Incontro n° 7 del 19 maggio 2010
Nel dibattito sono intervenuti anche: Silvana Olmo, Carla Sanguinetti, Federico Ferraris, Giorgio Fedeli,
Silvia Guerriero.
Vittorio Mazzucconi
Nell'ultimo incontro abbiamo parlato molto della libertà e della legge: ne abbiamo discusso da diversi punti di
vista: filosofico, giuridico, anche con riferimenti ai precetti biblici o a una legge di natura, non senza una certa
confusione, da cui tuttavia sono venute fuori delle cose interessanti. Personalmente, mi sono avventurato in
un campo che non è il mio, non essendo un giurista, ma che ho invece sempre molto sentito nella forma
della città. La città è un campo in cui la libertà e la legge devono fare i conti una con l'altra, essendo il campo
per eccellenza della convivenza umana. Se un uomo vive isolato in campagna non si pone certo molti
problemi giuridici che sono invece inerenti alla vita nelle città...
D'altro canto, il discorso sulla libertà e sulla legge si iscriveva nel quadro più vasto del discorso sul
sentimento e la ragione, a proposito del quale io facevo ancora una volta delle equivalenze: fra sentimento e
libertà, fra legge e ragione. La perfezione, chiamiamola giustizia, non è propriamente la legge e tanto meno
la libertà, è l'armonia. L'armonia fra la legge e la libertà possiamo chiamarla giustizia e anche unità, che è
poi la stessa che abbiamo visto in tutto il corso dei nostri incontri, come armonia fra sentimento e ragione, fra
femminile maschile, fra natura e civiltà. Abbiamo tracciato molti altri paralleli, con l'aiuto di ben sedici tabelle,
ma bisogna dire che il problema della città ha una sua particolare complessità...
C'è stata una serata in cui, parlando di maschile e femminile, qualcuno si chiese: ci sono delle città maschili
e delle città femminili? No, non si può dire questo, anche se c'è stato subito chi ha detto Sparta!, che era
evidentemente una città maschile, se si guarda alle attitudini guerriere dei suoi abitanti. La battuta sarebbe
invece più fondata se associassimo alle città non una distinzione di genere ma il discorso fondamentale sul
sentimento e la ragione, che ci appare anzi la base di un pensiero fecondo sulla città.
Possiamo parlare di una città-sentimento? E' bene ricordare che, quando dico sentimento, voglio indicare ciò
che appartiene alla natura, all'inconscio, a forme spontanee, a tutto quello insomma che non è razionale.
I primitivi creavano dei villaggi senza un progetto preordinato, costruivano una capanna qui, un'altra là,
disposte casualmente. Poi, un po' alla volta, le capanne si sono disposte in modo simile a quello delle cellule
di una foglia, che si allineano lungo le nervature che portano la linfa, seguendo così un processo organico,
un impulso naturale. A questa immagine corrispondono per esempio le città medioevali, che prendono
origine per lo più da un incrocio casuale, e in cui le strade finiscono col configurarsi come le nervature di una
foglia, come i rami o le radici di una pianta. E' questa conformazione che fa pensare a una pianta vista
dall'alto, con le radici e i rami che si dipartono dal tronco. La vediamo in qualsiasi borgo medioevale ma
anche in una grande città come Milano. Quasi tutte le città seguono naturalmente questo impulso. Il
principio della ramificazione è universale, si applica al disegno tracciato dai fulmini nel cielo, si applica al
nostro sistema nervoso, si applica anche alla città.
A fronte di questo tipo di sviluppo, c'è invece la città classica, greco-romana, che veniva invece fondata
secondo uno schema razionale. Spesso nasceva da un castro, con un'impronta militare, ma il suo spirito non
era tanto legato alla difesa quanto a un principio di legge, di razionalità. La prima legge è infatti la strada:
essa vi permette la libertà di andare avanti e indietro ma non di sconfinare al fuori del suo tracciato. Il
concetto di legge e il concetto di strada sono molto legati. Quanto al concetto di libertà, ne vediamo
l'espressione non solo nella disposizione casuale dei primi villaggi ma anche nell'andamento spontaneo
delle strade della città medioevale: la gente costruiva le case dove voleva, profittando magari di un edificio
preesistente crollato per costruire la sua casa un po' più fuori dell'allineamento originario che era spesso
quello di una strada romana preesistente. il cui tracciato si andava quindi deformando nel tempo. Nasceva in
quei tempi un nuovo mondo; la frantumazione dell'antico potere permetteva una nuova libertà, in cui
nascevano nuove forme di associazione, nuovi popoli, e anche un nuovo eroismo - mi riferisco ai cavalieri -
come non lo si vedeva dai tempi omerici.
Quanto alla città classica, dicevo che essa nasceva come città razionale, sia da un punto di vista militare che
da quello di corrispondere a una struttura giuridica, a uno spirito di geometria, e anche a una visione
religiosa, non in un senso biblico e neanche cristiano ma nel senso di riferire agli Dei e alle forze della natura
che essi personificavano le azioni dell'uomo sulla terra. Quindi la città veniva fondata dal sacerdote che ne
tracciava gli assi, sempre con lo sguardo fisso ad oriente. Questo è un concetto molto importante, poiché
l'oriente è il momento della nascita del sole, quindi della nascita, del manifestarsi del divino. Le città erano
quindi collegate a un'ispirazione celeste, come anche - per mezzo del sacro incrocio dei suoi assi - al
mondo sotterraneo. Non si guardava solo al cielo ma anche agli inferi, alle potenze della terra; quindi la città
era un'impresa di collegamento fra terra e cielo. Niente di più bello! Se si guarda bene, anche ogni pianta fa
questo bellissimo lavoro di collegare la terra al cielo. Ed è questo anche il nostro lavoro: la nostra terra, che
è come la placenta di cui ci nutriamo, le nostre radici, la nostra vita terrena e le nostre aspirazioni ideali, la
nostra vita.... è tutto un filo che ci conduce dal basso all'alto, e ugualmente dall'alto al basso, secondo il
processo parallelo con cui la luce illumina l'albero e l'aria lo fa respirare. Si complementa così l'energia della
radice che invece sale dalla terra, in questa fondamentale associazione con l'albero, a cui riferiamo sempre
tutto il nostro discorso.
Con un'altra immagine, abbiamo parlato negli ultimi incontri anche dei solchi, che sono appunto come il
tracciato delle strade - non per nulla i fondatori delle città usavano l'aratro per tracciare gli assi e il perimetro
della città - ma la cosa che a me piaceva mettere in evidenza era che, fra i solchi, crescono le piante.
Quindi, avevo paragonato i solchi alla legge e la crescita delle piante alla libertà, come cose complementari,
che sono ambedue necessarie. La libertà da sola darebbe infatti luogo a una selva inestricabile, mentre un
mondo tutto fatto di solchi, di binari,di geomerie, sarebbe invivibile. E' invece l'unione fra i due che crea il
tessuto della vita, come abbiamo visto dell'unione fra sentimento e ragione, o dell'unione fra femminile e
maschile: tutto si tiene.
