Incontro n° 6 del 12 maggio 2010
        Nel dibattito sono intervenuti anche: Alberto d'Adda, Carla Sanguinetti, Federico Ferraris, Gerardo Palmieri, Silvia Guerriero, Pat Sophie Graja, Ettore Lariani.
        Vittorio Mazzucconi
        
        Continuiamo nella difficile impresa di questo Seminario, il cui tema 
          "Sentimento e Ragione" investe tanti piani. Occorre ricordare 
          che il significato che attribuiamo alla parola "sentimento" 
          è diverso e più ampio di quello abituale. Volendolo definire 
          per esclusione, diciamo che è tutto quello che non è razionale, 
          per esempio la natura - associarla al sentimento può sembrare 
          un concetto un po' strano - e poi l'inconscio, l'ignoranza stessa, l'oscurità, 
          la morte, la femminilità, la maternità ecc. Se chiamiamo 
          tutto questo "sentimento", la ragione appare un'altra cosa: 
          è la mente, la geometria, la luce. 
        Un' altro elemento che è alla base della nostra attribuzione 
          di significati è l'archetipo dell'albero di cui tante volte abbiamo 
          parlato. Abbiamo paragonato la sua ramatura alla ragione in cui il tronco 
          si divide, mentre abbiamo invece associato la sua radice al sentimento. 
          Fra i vari piani in cui abbiamo studiato il rapporto fra il sentimento 
          e la ragione - esso è stato studiato anche nell'arte e nella 
          storia - abbiamo parlato molto in uno degli ultimi incontri del femminile 
          e del maschile, stabilendo un'equivalenza: femminile = sentimento, maschile 
          = ragione. Si tratta evidentemente di un'equiparazione schematica, di 
          un modo per mettere dei paletti per poter cominciare a pensare, ma diciamo 
          che non è qualcosa di molto lontano dalla verità, anche 
          se non bisogna fermarsi a dei casi particolari. Ci sono infatti donne 
          estremamente razionali e uomini molto portati al sentimento; anzi, gli 
          uomini sono in generale più sentimentali delle donne. 
        Dopo il maschile e il femminile abbiamo poi parlato della nascita del 
          figlio. Il figlio, come è naturale, è il frutto del rapporto 
          di coppia, ma l'abbiamo visto come figlio in tanti sensi, dicendo per 
          esempio che il figlio dell'albero nasce dal suo frutto, il figlio nell'arte 
          nasce dall'unione del sentimento e della ragione in un'opera d'arte 
          vivente, e che il figlio della stessa unione nella vita dell'anima è 
          la conoscenza. Tutti i processi umani consistono nell'unione di due 
          poli opposti, chiamiamoli sentimento e ragione, ma potete chiamarli 
          anche femminile e maschile, negativo e positivo, Yin e Yang, ed è 
          da questa unione che nasce la vita, il figlio. 
          La scala degli esseri è stata poi vista come un percorso universale, 
          che comincia a livello biologico - dall'unione dei pollini nasce un 
          fiore, un frutto - e, di gradino in gradino, ci porta infine a un piano 
          altissimo, dove l'anima umana si congiunge allo Spirito, a Dio. Nasce 
          allora quello che si può chiamare il "figlio di Dio". 
          Dal livello quindi terreno, biologico, al livello metafisico: questo 
          è il cammino che abbiamo seguito negli incontri precedenti.
        Questa volta ci avventuriamo nel rapporto fra libertà e legge. 
          Mi tremano un po' le gambe perché la mia preparazione è 
          quella di un artista, di un architetto o, più in generale, di 
          un uomo che ama meditare, ma non di un filosofo di professione e tanto 
          meno di un giurista. Se c'è un campo in cui i filosofi si sono 
          accapigliati per millenni, è proprio quello della definizione 
          della libertà e della legge su cui ci accingiamo a discutere 
          in modo molto incauto. Portandolo avanti insieme, troveremo però 
          forse qualcosa di vicino a quel senso comune e nativo su cui si basano 
          tutto sommato anche le più grandi teorie, se beninteso non se 
          ne allontanano, come molto spesso accade.
