella di un albero.
Immaginate l'albero che ha tante foglie: le nostre vite sono come le
foglie, non è che ne viva una prima e l'altra dopo. E' l'interezza
dell'albero, chiamiamolo il Sé, che si realizza in tutte le foglie
insieme, e questo esprime l'idea della contemporaneità di cui
parla giustamente Pat Sophie.
Che cosa sia poi in realtà il karma, non lo sappiamo, è
un mistero. Non penso che si possa applicare ad esso un concetto lineare,
ragionevole, come se si tenesse una contabilità delle azioni
giuste o sbagliate, da compensare poi in una vita successiva. Ci può
essere anche questo aspetto, ma, penso, in un ambito molto più
complesso. Negarne a priori la possibilità mi sembra però
un bendarsi gli occhi, mentre è giusto cercare di avvicinarsi
ad essa, di vederla, anche se dobbiamo riconoscere che non possiamo
vederla veramente ma solo intuirla per mezzo di analogie
Paolo M.
Si è partiti dalla nostra vita in cui, attraverso tante esperienze,
si può arrivare, si spera, a dei livelli più alti di coscienza,
e su questo si può convenire. Se poi c'è la trasposizione
di questa idea a diverse vite, entriamo in un altro campo, legittimo
perché ognuno può seguire la propria idea, ma nient'altro.
Intanto non segue logicamente e poi è qualcosa che non fa parte
dell'esperienza ma di congetture che possiamo avere o non avere, tutte
legittime, ne possiamo discutere, ma porre queste due cose sullo stesso
piano è un errore logico, si entra nel campo della fede con cui
è difficile dialogare.
Vittorio M.
Hai ragione, ma è anche difficile dialogare con chi si basa solo
sull'aspetto razionale. L'umanità, da tempi immemorabili, si
è basata anche su intuizioni, miti, credenze, che cercano di
orientarci nella vastità del mondo, non solo fisica. Non si può
pretendere che valga solo l' approccio scientifico di tempi molto più
recenti, con cui si accetta solo ciò che, sulla base dell'osservazione
e dell'esperienza, può esser razionalizzato e confermato. E'
certamente così che arriviamo a capire tante cose, ma esse sono
solo un pezzettino di un mondo che è però immensamente
più vasto, e non parlo solo di ciò che è visibile
e tangibile. Tutte le altre forme di conoscenza, la religione, l'arte,
la filosofia servono se vuoi a anticipare, ipotizzare, non a certificare,
alcuni lineamenti di questa vastità. Si può procedere
non solo con osservazioni scientifiche ma con intuizioni, con analogie.
Un'analogia è per esempio quella dei giorni, delle stagioni,
della vita e della morte, della rotazione degli astri, per farci capire
che tutto è ciclico e che lo è quindi anche la nostra
vita, come intuisce l'idea della reincarnazione. Un'analogia per esempio
è anche questa pittura: se tu prendi tutti i quadri, vedrai in
tutti che c'è un'unità ispiratrice, anche se sono tutti
quadri diversi....in qualche modo è come se le nostre vite fossero
come dei quadri di un unico autore. Un'immagine come un'altra, una semplice
a illusione? ma l'amore, l'arte, la bellezza, la santità, la
voce dei poeti, la musica che tu ami, è tutta illusione? Invece
è proprio questa la realtà umana, non solo le cognizioni
di cui si discute nei congressi dei fisici o degli economisti.
La verità non è solo ciò che può essere
certificato, è un complesso di cui la ragione coglie solo una
parte. Bisogna quindi avere la ragionevolezza e anche l'umiltà
di dire: conosciamo per certo solo alcune cose mentre, per il resto,
abbiamo delle intuizioni che un po' alla volta porteranno anche a delle
certezze razionali, ma non certo negare che esista questa vastità,
anzi questa infinità del conoscibile e che, oltre alla ragione,
non ci siano nell'uomo altre facoltà per avvicinarsi ad esso,
soprattutto quella dell'intuizione, che permette di far risuonare nel
nostro animo qualche nota dell'armonia del tutto..
il dibattito può proseguire on line scrivendoci:
arcadelduomo@gmail.com