Se non ci sono città femminili e città maschili, come qualcuno si è divertito a ipotizzare, i due aspetti sono
però ben presenti nella città, per esempio nel rapporto fra la Chiesa e il potere politico, come vedremo
magari meglio in un'altra occasione. Ma è la ragione o il sentimento che determina la forma stessa della
città, derivandone delle città completamente diverse, "organiche" o razionali. Uno sguardo di insieme sul
loro sviluppo metterebbe in evidenza lo stesso percorso che abbiamo già visto nello sviluppo delle civiltà.
All'emergere della ragione dopo un Medioevo più legato al "sentimento" è per esempio seguito, con il
Rinascimento, l'impulso a ritrovare la geometria della città classica, anche se esso si è soprattutto espresso
in disegni teorici. Con il successivo sviluppo della civiltà europea, si assiste a esempi più effettivi di tracciati
urbani ispirati a uno schema razionale, finché essi non sono stati travolti dall'espansione smisurata delle
città.
In queste si mostra quella stessa estensione, ramificazione e divisione della ragione su cui tante volte ho
messo l'accento. E' la stessa ragione che all'inizio nasce dal sentimento, poi raggiunge con esso una parità,
un'unione equilibrata, e dopo prende il sopravvento sul sentimento, ossia sulla natura, sulla vita, sull'anima
degli uomini, diventando autoreferente e sempre più dominante.
La scienza è questo, il mondo contemporaneo è questo: una ramificazione senza fine. E così le nostre città
non sono più simili a una forma naturale e non sono neanche più la città costruita secondo un impianto
razionale, ma sono un ammasso informe che tende a fondersi con le città vicine. Lo si può paragonare non
più a un albero, armonico nella sua costituzione, ma a una erbaccia infestante, a una terribile malattia che
distrugge l'organismo. Ne sono evidenti le ragioni storiche, fra cui, dominante, il sovrapopolamento del
mondo, ma io ne metterei in questa sede in evidenza la somiglianza, anzi l'identità con la ramificazione
estrema della ragione e del linguaggio in cui essa si esprime, fino al trionfo del delirio informatico. E' quanto,
mi pare, possiamo vedere tutti.
La nostra analisi non può però fermarsi a questa evidenza, se vogliamo porci il problema di come riportare a
un'unità la ramificazione e il caos della città. Io partirei proprio da quanto abbiamo detto e che sembra
estremamente lontano dai problemi delle metropoli contemporenee: la dualità fra la città organica, come
quella del Medioevo, e la città classica. Questa non vuol essere un'osservazione storica o morfologica, e
tanto meno una contrapposizione, ma la base per riconoscere fra le due forme una feconda
complementarità, che rispecchia quella, fondamentale, fra sentimento e ragione.
Posso dirvi che ho vissuto questa complementarità in casi concreti. In un mio progetto per Aix- Etoile, una
città satellite vicino a Parigi, mi sono trovato a "raccontare" a me stesso e ai futuri abitanti una storia: come
quella di un borgo nato spontaneamente - poteva essere un borgo celtico o più tardi un borgo medioevale - a
fronte del quale poteva invece esser stata fondata una città di impianto classico, tutta squadrata, con il
cardo, il decumano, il Foro. Le ho progettate tutt'e due, su un lato e sull'altro della ferrovia Paris-Lyon che,
nella mia immaginazione, era diventata un fiume, e neppure un fiume qualsiasi, ma il fiume della storia, che
unisce e divide. Poteva essere certo arbitrario di raccontare una favola come questa, ma mi sembra
importante che l'architettura e l'urbanistica sappiano raccontare le storie e non solamente piazzare stradoni e
casamenti. Esse devono nutrire l'immaginazione, come lo fa un libro, una musica, qualsiasi opera umana
che abbia un senso.
Più tardi mi è accaduto di avere l'incarico di disegnare una parte della città di Nancy, in cui sono stato
sorpreso di vedere in atto, nella storia, la stessa cosa che avevo intuito nel progetto Aix-Etoile: c'erano cioè
due città, una squadrata e l'altra rotonda - semplificando - molto vicine, separate da un fosso, finchè poi il
Re Stanislao di Polonia, genero di Luigi XIV, a cui era stato attribuito il governo dell'Alsazia, non ha creato
un'unica città fondendole e realizzandone il nuovo e comune centro nel loro interstizio. Unendo queste due
realtà, si è in qualche modo sperimentato il principio essenziale che è quello di unire il sentimento e la
ragione.
A parte questi casi, mi sono molto applicato a un piano urbanistico per Milano, di cui non voglio parlarvi nei
particolari, ma solo raccontare da dove esso ha preso inizio. Non da una favola o dall'illuminata decisione di
un Re, ma da uno sguardo a questa indifferenziata periferia, che si estende sempre di più e che finisce col
divorare tutte le cittadine, le cascine, i campi che ci sono sul territorio. E' importante di fare molta attenzione
a ognuna di queste cittadine per riconquistarne l'identità, la forma, il disegno, in modo simile alle città che ho
"raccontato" ma, questa volta agendo sul territorio mediante regolamenti appropiati, in modo da riportarle a
un'unità, fisica e sociale. Pensate a quanto accade qui fra noi nel nostro gruppo: se uno fosse in giardino,
l'altro per strada, un altro ancora da un'altra parte, non potremmo certo comunicare. Nello stesso modo la
periferia è fatta di tanti pezzi, un po' qui e un po' la, mentre sarebbe invece così importante di riportarli
ognuno a una forma organica, facendone delle vere e propie città, simili, se vogliamo, alle città organiche del
Medioevo. Sto cercando di visualizzare questa operazione come una forma conclusa, anche sotto il profilo
sociale, ma possiamo definirla meglio col metro dell'educazione. Il modo migliore per organizzare un abitato
è che le case siano vicine a un nido di infanzia, un numero maggiore di case intorno a una scuola
elementare, e poi un numero ancora maggiore intorno a un liceo, fino ad arrivare all'università che però non
attribuirei a queste cittadine ma piuttosto alla grande metropoli in cui le cittadine sarebbero federate.
Immaginiamo quindi di riportare queste piccole città a una scala appropriata. Dire "a misura d'uomo" è
diventato molto banale: io vorrei proprio una misura profonda, fatta di sentimento, di amore per la gente, per
la città, che vuol dire appunto che in ognuna, per esempio Rho o Gallarate (come poi stanno facendo poiché,
da quando io ho cominciato a formulare questi pensieri cinquant'anni fa, la situazione è molto migliorata), si
ritrovino le tradizioni locali e si costruisca un tessuto sociale omogeneo, che vorrei rendere anche
urbanisticamente, visualmente omogeneo. Farebbe poi parte della stessa misura l'intento di collegare o
separare le varie città con spazi verdi, ma che siano veri spazi verdi, veri parchi, vere campagne, e non spazi
inframezzati di ferrovie, officine, parcheggi.
Quindi, il concetto dell'organicità, che io riporto al sentimento, è il primo a cui dobbiamo fare attenzione.