        Partirei da una metafora, che è poi la stessa, mi pare, con 
          cui ho terminato l'ultimo incontro, cioè la metafora del solco 
          e delle pianticelle che crescono in esso. Ripeto che non affronto il 
          problema della liberà e della legge da un punto di vista teoretico, 
          filosofico, ma vi invito solo a considerare questa immagine: si tratta 
          del solco, che è evidentemente un'opera della ragione, mentre 
          fra i solchi agisce la natura, crescono le piante che sono state selezionate 
          per la loro utilità. 
          Questa mi sembra una giusta chiave per comprendere il rapporto di cui 
          parliamo. Con essa, associamo queste piante al sentimento, così 
          come abbiamo associato il solco alla ragione. Qui si può subito 
          intuire un'ulteriore associazione, fra il sentimento-natura e la libertà, 
          come pure fra la ragione-solco e la legge. 
        Il discorso sulla libertà è stato invece sempre posto 
          in modo teorico: come è possibile che l'uomo sia libero quando 
          in realtà è dominato dal fato, come pensavano gli antichi, 
          o comunque da una volontà divina e imperscrutabile, o anche, 
          in modo più modesto, dalle circostanze della vita, e dalla costituzione 
          del nostro corpo? Se guardiamo bene nessun nostro atto è libero: 
          sono tutti condizionati da qualche cosa e dalla nostra mente stessa, 
          che guarda se stessa;. il soggetto guarda l'oggetto...
          Si capisce che non si è mai arrivati ad una verità; non 
          ci si potrà mai arrivare, è evidente, però già 
          il fatto di associare la libertà non alla ragione e alla sua 
          divisione ma al sentimento, alla natura, è qualcosa che può 
          essere interessante. Se guardiamo infatti alla natura, assumiamo che 
          essa sia sinonimo di libertà - mi direte che ci sono delle costrizioni 
          inerenti alla lotta fra le specie, all'evoluzione, alla costituzione 
          fisica, e che è solamente attraverso le costrizioni che gli esseri 
          prendono forma - però c'è nella natura un principio di 
          vitalità sorgiva, più forte di ogni condizionamento. Ogni 
          pianta fa questo bellissimo lavoro di collegare la terra al cielo, che 
          a mio avviso è l'essenza della vita e anche l'essenza della verità. 
          Possiamo chiamare questa essenza "libertà", pur sapendo 
          che essa è evidentemente condizionata dalla libertà di 
          tutte le altre creature che, una con l'altra, formano il mondo, formano 
          la configurazione del mondo. Se si pensa invece alla ragione, si vede 
          che essa tenta dapprima di interpretare ma subito dopo di sovrapporre 
          a questa naturale libertà una proiezione di tipo astratto, razionale. 
          Questa proiezione fino a un certo punto è molto utile. come accade 
          appunto del solco che permette di organizzare una piantagione perché, 
          altrimenti, saremmo in una selva in cui crescerebbe ogni tipo di pianta, 
          dandosi ombra una all'altra. 
        Un altro e bellissimo passo è quando, dall'idea di solco, si 
          passa all'idea di città. In antico, la città veniva proprio 
          fondata tracciando dei solchi. Il sacerdote determinava con essi gli 
          assi principali e il perimetro delle mura, e quindi l'idea del fondatore 
          di città e quella dell'agricoltore erano in fondo la stessa cosa. 
          Anche nelle città di oggi si tracciano delle linee simili agli 
          antichi solchi, che poi diventano le strade, e soprattutto delle regole, 
          delle leggi, entro le quali si può svolgere la vita della gente, 
          che può essere assimilabile a quella delle piante. Ognuno esplica 
          le sue potenzialità, ma può farlo solo nell'ambito fissato 
          dalla ragione. Fin qui la ragione ha una funzione fondamentale. Quando 
          poi la ragione e il sentimenti si uniscono, io trovo che questo sia 
          proprio il momento aureo dell'unione, che è poi lo stesso che 
          tante volte abbiamo visto in altre forme, per esempio nell'unione dell'amore 
          fra un uomo e una donna, che è ugualmente un momento aureo, felice; 
          nell'unione nel tronco dell'albero fra ciò che viene dalla terra 
          e ciò che viene dal cielo, la luce; nei momenti aurei della civiltà; 
          nell'età adulta. In tantissime forme quello che viene dal basso, 
          che chiamiamo sentimento, e quello che viene dall'alto e che chiamiamo 
          ragione, si equilibrano e danno luogo al meglio dell'esistenza umana, 
          sia sul piano personale che sul piano sociale. Sul piano personale perché 
          questa integrazione di sentimento e ragione è proprio l'abc del 
          conseguimento di una personalità equilibrata, che equivale poi 
          all'integrazione fra maschile e femminile. Quanto a quest'ultima, la 
          vediamo non solo nel rapporto di coppia ma in noi: questa integrazione 
          è proprio fondamentale in noi stessi.
          Sul piano sociale, se parliamo della città, è soprattutto 
          la polis, la città classica, che ci mostra il valore di questo 
          tracciamento dei solchi, come di un atto fondamentale di civiltà, 
          una civiltà che aveva origini recenti nell'organizzazione dell'agricoltura 
          e delle prime forme di vita associata, per giungere poi al momento aureo, 
          in cui la legge è vicina, come si direbbe oggi, al cittadino; 
          è vicina alla parte viva, naturale di noi, alla nostra 
          vitalità, ai nostri sentimenti. Se si va oltre, la ragione dà 
          luogo a una divisione. L'abbiamo visto tante volte: il tronco dell'albero 
          si biforca e poi si divide ancora fino a un'estrema ramificazione, lo 
          stesso accade per la ragione e lo stesso accade per le leggi. 
        Questo è evidentissimo. Noi viviamo oggi in uno stato di confusione, 
          di estrema ramificazione, che poi io metto in rapporto con la ramificazione 
          operata dal linguaggio. Un pensiero vero, semplice, si esprime in una 
          parola, uno sguardo, una stretta di mano. Se a questo si aggiunge il 
          ragionamento, articolato nel linguaggio, ne nascono certo idee più 
          approfondite ma anche mille sottigliezze, scappatoie, complicazioni, 
          in fondo alle quali non si capisce più niente, si entra nel regno 
          della confusione. Confusione vuol dire anche debilitazione, come se 
          la linfa salita dal tronco dell'albero, che viene distribuita in tutti 
          i rami e rametti, in tutte le foglie, non potesse a un certo momento 
          andare oltre: non ci arriva più e l'albero è condannato 
          a deperire. Non c'è più un rapporto utile fra la potenza 
          del sentimento, della linfa e la capacità fisica di distribuirla 
          e di metterla in rapporto con l'altra potenza, quella della luce. Quindi, 
          al momento della ragione e del sentimento equilibrati, succede quello 
          della ragione che opera una divisione, che poi si accentua nel linguaggio. 
          Il linguaggio è sinonimo di torre di Babele, porta alla confusione, 
          e la confusione porta all'impotenza, a un declino della civiltà. 
          Ciò può essere riscontrato in ogni campo, dall'arte al 
          rapporto di coppia, alla storia. Abbiamo impiegato diversi incontri 
          per vedere un po' più da vicino queste situazioni, che preludono 
          a una nuova barbarie, cioè al ritorno in uno stato di natura. 
          Quando il sentimento si va corrompendo, non c'è più certezza 
          della legge, non c'è più chiarezza, diventa necessario 
          il ritorno a uno stato di barbarie, a cui non attribuisco però 
          un senso negativo, ma piuttosto quello di una condizione di base, di 
          una oscurità - come lo è la notte prima che uno si svegli 
          - e da cui, analogamente, si può sperare che prenda inizio un 
          nuovo ciclo di civiltà. 