Quanto all'altra dimensione, che è quella della ragione, la vedrei a un livello superiore, che è quello del
rapporto fra le città che abbiamo così delineato. Non solo in esse si deve vivere, si deve educare i propri figli
e, oltre alla vita famigliare, si deve pensare al lavoro e alla vita comunitaria, ma bisogna collegarsi alle altre
città - ce ne sno moltissime nella regione - e collegarsi anche a un comune centro. Allora l'assetto stradale
che, a scala metropolitana, deve diventare autostradale e anche ferroviario, può formare di nuovo una rete
razionale come quella dell'antica città greco-romana. Se essa comprendeva degli isolati di poche diecine di
metri, e se i blocs analoghi delle città americane misurano centinaia di metri, nella mia idea le maglie
sarebbero di qualche chilometro di lato, abbastanza grandi perché al loro interno possano crescere delle
città autonome. E' il concetto del solco e delle pianticelle, pianticelle come città, solchi come grandi direttrici
che, tradotte in termini di strade, permettono di organizzare una grande metropoli. Ora, questo concetto di
strada non è solo una strada fisica, è una strada anche tecnologica, come quella dei binari del treno. Tutte
le strutture della società organizzata sono d'altra parte dei binari, che hanno fondamentrali funzioni nel
mondo in cui vivamo, a patto però di servire e non sostituire la crescita organica, naturale. Quindi i binari
sono come le leggi, i regolamenti: devono permettere la libertà, la creatività, non soffocarla. Sembra ovvio
che debba essere così eppure, ogni giorno, nascono in tutto il mondo nuovi vincoli, si tracciano nuovi binari,
si rendono sempre più fitte le maglie di una rete inestricabile che distrugge completamente il senso della vita.
E' questa la legge, o non è piuttosto una sopraffazione? Come potremo ristabilire un giusto rapporto fra
legge e libertà?
Volevo riassumere questi concetti, aiutandomi con delle immagini.
- L'insieme della regione Mlanese, fra il Ticino e l'Adda, con tutte le varie cittadine e agglomerazioni che la
compongono
- Il concetto che, entro le maglie di una grande rete autostradale, possono svilupparsi delle piccole città
autonome. E' un'evoluzione del concetto dell'isolato, del quartiere, del bloc, che diventa a livello
paesaggistico uno spazio enorme, che però permette agli abitanti di ogni città, per mezzo delle autostrade, di
raggiungere qualunque altro punto del territorio
- Se è vero che il tracciato razionale dei solchi permette lo sviluppo vitale delle pianticelle e, nel nostro caso,
di piccole città, e se è altresì vero che Mlano soffre di una conformazione radiocentrica,
perché non immaginare in modo del tutto rivoluzionario di soprapporre alla pianura padana un reticolo di
maglie autostradali quadrate come se fosse una gigantesca città romana o una grande città coloniale? E'
ovviamente un'ipotesi teorica, ma è interessante portare le cose fino alle estreme conseguenze per poi
capirne i limiti.
- E' ovviamente più sensato di pensare invece a una rete autostradale che segua la conformazione di Milano
e coincida quindi con la storia, con la morfologia, con la vita della città. Il disegno mostra quindi una tale rete,
articolata in autostrade circolari e autostrade radiali.
- Se il concetto della rete è quello di una struttura razionale che rende possibile all'interno delle maglie una
vita organica, come in una piantagione, esso non cambia se la stessa rete è curvata, come si vede nello
schema di destra. Se adesso immaginate di completare questa rete curva, chiudendola come un cerchio, il
concetto non cambia assoliutamente. Ogni volta permettiamo cioè alla vita di crescere nell'ambito di una
struttura razionale. Non viviamo più in una natura vergine, ma in un mondo razionale in cui il rapporto con la
natura deve essere compreso e gestito.
Questo concetto della curvatura lo si può anche trasferire nell'immagine della nuova e grande metropoli, che
ha una costituzione radiocentrica come la città attuale, ma si espande in tutta la pianura e che si addensa
intorno a uno spazio centrale. E qui adesso io non voglio più parlarvi di urbanistica ma di un concetto, di
un'interpretazione del nostro tempo. In tutti gli aspetti del mondo, se si traccia un diagramma, si vede che
per millenni la curva del diagramma è stata pressoché piatta, cioè i progressi dell'umanità sono stati
scarsissimi, e poi a un tratto la curva sale con un'accelerazione esponenziale. Questo accade nel nostro
tempo, come si vede nell'aumento vertiginoso del numero di abitanti e in moltissimi altri aspetti. La curva
volge alla verticale ma si fa sempre più presente l'urgenza di introdurre invece la nozione di un limite alla
crescita.
E' quanto si propone nel diagramma, che visualizza tale limite.
E' infatti evidente che non si può crescere indefinitamente, né ipotizzando un aumento esponenziale degli
abitanti del pianeta, né immaginando uno sviluppo infinito dell'economia, della scienza e delle tecnologie. Il
senso è di trovare la misura in tutto ciò, ma in che modo? In base a una conoscenza, a un'illuminazione, in
base a una sapienza, in base al vedere anche qual'è il punto utile in cui la crescita deve fermarsi sul piano
materiale e continuare invece in modo virtuale, in una direzione spirituale.
Riportandoci al piano urbanistico di Milano, il diagramma fa vedere che, se la metropoli estesa a tutta la
regione si sviluppasse tutta al di fuori della cerchia dei Bastioni trovando in questa un argine, una diga,
all'interno di questa noi avremmo uno spazio virtualmente vuoto. Il concetto è che le energie che da tutta la
metropoli affluirebbero al centro giungerebbero a un massimo di concentrazione anche edilizia, anche
visuale, in corrispondenza alla cinta dei Bastioni, ma qui ne sarebbe arrestata la crescita e l'affermazione,
poiché ciò che è al suo interno, a immagine del nostro cuore, appartiene a una dimensione spirituale. E' in
questa dimensione che va inteso lo spazio "vuoto": spazio della memoria, dell'università, di ciò che resta
della città antica, e anche spazio della natura preservata in un parco centrale. Al centro di tale spazio, il
diagramma mostra la sagoma del Duomo, come simbolo spirituale. Al di sopra la curva del diagramma
continua verso la verticale perché non ci deve essere limite alla crescita spirituale dell'uomo. E' proprio la
stessa verticale che, parlando della città antica, saliva dal profondo della terra al cielo, non certo la verticale
della crescita economica e di ogni altro potere che l'uomo di oggi stoltamente persegue...
Nella copertina del libro (La Città a Immagine e Somiglianza dell'Uomo. Hoepli 1967) in cui tutti questi
argomenti venivano sviluppati, usavo il particolare dell'affresco di Michelangelo come se il divino e l'umano si
toccassero in questo sacro incrocio ma, riguardandolo oggi, lo interpreterei anche in un altro modo. Tutto il
discorso sul sentimento e la ragione è in fondo questo. Michelangelo ha rappresentato la mano di Dio ma
nessuno ha mai visto la mano di Dio. Invece noi tocchiamo col dito, nel vero senso della parola, questo
rapporto fra le due parti di noi, che sono appunto il cuore e l'intelletto, il sentimento e la ragione. Con questo
non voglio negare una prospettiva trascendente poiché, al contrario, è proprio dall'unione fra queste nostre
parti che può scoccare la scintilla divina. Un'unione che è come l'incrocio sacro del nostro essere, dove il
senso del divino, del trascendente, si rivela lo scopo della nostra vita.