        Moltissime volte abbiamo parlato della ciclicità di tutti questi 
          fenomeni, non solo degli aspetti che vediamo adesso ma di ogni altro: 
          abbiamo menzionato il femminile e il maschile, ma tutto, il giorno e 
          la notte, le stagioni, la vita umana, la storia ecc. risponde allo stesso 
          principio. E' stato poi detto che questa ciclicità non è 
          fine a se stessa ma si enuclea come una spirale, conosce cioè 
          un'evoluzione, non è una ripetizione meccanica. Ma, soprattutto, 
          io ho sempre portato avanti la speranza, o la fede, l'intuizione, la 
          consolazione - possiamo usare diverse parole per dirlo - che sia possibile 
          uscire dal ciclo. Questo lo si vede non tanto a livello sociale, ma 
          a livello individuale, quello raggiunto da personalità straordinarie 
          che ci hanno illuminato, mostrandoci che, facendo un passo oltre, si 
          può aprire la possibilità di uscire da questo ciclo. Mentre 
          ogni ciclo comincia con l'oscurità e finisce con l'oscurità, 
          comincia con la morte da cui emerge una nascita e finisce con la morte 
          - è tutto così, in ogni cosa - se si va invece oltre, 
          se si passa a un'altra scala....E' quella dell'intuizione, di un'ispirazione 
          che conduce alla vera conoscenza dell'anima, che conduce all'illuminazione, 
          alla realizzazione interiore. Si traccia allora una strada che porta 
          su un altro piano, chiamiamolo piano metafisico, piano di una speranza, 
          che si apre dapprima a degli uomini eccezionali ma che lo fa in seguito 
          per tutta l'umanità, via via che l'esempio dei primi iniziatori, 
          dei primi profeti è seguito da molti altri. C'è quindi 
          la speranza che un sempre maggior numero di persone giunga appunto a 
          un livello superiore a quello di una ciclicità meccanica, per 
          arrivare invece a un'apertura spirituale. 
        Se, alla luce di queste considerazioni, ci riportiamo al problema della 
          libertà e della legge, come possiamo vederlo? Invece di guardare 
          alle leggi, come sono adesso - dei modi di codificare i rapporti fra 
          interessi contrastanti, di regolarli, di mediare stabilendo delle regole 
          - e sapendo quanto esse possono essere deviate e quanti sono i danni 
          che creano, oltre ai benefici innegabili, non possiamo fare um passo 
          oltre? Non si può sognare una legge illuminata, che rifletta 
          una sapienza, non solo una cultura giuridica ma una vera e spirituale 
          sapienza? Possiamo sperarla e collocarla in un futuro lontano ma possiamo 
          soprattutto rintracciarla, fin da adesso e anzi da sempre, nelle parole 
          e nelle opere di innumerevoli uomini che ci hanno preceduto, grandi 
          profeti, pensatori, artisti, e in fondo anche nel cuore di ognuno di 
          noi. Se guardiamo nel nostro animo senza i paraocchi di una struttura 
          confusionale come quella di un linguaggio diventato fine a se stesso, 
          abbiamo una fonte interiore di verità, la stessa a cui stiamo 
          cercando in questo momento di attingere. Quindi la speranza di una legge 
          illuminata non è nella costituzione di commissioni di esperti, 
          di giuristi eminenti, ma è proprio nell'intento di ognuno di 
          noi di ristabilire in sé un giusto rapporto fra sentimento e 
          ragione, un rapporto che, io penso, è assolutamente deviato nella 
          maggior parte dei casi. E' anche il rapporto con la propria ombra, che 
          bisogna portare alla luce. Questo non è un seminario di psicologia, 
          e non possiamo certo addentrarci in un argomento così complesso 
          ma si può solo individuarne il filo conduttore. E' essenzialmente 
          quello di avere pulizia interiore, purezza interiore: è da questa, 
          penso, che potrà nascere qualche cosa di vero, sia a livello 
          della limitata cultura dell'attuale condizione dell'umanità, 
          sia a livelli più alti, a tutti i livelli della storia e della 
          conoscenza. 
          C'è una conoscenza, una verità universale che, se vi poniamo 
          mente, esiste e che non è così distante dalla natura, 
          anzi è proprio la natura. Mi viene in mente un Sartre - veniva 
          citato nel nostro ultimo incontro e io personalmente non lo amo - che, 
          se non sbaglio, diceva che la nostra naturalità è una 
          prigione che non ci permetterà mai di trovare un contatto con 
          il trascendente. Ma io, che credo molto all'idea della prigione - infatti 
          abbiamo dedicato tutto un seminario all'immagine della "caverna" 
          da cui bisogna uscire - non posso accettare che questa caverna ci impedisca 
          per sempre di vedere il lume della verità; questo proprio lo 
          rifiuto. E' proprio dalla caverna che noi dobbiamo uscire per andare 
          verso la luce, e possiamo farlo con la torcia dell'amore, che è 
          la nostra luce interiore. L'idea della prigione non esclude quella della 
          liberazione, al contrario la genera. La condizione umana è necessariamente 
          una condizione di limitatezza dalla quale, con grandi sforzi, nell'evoluzione 
          di eoni di tempo, si deve uscire per andare verso un'unità, verso 
          la luce. E quindi anche il concetto di legge, la legge che comincia 
          a dirimere i problemi fra le persone che brancolano nella caverna , 
          che urtano una contro l'altra, che battono la testa contro le sue pareti 
          - più o meno la nostra situazione è questa - può 
          evolvere verso una legge che sa che oltre la caverna c'è la luce 
          e che quindi, nel modo più opportuno, conduca gli uomini verso 
          un innalzamento della loro consapevolezza. Il concetto di legge parte 
          dalla contingenza e può, potrà, potrebbe giungere fino 
          all'assoluto. E' come il concetto del solco, che parte da un piano pratico 
          che è quello dell'agricoltura, per poi diventare il principio 
          direttore della fondazione delle città e, in seguito, quello 
          più sofisticato con cui i solchi diventano i binari della tecnologia, 
          i binari del pensiero. Non bisogna però smarrire mai il fatto 
          che questo principio deve porsi al servizio della vita, della natura, 
          dell'amore, e che non deve essere una griglia auto-referente, da cui 
          nasce l'idolatria della tecnologia, del computer, dell'astrazione in 
          ogni campo. Deve essere sempre legato alla sostanza, che è proprio 
          quella che chiamerei libertà. Non vedrei mai la libertà 
          come un fatto razionale e volitivo, dicendo: io ragiono, sono libero 
          perché decido di fare questo, sono libero perché scelgo. 
          Non mi verrebbe mai in mente di dire questo, ma molti filosofi lo hanno 
          invece detto.
        Sono libero, ma perché sono libero? Non posso razionalmente 
          capirlo, perché la libertà è nell'essenza. La mia 
          essenza è un'essenza spirituale, la mia essenza è la stessa 
          del divino, ognuno di noi ha un'essenza divina, e quale attributo del 
          divino è più grande, più vero di quello della libertà? 
          Non nell'essere costretto da qualcos'altro, o dominato o limitato, ma 
          è solo per sua propria volontà - anzi non volontà 
          - direi meglio per sua propria virtù e germinazione, che il Divino 
          si manifesta. Senza andare fino al divino, abbiamo parlato tante volte 
          del fiore: è lo stesso concetto. E' forse per un atto di volontà 
          che lo stelo a un certo momento diventa un fiore, ha deciso di diventare 
          un fiore? Direi di no - uno stelo non è razionale - ma cosa lo 
          ha spinto a fiorire, un'urgenza, una necessità? Vedrete che è 
          invece solo la manifestazione della sua essenza. In fondo, facendo un 
          volo, immaginando come Dio può aver creato l'universo, possiamo 
          pensare che egli abbia solo manifestato la sua essenza. Questa essenza 
          non è divisibile, non si può distinguere in soggetto e 
          in oggetto per costruirci una teoria, è proprio qualcosa di assolutamente 
          germinante che possiamo intuire in Dio come in ogni creatura. La ragione 
          può, dall'esterno, solo osservare, capire nei limiti delle nostre 
          possibilità, riceverne un messaggio di grazia. Se è di 
          fronte a una pianta, può solo curarla, annaffiandola, sarchiando 
          la terra, togliendo i parassiti, ma null'altro. Non è la ragione 
          che può creare la vita e la sua essenza di libertà, mentre 
          può essere più vicina alla vita, condividendone l'essenza, 
          quella parte che io impropriamente chiamo sentimento, in cui coincidono 
          la nostra propria essenza e quella della vita stessa. 