In altri incontri ci siamo avventurati nell'idea di vuoto. Ripeto, non vorrei soffermarmi stasera sul piano
urbanistico di Milano, ma vorrei sottolineare una sua caratteristica saliente nel fatto che tutto lo sviluppo in
cui sentimento e ragione si alleano, come si alleano anche tutte le forze che fanno la nostra vita associata, il
modo in cui una grande comunità può articolarsi, vivere, tutto questo ha come centro il vuoto, ed è bello che
si vada in tal modo in una dimensione metafisica, in un concetto Zen, in cui il vuoto è il centro del tutto.
Non a caso vi si trova il collegamento con lo spirito, o anche con le ragioni profonde del nostro essere
uomini, con la nostra storia, con l'educazione dei giovani: sempre e poi sempre si ritrova la sacralità di
questo nucleo, vero centro del nostro essere.
Nel caso di Milano questo concetto, grazie alla conformazione concentrica della città, può essere
rappresentabile con un piano urbanistico in cui una cosa è dentro l'altra, fino al vuoto che è al centro di tutto
l'insieme. Nel caso invece di un'altra città come Firenze, essa non ha una conformazione così concentrica
come Milano; al contrario è una città "cometa", ha cioè un centro che è in contatto immediato con la
campagna, subito sopra il Ponte Vecchio, mentre dal lato opposto c'è una coda che non finisce più, fino a
Prato e oltre. L'immagine della cometa è poetica, come non lo è purtroppo la realtà, ma è solo un paragone.
Il discorso del vuoto, che è fondamentale, è indipendente dalla conformazione di una città ma, nel mio
progetto della Città Nascente (Edizioni Dedalo 1985) come lo si vive? Anche qui non voglio farvi vedere
veramente un progetto ma solo qualche immagine ....ma ecco qui un'immagine precedente, che è ancora più
bella: Il modo in cui ci si deve avvicinare alla conoscenza e anche alla città, che è una forma di conoscenza
oltre che di convivenza, io lo trovo rappresentato in modo meraviglioso in questo affresco di Giotto: San
Francesco che parla agli uccelli davanti a un albero. Occorre questo atteggiamento di dialogo con la natura,
occorre questa semplicità e purezza, anche per concepire le strutture più razionali e più complesse...
Questo è un progetto per rinnovare il centro di Firenze, ma non starò a parlarvi dei singoli edifici che lo
compongono quanto di altre immagini che sento così vicine a quello che intendo dire. Prima di tutto Dante e
Virgilio, che sembrano essere con noi nel nostro discorso sul sentimento e sulla ragione e prepararci al
passaggio a un livello superiore. Visualizziamo in Dante il sentimento, cioè la sua natura di uomo vero del
suo tempo, che soffre e che, visitando l'inferno e il purgatorio, riconosce le persone, le ama, le insulta,
inveisce; è un uomo che appartiene alla realtà della vita, che è molto passionale, come il sentimento, come
la forza della natura. E questoi è Virgilio che invece, almeno nell'interpretazione di Dante, è la conoscenza, è
la ragione. Virgilio accompagna Dante, cioè la ragione accompagna il sentimento, ma solo fino a un certo
punto. Dopo, Virgilio si ritira e interviene Beatrice. Questo fatto è importantissimo: come dicevamo, le due
forze che abbiamo in noi ci accompagnano fino al momento in cui dobbiamo passare a un livello
trascendentale, il livello dell'anima che incontra il divino.
Anche questa immagine è molto intgeressante: ci fa vedere la Firenze del tempo di Dante, l'inferno e il
purgatorio, ma noi possiamo leggere tutto questo in un modo diverso. La città sulla destra è il mondo della
realtà apparente in cui noi viviamo, la parte a sinistra che il pittore pensava fosse l'inferno è invece in realtà
la nostra ombra: si va quindi dalla parte "razionale", apparente, alla parte invece dell'ombra in noi stessi. Nel
mezzo si vede la montagna del Purgatorio, il percorso da compiere, il cammino ascensionale dell'anima, e
non per nulla in cima scorgiamo Adamo ed Eva, di cui non ho mai parlato, mentre ho sempre parlato del
sentimento e della ragione, del femminile e del maschile, che ne sono l'equivalente. Essi sono dunque il
punto centrale della vicenda. Oltre, inizia il cielo e con esso tutta una dimensione spirituale. E' molto
importante leggere questo rapporto fra la realtà, l'ombra, il cammino dell'anima, e giungere alla
consapevolezza anche del fatto che maschile e femminile, o sentimento e ragione, sono la dualità costitutiva
dell'universo.
Qui si vede il centro di Firenze visto dall'alto. Sono indicati in grigio più scuro i palazzoni fatti tra ottocento e
novecento, distruggendo l'antico centro della città. Senza inoltrarmi in un discorso urbanistico, voglio solo
farvi immaginare di creare un vuoto. Questo vuoto, che prima avevamo visto come centro di noi stessi, come
centro dell'essere, dobbiamo riconoscerlo nella realtà. Io non accetto che, dopo aver spaziato in concetti
filosofici o in pratiche Zen, si lasci la realtà com'è, senza cercare di esprimere una verità interiore nel mondo
reale. Ma in che modo esprimerla? Non pensate neanche per un momento alle eventuali difficoltà di
demolire degli edifici, azzerando dei considerevoli valori immobiliari. Non è di questo che stiamo parlando,
ma immaginate di fare il vuoto, proprio come momento fondamentale di riflessione e di rinascita. E' lo stesso
vuoto in cui Firenze è nata, in un lontano mattino di duemila anni fa, quando l'aruspice etrusco ne tracciò gli
assi fondamentali. Immaginiamo che, dall'incrocio di questi assim prenda inizio il movimento di una spirale,
cioè che da questo incrocio - da cui come abbiamo visto passa una linea che collega la terra al cielo - parta
una spirale che determina tutta la forma del nuovo centro che costruiremo, ma soprattutto la amplifica fino
all'universo, perché non è solo una città reale che stiamo progettando: quello che è vero in piccolo lo è in
grande, quello che è in basso è uguale a quello che è in alto e viceversa. C'è quindi un senso profondo in
questa spirale che si allarga in tutto l'universo e che, da tutto l'universo, ritorna indietro come una molla,
creando appunto questa vibrazione, questo battito, come un cuore o come il movimento del respiro.