        Chi è venuto agli altri incontri sa che vi ho tartassato con 
          una quindicina di tabelle. Io che parlo molto in difesa del sentimento, 
          sono stato poi portato a costruire una struttura razionale per tentare 
          di spiegarlo, ma è stato proprio come un tracciare dei solchi, 
          per organizzare il pensiero. 
          In questa tabella si riassumono alcuni aspetti, come l'archetipo dell'albero, 
          le funzioni dell'anima, la civiltà - tutte cose che avete già 
          visto - e si aggiunge a destra una nuova colonna, che è quella 
          della libertà e della legge. In tutte le colonne si vede che 
          c'è un luogo centrale: è quello del tronco, del cuore, 
          dell'unione sentimento-ragione; è il luogo della civiltà 
          giunta alla sua pienezza, e finalmente il luogo dell'unione fra libertà 
          e legge, di cui abbiamo visto essere espressione la polis. 
          Non parlo di nuovo dei diversi passaggi mostrati nella tabella ma, per 
          concentrarci solo sulla libertà, si comincia a vedere uno stato 
          di anarchia, che può essere chiamato anche età primitiva 
          o natura, in cui si manifestano le prime forme di vita sociale, in assenza 
          di leggi. E' da qui che si passa al senso della libertà che, 
          paradossalmente, nasce quando se ne manifestano le prime limitazioni. 
          Dalla libertà si passa infatti progressivamente alla legge finché, 
          nella linea centrale della tabella , si vede una condizione di unione, 
          di equilibrio fra la libertà e la legge. Rispetto a tale linea, 
          vediamo che, al di sotto di essa, è indicata la libertà 
          mentre, al di sopra, è indicata la legge, nello stesso modo in 
          cui avevamo visto il rapporto fra il sentimento e la ragione, fra l'inizio 
          della civiltà e il suo declino. C'è una simmetria in questa 
          costituzione rispetto al centro. Mentre al di sotto di esso vediamo 
          la legge nascente, ossia la libertà che diventa legge, al di 
          sopra vediamo la legge che si sviluppa in modo autonomo, finendo col 
          sovrapporsi alla realtà, con l'opprimere la realtà, che 
          è proprio quanto accade nel mondo di oggi. La confusione che 
          questo genera - vediamo anche questo intorno a noi - porta a uno stato 
          di aridità, come quello di un albero spoglio, o quello della 
          morte di una civiltà, fino a una nuova barbarie, che è 
          necessaria per poter ritornare a uno stato di natura, recuperandone 
          le forze primigenie. 
          E' invece indicata in corsivo la parte superiore della tabella che mostra 
          come, al di là di questo ciclo, si può intraprendere un 
          cammino che porta a un livello superiore. Dalla barbarie nascono i fermenti 
          di una nuova cultura che poi finiscono col dare vita a una nuova civiltà 
          e a un nuovo ciclo. 
        
       
        
fig. 16
         Se è vero che, al di fuori di tale ciclicità, esiste 
          poi in ognuno di noi la possibilità, individualmente, di attingere 
          a una realizzazione spirituale, si può pensare che, a livello 
          di civiltà, si possa ugualmente pervenire a una vera conoscenza, 
          una conoscenza dell'anima, una profonda sapienza, che possa quindi generare 
          una legge illuminata? Questa è sempre stata la visione, lo scopo 
          della filosofia, da Platone in poi. Che poi un filosofo l'abbia vista 
          come primato della ragione; un altro l'abbia messa in rapporto con un 
          astratto assoluto; un 'altro l'abbia posta sotto la benedizione di una 
          grazia divina; o un Marx l'abbia vista come uno svolgimento storico 
          che si realizza attraverso le lotte politiche e sociali, sembra non 
          aver cambiato più di tanto il corso dell'evoluzione umana. 