Vedendo il modello dall'alto, con l'Arno, il Battistero, il Cupolone, si intravedono le tracce dell'antica città
etrusco-romana: se ne possono infatti ritrovare il Foro, il tempio capitolino, le antiche terme. Con altri e nuovi
edifici, con tante e innovative soluzioni urbanistiche, si può creare in questo luogo un campus universitario
per i giovani di tutto il mondo, in modo che Firenze riconosca sul serio la sua vocazione di una delle capitali
dell'arte e della cultura.
Nell'incrocio degli assi, c'è poi questo incredibile edificio del Fiore, di cui abbiamo parlato tante volte. Direi
che l'immagine più bella che è nata in noi, in tutti questi convegni, è proprio quella del fiore. Abbiamo visto
come l'albero è cresciuto, come ha realizzato la sua ramatura, giungendo alla sua completezza, e come a
un certo punto deve produrre il fiore e il frutto da cui nasce un nuovo albero. E abbiamo esteso questa
immagine a molti altri campi, in cui essa ha risvegliato in noi l'intuizione del senso della nostra vita, della
nostra anima. Anche la nostra anima deve produrre il fiore, deve produrre il frutto: questo frutto è
l'illuminazione, è una superiore conoscenza a cui l'anima può giungere, al di là però del ciclo della sua vita
terrena, come appunto il fiore e il frutto sono in qualche modo al di là della vita vegetativa dell'albero. E ci è
infine sembrato che il Cupolone stesso non fosse che il bocciolo chiuso di questa fioritura, che adesso può
manifestarsi: il bocciolo può rovesciarsi e sbocciare nel nostro Fiore.
Ma vi chiederete che cos'è questo edificio: è una serie di grandi auditori per la vita universitaria coperti da
una piazza leggermente concava in cui i giovani potrebbero riunirsi e socializzare,- possiamo immaginarne
dei gruppi che si formano qua e là nel grande e aereo spazio, da cui si godrebbe la vista di tanti monumenti
oggi nascosti di questa incredibile città.
Non so se possiamo adesso portare il ragionamento su un piano più generale, anche se esso è molto
dolente. Con la Città Nascente, con Firenze, abbiamo guardato all'essenza e non alla contingenza. Abbiamo
anche guardato al passato ma ricreandolo poiché, quando uno trova l'essenza, trova la sua radice, trova se
stesso. E' una specie di regressione se volete, in cui si ritrova in noi il bambino interiore, il bambino
nascente. Tutto questo fa parte del nostro mondo interiore ma lo possiamo poi portare nella realtà? E nella
realtà ci scontriamo con la politica. Non voglio dire che la politica, come è purtroppo vero, sia solo disonesta,
ignorante ecc. ma voglio riprendere il problema della libertà e della legge che abbiamo discusso nel
precedente incontro. Per quale motivo per esempio non si potrebbe realizzare questo progetto per Firenze?
Sarebbe anche estremamente utile da un punto di vista economico perché demolire dei vecchi edifici e
costruire delle nuove strutture, oltretutto togliendo le funzioni amministrative dal centro e proiettandole in una
nuova metropoli nell'area di Prato sarebbe fonte di un incredibile sviluppo per la città. In paesi più avveduti,
in Francia, negli Stati Uniti, un progetto come questo si potrebbe anche realizzare, ma perché a Firenze non
se ne parla neppure? Perché vi si oppone una mentalità corrente? O perché vi si opporrebbero le leggi? E'
evidente in questo caso che la legge non è affatto sinonimo di giustizia, come dicevamo nell'ultimo incontro,
ma è semplicemente uno schema mentale prodotto dalla società e non certo dalla sua parte più illuminata.
Nel caso di una società vecchia come la nostra, che diventa sempre più conservatrice, sempre più contraria
allo spirito della vita, si tratterà di uno schema negativo, sordo a ogni ideale. Questa è quindi una
conclusione molto triste. Non si può cioè realizzare una grande idea non perché sia qualcosa di assurdo e
non praticabile, ma perché c'è una totale scucitura fra la libertà creativa individuale, l'arte, una visione, e la
realtà esterna, che una volta non c'era. Se guardiamo a Firenze, come essa era nel Rinascimento, gli
impulsi creativi che nascevano nell'anima degli artisti trovavamo riscontro immediato in impulsi diversi ma
compatibili, complementari, di potenti, di banchieri, di ecclesiastici, del popolo minuto, e tutta la città serviva
quindi questo ideale di bellezza, di compimento, su tutti i piani e in particolare nelle arti. Oggi questo non c'è
assolutamente più, proprio perchè, in luogo di una libertà creativa e partecipativa, c'è una legge che, invece
di favorire lo sviluppo della vita, la impedisce, crea una cristallizzazione: è una giustizia conservativa, che, in
quanto tale, è sinonimo della peggiore ingiustizia. Da qui nasce l'istanza di una nuova legge, che si fondi
sulla ricerca della bellezza, sulla verità, sulla sapienza, su una conoscenza superiore. Abbiamo parlato tante
volte di come una tale ricerca sia possibile a livello individuale, nel cammino dell'anima di ognuno di noi,
mentre, quando poi cerchiamo di situarla a livello sociale, andiamo incontro a un totale fallimento. Possiamo
solo sperare che, nel cammino di tutta l'umanità, attraverso vari cicli, cadute, ricadute e ricorrenti barbarie, si
giungerà forse un giorno a una civiltà solare, in cui l'uomo sarà pervenuto a una conoscenza superiore?
Per il momento, dei progetti di questo tipo sono come dei piccoli impulsi, dei piccoli passi, che è troppo facile
chiamare utopia. Così facendo, si sottovaluta il fatto che la realtà deve essere comunque modificata, che il
mutamento è in verità la sola realtà e che noi dobbiamo essere il lievito di questo mutamento, per portare la
realtà a crescere e trasformarsi.
Un'altra tematica riguarda i modi del mutamento. Come succede nei movimenti della terra, se essi fanno
parte di un assestamento dolce, graduale, non ce ne accorgiamo neppure mentre, se ci sono degli ostacoli a
questo assestamento, le tensioni accumulate esplodono in terremoti ed eruzioni. E così penso che, nel corso
delle civiltà, quando non è possibile una evoluzione normale e progressiva, si può solo pensare a quanto è
sempre accaduto nella storia, cioè alle rotture dei cicli, alle catastrofi che, fino ad oggi, sono state il mezzo
risolutivo per cambiare pagina. Se non fosse così, sarei qui a farvi vedere l'antica Florentia etrusco-romana e
non la città di oggi. Vi avrei fatto vedere ugualmente la Mediolanum romana e non la Milano di oggi. Se
queste città sono invece diverse e incomparabilmente più grandi di quelle di allora, è perché c'è stata nel
frattempo una rottura che ha permesso alla civiltà di rinascere e di crescere dopo la catastrofe. Tante volte
abbiamo parlato dell'importanza dei cicli e del percorso evolutivo che si fa di ciclo in ciclo, attraverso la vita e
la morte, la costruzione e la distruzione. I lineamenti della Polis futura, al di là delle vicende di Milano e di
Firenze, saranno disegnati da questo continuo processo.
Dibattito
Vittorio M.
A questo punto chiederei a voi di contribuire un poco
La città del pensiero
Silvana O.
Io ho subito due domande: innanzitutto, proprio adesso hai parlato di catastrofi, e già prima, vedendo la
piantina di Milano, con la raggiera delle eventuali griglie stradali, mi è venuta in mente Atlantide.
Nell’interpretazione sia del Crizia che del Timeo, Platone parla di Atlantide e di come era strutturata la città,
in forma concentrica, con dei canali, e probabilmente anche a forma di spirale, perché le navi che arrivavano
su quest’isola dovevano prima attraversare questi tre canali, per arrivare poi al centro, dove c’era il tempio di
Poseidone, tutto d’oro. Quindi, la domanda è: questa idea di città che Platone aveva poteva esistere davvero
al suo tempo, oppure era solo frutto della sua fantasia? Si può inoltre dire che una città così razionale poteva
essere in qualche modo una città maschile?
Vittorio M.
Beh, no, ai tempi di Platone la città non esisteva, lui narra nel Crizia…
Silvana O.
Sì, però la descrive proprio come hai fatto tu.
Vittorio M.
L'abbiamo detto tante volte: se uno si nutre di un pensiero sul nucleo, sul centro interiore, scopre che è
sempre lo stesso, ed è così quindi anche di quello di cui ha parlato Platone. E' lo stesso centro che può aver
ispirato gli architetti di Atlantide e quelli di altri tempi. La verità è una sola e, per quanto i nostri punti di vista
possano differire, se uno comunque arriva vicino al centro, allora ne vede l'unicità.
Silvana O.
E si origina quindi la stessa forma?
Vittorio M.
Più che a una forma, si è vicini al nucleo profondo che la origina.
Quanto poi a quello che dicevi di una città della ragione, o addirittura maschile, io tenderei a dire che la
nuova metropoli che ho disegnato sia la città del pensiero, perché è il pensiero che si avvicina alla verità.
Silvana O.
La ragione, dunque…
Vittorio M.
Ecco, distinguerei un attimo tra ragione e pensiero: la ragione e il sentimento sono su un piano diciamo
paritario, ma il vero pensiero è quello che sa unire la ragione e il sentimento, per metterli poi in contatto con
la trascendenza. Io la vedrei in questo senso: che la città non può essere solo la città della ragione, ma deve
giungere al livello del pensiero, che è superiore alla ragione stessa. Questo è importante, perché parlare di
ragione può indicare anche la ragione economica, politica, scientifica, e non c’è dubbio che la maggior parte
della città attuale risponda a questo tipo di ragione, mentre il pensiero è un’altra cosa, è piuttosto sinonimo
di sapienza.
Silvana O.
Infatti, se vogliamo, ritornando alle immagini di Milano, il tuo progetto è concentrico, non segue lo schema
della città romana. La città del pensiero è diversa dalla città della ragione che sembra più quadrata.
Vittorio M.
Ecco, la città della ragione segue un principio di geometria, la città naturale invece segue un principio di
organicità, e la città del pensiero deve comprendere l’uno e l’altro, e deve comprendere in sé anche la
natura.
Una volta le città avevano delle mura che le difendevano dalla natura, che appariva impenetrabile e piena di
pericoli, mentre oggi, in cui l'uomo è diventato più forte della natura o meglio ha una tecnica che può
distruggere la natura - la nostra “forza” si intende purtroppo in questo senso distruttivo - oggi si sta invece
sviluppando per fortuna il contrario, cioè un dialogo, un amore per la natura, con cui l'assumiamo come parte
integrante di noi stessi. Allora vedi che le mura, invece di averle all’esterno della città, si devono avere al suo
interno, come nella mia idea della cinta dei Bastioni, per proteggere la natura interiore, cioè quel vuoto di cui
abbiamo parlato. Però qui faccio molte confusioni, peraltro feconde, perché una volta penso a questo vuoto
come natura, penso a un bosco dentro la città, un’altra volta penso che nel bosco ci siano degli edifici
antichi, o anche nuovissimi, al servizio di esigenze educative, in un altro caso, come a Firenze, niente bosco
ma vado a ritrovare la nascita della città in un tempo remoto, o in un tempo futuro, o in un tempo
metafisico.....
Ma sono confusioni feconde, perché tutto quello che non è razionale, utilitario, economico, brutale, è unito
nel nostro centro interiore, che sia l’antica città o la natura, o l’albero, o San Franceso, o il nostro cuore, il
nostro sentimento: io vedo tutto insieme....
Silvana O.
E qui viene la seconda domanda, scusatemi, poi non parlo più...Volevo dire che abito a Milano 2, un piccolo
quartiere di edifici realizzato con un progetto che appartiene evidentemente alla ragione. Mi sembra però che
appartenga più al pensiero perché, come dicevi tu, incorpora il verde nel quartiere, è integrato nella natura.
Poi, se lo guardiamo dall’alto, è un po’ come se fosse il biscione, il simbolo di Milano, e si riporta quindi
anche alla storia..
Io ci sto benissimo ma, a parte questo, la mia domanda era: come collochi tu, Vittorio, questo progetto?
Vittorio M.
Io non lo conosco bene, però è evidentemente un buon progetto.
Non schematizzerei però nulla, dicendo che una cosa appartiene alla ragione, l’altra al pensiero ecc. Però,
se dovessi collocare Milano 2 nell’insieme della metropoli, direi che va bene che ci siano episodi di diversi
tipi: prima dicevo che le cittadine federate devono recuperare la loro identità, che certe volte può essere
legata a una preesistenza, a un monumento, alla conformazione antica della città, mentre, in altri casi, può
invece risultare da un progetto disegnato ex novo.
Silvana O.
Quindi non lo chiamaresti città del pensiero
Vittorio M.
No, la "metropoli del pensiero" a cui mi riferisco è un'altra cosa: penso a un grande urbanismo urbano in cui
vengono integrati gli aspetti di razionalità e di organicità, che abbiamo riconosciuto nelle città del passato,
individuando nel nostro tempo o meglio nella civiltà in cui esso può svilupparsi la capacità di fonderli in un
vero pensiero: un pensiero che sappia unire anche lo sviluppo economico, l'ingegneria delle comunicazioni,
l'educazione dei giovani, la salvaguardia della natura e ogni altro aspetto, in una visione etica e spirituale....
Nel contesto di una grande metropoli, così intesa, va bene che ci siano diverse forme di abitato, anche se il
mio cuore va piuttosto verso una città che abbia una sua identità, con una comunità che si riconosca in essa,
piuttosto che verso delle operazioni di tipo commerciale, che tuttavia possono essere fatte molto bene ed
essere molto piacevoli.
C'è qualcun altro che vule intervenire?
Carla S.
stasera non ho niente da dire, mi piaciuta molto, il tuo discorso è molto bello, molto autentico, molto
profondo, molto tutto, mi ci sono molto riconosciuta, ma non ho niente da aggiungere.
Vittorio M.