          Al di là di tante forme di pensiero e di tante vicende, c'è 
          però un'essenza che viene dal nostro cuore, come il filo della 
          sapienza di tanti uomini illuminati nel corso della storia, che noi 
          abbiamo anche in noi stessi, e che ci conduce a una linea evolutiva 
          in un senso spirituale.
          Questo più o meno è il mio discorso, che adesso può 
          prendere maggior consistenza e valore con il vostro contributo. Volete 
          dire qualcosa?
        Dibattito
        Alberto D..
          Io non sono mai venuto prima al seminario, ma mi è piaciuta la 
          metafora della radice e del tronco. Stavo riflettendo sul fatto che 
          i sentimenti, se li paragoni alla radice, stanno infatti sotto e non 
          si vedono, mentre il tronco e i rami ovviamente si vedono di più.
        Vittorio M.
          Estenderei la tua riflessione all'inconscio, che è alla radice 
          dell’albero. Non solo esso è nascosto alla vista degli 
          altri, come lo sono spesso i nostri sentimenti, ma è nascosto 
          anche a noi stessi.
          Il nostro scopo è appunto quello di portarlo alla luce ma, nel 
          far questo, c'è modo e modo, perché, se prendi un albero, 
          togli la terra e esponi la radice al sole, l’albero muore.
          Quindi, bisogna attingere al profondo, ma anche preservarne l’oscurità 
          e l'umidità, preservare la radice, la forza germinante del nostro 
          essere. .Nel grembo materno c'è un bambino che non si separa 
          dall’oscurità del grembo finché non nasce. Non solo 
          deve essere giunta al suo termine la gestazione, ma il passaggio dall'oscurità 
          alla luce è un momento unico e sacro, è la nascita che, 
          con la stessa sacralità, deve essere vissuta anche nel nostro 
          rapporto con l'inconscio. .
        Come si sono formate le leggi?
        Alberto D.
          Entrando invece più nel merito, chiaramente l’argomento 
          “libertà e legge” è molto interessante. Lo 
          possiamo esaminare da un punto di vista trascendente, e magari lo facciamo 
          dopo, piuttosto che immanente. Non sono molto d’accordo sul discorso 
          che tu fai sull’anarchia: in realtà è vero, anch’io 
          prima pensavo che l’uomo primitivo fosse in una situazione di 
          anarchia, perché forse non aveva nemmeno bisogno di leggi Era 
          in una situazione di grande libertà, finché però 
          non appare il bisogno delle prime leggi. 
        Vittorio M.
          E’ quanto stiamo dicendo, mostrando il processo da una natura 
          in cui non c’è ancora l’uomo ai primi uomini della 
          preistoria, che vivono in una situazione di anarchia, nel senso che 
          non ci sono leggi né stati, ma che però un po’ alla 
          volta cominciano a stabilire delle regole. Da questa condizione - nei 
          primi uomini non c’è ancora il sentimento come noi lo viviamo 
          oggi, c’è la superstizione, o la pura brutalità 
          - nascono lentamente i sentimenti e la ragione. Con essi, la libertà 
          originaria comincia ad auto-limitarsi e ad articolarsi in regole: è 
          la legge allo stato nascente.. 
          La libertà equivale al senso dell’Io, alla consapevolezza, 
          alla possibilità di scegliere, che si esercita nel rapporto con 
          gli altri, da cui cui nasce la necessità di stabilire le regole 
          con cui esercitarlo.. 
        Alberto D.
          Sì, questo è chiaro. Però il punto è che, 
          paradossalmente, più leggi l’uomo è andato a darsi, 
          più viene meno la propria libertà. Qual'è poi l’obiettivo 
          della legge? E’ quello di garantire la giustizia, ma se la giustizia 
          non viene garantita, non possiamo più dire di essere liberi. 
          Cioè, noi siamo liberi in quanto esiste la giustizia: se essa 
          manca, pensiamo di essere liberi, ma non lo siamo.
        Vittorio M.