Non è un discorso facile, perché parlare della città è un tema che è purtroppo riservato ai soli urbanisti. Se
essi fossero d'altra parte qui, figurati....sentirci parlare di un fiore, dell'albero, dell'anima....C'è poi un aspetto
del mio discorso che sarebbe anche molto ferrato sul piano tecnico, ma mi guardo bene dal farlo, tanto più
che proprio oggi ho dovuto rileggere le dispense di un seminario dell'anno scorso in cui avevo già parlato di
questo progetto in modo molto più dettagliato. A dire il vero me ne sono pò stancato...., e poi ho scoperto che
mi ripeto in modo clamoroso! Ho però diverse spiegazioni per questo: una è quella di una campana cinese,
non so quale maestro diceva che era una campana speciale: in qualunque punto tu la toccassi, dava sempre
lo stesso suono. Poi il mio altro alibi è il fiume: il fiume passa, sembra sempre lo stesso però non lo è,
oppure in fondo lo è... e così è il fiume dei pensieri. E infine ho parlato tanto dei cicli, non per niente..., non è
che si dice una cosa dall' A alla Z, e poi si va a casa. La diciamo e poi la ridiciamo e poi la ridiciamo ancora
Silvana O.
repetita adiuvant
Vittorio M.
Certo, ma non è poi una ripetizione di nozioni: è un rifare il percorso, come fa il sole che nasce la mattina,
poi splende per tutto il giorno, poi va a dormire, ci pensa tutta la notte e ritorna la mattina dopo..., anche per
far crescere una carota, un filo d'erba qualsiasi il sole quanti viaggi deve fare, quante volte deve rifare il giro,
ve ne rendete conto?
Carla S.
L'unica cosa che ho pensato, l'unica, non è un pensiero, è solo un'immagine: vedendo il tuo disegno della
spirale, mi è venuto in mente come in fondo noi abbiamo dentro di noi due spirali, una è il nostro intestino e
l'altra è il nostro cervello, e noi ci esplichiamo anche attraverso questi segni, che esprimono questa nostra
spiraliformità, che è anche quella dell'universo, molte galassie sono spirali. Mi è venuta solo l'immagine di
questa organicità, di questo legame profondo fra noi, quello che creiamo, quello che sentiamo fuori, quello
che è nell'universo, quello che è dentro di noi, il grande e il piccolo, ecco tutto questo mi è passato per la
testa, suggerito da te
Federico F.
Parlavi di unione fra sentimento e ragione. E' anche lo Yin e lo Yang
Vittorio M.
Esattamente, è la stessa cosa. E' una delle intuizioni più belle della filosofia orientale.
Federico F.
Un'altra cosa: gli antichi si occupavano della geomanzia, lo studio di un edificio in relazione alle forze
cosmiche. Sarebbe possibile tenerne conto nella città moderna, costruendo dove sarebbe meglio conforme?
Silvana O.
Puoi farlo in campagna, in città mi sembra difficile
Vittorio M.
Una volta l'uomo era legato alla terra, che faceva parte di lui stesso. E' un rapporto fondamentale, che oggi è
dimenticato. Quanto a me, non conosco il Feng shui, a cui penso che tu alluda parlando di geomanzia, ma
ho una certa attenzione per il lato magico di questa pratica. Una volta ho disegnato una casa che era
rigorosamente pensata in funzione dell'orientamento, delle stagioni e delle età della vita, la cui ricerca si è
poi focalizzata nell'orientamento in un senso spirituale, come quello che presiedeva una volta alla fondazione
delle città. Esse venivano orientate secondo i punti cardinali e, in particolare, venivano orientati verso
l'oriente tutti templi, ma di questo parleremo, credo, nel prossimo incontro. Vi parlerò del tempio, nelle forme
storiche che esso ha assunto, e soprattutto nella forma "interiore" di fare un tempio di noi stessi.
Adesso devo però interrogare qualcuno... Giorgio?
Il vuoto in occidente e in oriente
Giorgio F.
Prendo spunto da quanto è stato detto. Penso che a noi uomini occidentali risulti costituzionalmente difficile
di attingere a quel vuoto che citiamo spesso. Secondo me, in occidente c'è veramente un horror vacui, di cui
è stato una forma anche l'andare a colonizzare tante terre vergini. E' qualcosa di insito nella mentalità
dell'uomo occidentale, in modo che sembra difficile anche di far accettare un progetto che preveda di fare il
vuoto, proprio perché non fa parte della nostra dimensione antropologica. Lo si vede anche nell'arte,
pensando per esempio all'arte romanica e agli infiniti intrecci decorativi di cui riempiva le superfici e i
capitelli. Si direbbe che, sia nel pensiero che nelle immagini, tendiamo a colonizzare, a riempire tutto,
mentre in oriente, nell'arte giapponese, il vuoto regna sovrano.
Vittorio M.
Giusto, però penso che una delle chiavi di sviluppo del nostro tempo è proprio l'unione fra l'occidente e
l'oriente, è proprio quello che dobbiamo fare. Jung, con tutto il discorso sull'inconscio, aveva già cominciato
a esplorare questo vuoto, che poi non è vuoto ma ricchissimo di contenuti, ma oggi è fondamentale
avanzare nella fusione fra la cultura occidentale e la cultura orientale.
Carla S.
Vorrei però dire, per rispondere a Giorgio, che veramente, già nel medioevo, c'era questa doppia anima: da
un lato queste chiese piene di decorazioni, animali, mostri tanto che San Bernardo tuonava, non li voleva,
preferendo delle superfici lisce, nude: ma dall'altro anche gli spazi vuoti e senza nessuna decorazione di
tante chiese romaniche. Quindi c'è questa duplice anima, l'anima che riempie il vuoto e l'altra anima che
invece lo ama e ricerca questa purità di superfici. Io direi che questa duplice anima c'è sempre, anche
nell'arte contemporanea. Se voi pensate a tutto il filone dell'arte astratta, pensiamo a Mondrian, alle superfici
geometriche, al rifiuto di figurazioni, di espressività, all'amore delle superfici nude, come un discorso di
ricerca interiore...
Vittorio M.
Hai ragione a dire che ci sono sempre le due anime, però in oriente è prevalente questa cultura del vuoto,
anche se, sembra curioso, i loro templi sono "pieni" come sculture, non hanno perlopiù uno spazio interno. In
occidente è stato invece molto sentito lo spazio. Mi viene in mente un'antica chiesa, Santa Maria del Fiore, le
cui facciate sono riempite di decorazioni in ogni particolare, come è nella tradizione fiorentina, mentre il suo
interno è un immenso e assoluto spazio vuoto. Non se ne è però fatta una filosofia come in Oriente ma, se si
vuole, una sana pratica: vuoto e pieno come vino e pane, cose complementari come, nella vita, il silenzio e
la parola. In Oriente si è ricercato il vuoto interiore, ma da noi, soprattutto in Toscana, si sono costruite le
forme che contengono il vuoto, i vasi, ben torniti e pieni.
Nei progetti di città di cui vi ho parlato, il vuoto è preso in un altro senso. In tutti questi seminari e anzi da
sempre io mi occupo del bisogno di una rifondazione del mondo, della città e sostanzialmente di noi stessi.
Non sono mai andato a pensare cosa facessi nelle vite anteriori ma probabilmente in una o nell'altra dovevo
fondare una città, come architetto, sacerdote o magari solo come l'addetto al vomere che ne tracciava i
solchi.
Di fronte al caos del mondo contemporaneo - guardate a una città come Firenze, come Milano o come
qualunque altra città - sento il bisogno di rifarmi al momento della sua nascita, come una specie di magia
interiore. Nel libro che ho scritto sul progetto di Firenze (La Città Nascente, Dedalo 1985) ogni capitolo
comincia immaginando di trovarmi in questa bella pianura sotto Fiesole quando fu fondata Firenze o poco
più tadi quando il sacerdote, ogni mattina, di fronte al sole nascente, celebrava il suo rito...
Mi direte che, oggi come oggi, il nostro impegno deve essere ben altro: partecipiamo all'attività del mondo
lavorando su alcuni degli infiniti particolari dell'immenso edificio comune, dando una mano, progredendo,
cercando di fare qualcosa di meglio, ma siamo largamente deficitari, sopraffatti da chi invece fa sempre
qualcosa di peggio! Per cui nasce in noi un profondo bisogno dell'anima che dice: "No, bisogna ricominciare
da capo" Non accade forse così in tante situazioni della vita? Non si può più perfezionare un edificio che è
vicino al crollo, non si può indefinitamente vivere e guarire da infinite malattie, bisogna morire e bisogna
rinascere.
Questo rinascere è un lavoro, è il mio lavoro. sono molto attento a questo, è un lavoro maieutico. Quindi
dico: rifacciamo il vuoto, in noi stessi, come una verginità recuperata, ma riconosciamolo anche in tante
situazioni del mondo, che soffre manifestamente del troppo pieno, del troppo costruito, del troppo inquinato.
Un vuoto che però, un momento dopo, riempio: non ricerco il vuoto come uno stato di interiore perfezione,
ma lo riempio di progetti civili, che sono molto integrati con i bisogni profondi del tempo, con l'educazione dei
giovani, con l'avvenire che vogliamo render possibile per loro. Non rifiuto l'operatività della vita, ma chiedo
che essa sia messa al servizio di un intento spirituale.
La città della psiche
Silvana O.
Ma non ti verrebbe voglia di inventare invece una città nuova?
Vittorio M.
Una volta me l'hai già detto, non è una questione di voglia, ma sarebbe un'astrazione di pensare al nuovo
come a qualcosa di staccato dalla realtà. Non c'è più una natura vergine, non c'è più una coscienza vergine,
vuota; il nuovo non può essere che uno sguardo nuovo su ciò che già esiste, in noi e al di fuori di noi. Oso
dire uno sguardo "vergine" in cui lo Spirito si invera, come in una Annunciazionev
D'altra parte, ti ho fatto vedere il progetto di una nuova città - Aix-Etoile - ma vedi, pur facendo una cosa
interamente nuova, è come se io avessi lavorato su un humus psicologico; occorrerebbe forse uno psicologo
per chiarirlo. Vi ho detto prima che, nel disegnare questa città, ho raccontato una storia; ho in realtà
ricordato alla psiche umana ciò che essa ha già in sé: l'idea della città, il suo collegamento con il cielo e con
la terra, il principio verso il quale orientare la realtà. Fa parte della nostra psiche di avere tutto ciò dentro di
sé: che poi tu lo applichi a una città preesistente, a una sua parte, oppure ex novo, non cambia molto.
Cambia invece tutto se questa essenza non viene percepita e si bada solo a tracciare strade, a costruire
case, o anche a restaurarle, e soprattutto a venderle e a comprarle. Tutto ciò fa parte della realtà, ma
occorre fare in modo che la realtà rispecchi una verità interiore, che è il senso che noi diamo alle cose.
Si parla poi di Brasilia e del divario che si vede in essa fra una città artificiale, creata sulla carta, e le favellas
che si sono sviluppate tutt'intorno. Federico si chiede cos'è un progetto urbanistico, un mega-piano? Vittorio
risponde che in Italia si fa un po' di confusione fra i diversi livelli di intervento urbanistico, mentre in America
essi sono distinti fra urban planning e urban design.
Quest'ultimo è un progetto visualizzabile a livello architettonico, come quello per il Centro di Firenze, mentre
quello per Milano è più un urban planning a causa della sua scala regionale.
Vittorio M.
A dire il vero, richiederebbe un'altra categoria per essere definito: è infatti più un piano filosofico che
urbanistico, anzi un piano metafisico.. Non per nulla si chiama "la città a immagine e somiglianza dell'uomo:
Slvia G.
Le hai dato la struttura quasi di un corpo umano
Vittorio M.
Questo è un altro discorso ed è un po' difficile. Dire che tale città è a immagine dell'uomo è un pensiero che
si può cercare di definire in alcuni aspetti, ma che ha anche un fondo esoterico. Non è che fisicamente
questa città debba far pensare al corpo umano. Potremmo ravvisare in essa, è vero, una testa, un cuore, un
sistema circolatorio e respiratorio, e perfino un pensiero, ma l'intento è più profondo: la vera somiglianza con
l'uomo è nell'analogia con il detto biblico che l'uomo è fatto a immagine e somiglianza di Dio.
Silvana O.
Allora la settimana prossima ci parli del tempio?
Vittorio M.
Il tempio...Anche qui c'è da riconoscere diversi livelli: come è stato il tempio nella civiltà classica, come lo è
stato nell'architettura gotica, come può esserlo oggi e come soprattutto deve esserlo dentro di noi. Il discorso
è sempre lo stesso: fare il vuoto in sé è proprio come costruire il tempio, e somiglia al discorso della Città
Nascente, in cui ci si riporta al momento sacro della nascita. Mi è molto difficile separare le cose, sono tutte
la stessa cosa...
Carla S.
Sai che cosa vorrei dire io a conclusione di questa bellissima serata? Una frase che ho letto di Panikkar, che
io amo moltissimo e mi ha dato tantissimo: "sono partito per l'India ed ero Cristiano, mi sono ritrovato Indù,
sono diventato Buddista, senza mai smettere di essere Cristiano".
Vittorio M.
Anche tutte queste religioni sono la stessa cosa.... Anche a me è successo, andando in India, non solo di
non smettere di essere Cristiano, ma anzi di diventarlo ancora di più. Perché vedi, il messaggio di Gesù è
meraviglioso ma è stato così irrigidito nel catechismo, nei dogmi, che è diventato difficile comprenderlo, se
non facendo appunto il vuoto in noi per riceverlo, o aprendo almeno una parentesi di distacco. Questa
permette di porsi da un punto di vista diverso, per poi ritrovare con rinnovata freschezza il centro, che deve
essere come un tempio interiore in cui tutte le immagini di Dio sono accolte, anzi può anche non essercene
nessuna...poiché siamo noi stessi la sua immagine.
|