          Io penso che noi non siamo liberi, se non in un modo che è da 
          svelare a noi stessi. Ne dà evidenza il discorso della "caverna", 
          che mostra appunto tutta la limitatezza umana. La libertà va 
          conquistata. E’ come l’amore: un’idea assoluta, che 
          si realizza però a diversi livelli. Ricordate che abbiamo riconosciuto 
          l'amore anche al livello più basso, quello per esempio di mangiare, 
          con cui ci si unisce a ciò che si mangia. Anche nell'unione tra 
          uomo e donna il bacio è proprio simile ad un morso, tendenzialmente 
          è un voler mangiare. E così via via, in progressive forme 
          di unione, sino all’amore di Dio, in cui si realizza l’unione 
          con l’assoluto. 
          Direi che avviene lo stesso per la libertà: la prima libertà 
          può essere quella dell’albero che spinge i suoi rami tutt'intorno 
          e, con il movimento delle foglie, segue il soffio del vento; poi quella 
          dell’animale che può muoversi con tutto il corpo; e quindi 
          quella dell’uomo, che ha una libertà anche nei pensieri, 
          per poi evolvere sempre di più finché non giungerà 
          a conquistare la libertà vera che è quella spirituale, 
          cioè il riconoscersi come essere divino. 
          Prima di questo si può parlare di libertà solo in modi 
          più o meno limitati. I filosofi ci dicono che l’uomo è 
          si, libero, ma lo è però solo nell’ambito della 
          volontà di Dio, ponendosi il problema del libero arbitrio e comunque 
          della limitatezza della nostra condizione. Ma preferirei dire che l'uomo 
          sperimenta la libertà e la conseguente possibilità di 
          volere a vari livelli, sempre crescenti, fino a coincidere con quella 
          volontà di Dio da cui si riteneva dominato. E' proprio come nell'amore, 
          in tutti gli stadi che via via percorre, dal sub-umano sino al divino.
        Quando interviene la ragione, vediamo che essa sostiene la libertà 
          ma solo fino a un certo punto, perché poi si sovrappone ad essa, 
          dimenticando del tutto quale sia l’origine, l'essenza dell'uomo. 
          La ragione tende così a costruirsi come ente a sé stante, 
          ed è questa la grave deviazione che mette in pericolo il mondo. 
          Abbiamo invece bisogno che la ragione sia sempre in un giusto rapporto 
          col sentimento, come, nello stesso modo, la legge con la libertà. 
          E' fondamentale di individuare il loro equilibrio, la loro unione, e 
          non dire che uno è la strada della verità e l’altro 
          una deviazione. La vera deviazione è se si va al di fuori di 
          questo equilibrio.
        La Legge
        Carla S.
          Vorrei dire una cosa. Innanzitutto, trovo molto bello questo tuo sistema 
          che hai costruito, evidentemente attraverso tutta la tua vita, le tue 
          esperienze, i tuoi pensieri, e che assume questa immagine splendida 
          dell’albero cosmico, che poi è un archetipo, un’immagine 
          che tutti abbiamo dentro, perché ci sentiamo far parte di un 
          universo di cui capiamo molto poco, ma con le radici ci siamo dentro 
          e con le foglie andiamo su e troviamo l'equilibrio, come pure cerchiamo 
          un equilibrio dentro di noi. Ecco, è molto interessante, in questa 
          parte, quello che tu dici sull'unione fra sentimento e ragione, cioè 
          che il sentimento deve trovare una sua razionalità. La razionalità 
          deve riunirsi col sentimento. Questo è fondamentale, anche per 
          il discorso della legge, che è di oggi. Io recentemente ho letto 
          due cose, proprio su questo, che ho trovato straordinarie. Una l'ho 
          citata la volta scorsa e che è Jonas, e l'altra è un articolo 
          di Claudio Magris, uscito giorni fa sul Corriere della Sera: qualunque 
          cosa a cui noi possiamo aspirare come libertà cavalcante, sciolta, 
          naturale, romantica, in realtà non è possibile. 
          Dicono tutti e due, sia Jonas come filosofo che Magris come pensatore, 
          che quando riusciamo ad unire sentimento e ragione - deve essere il 
          nostro obiettivo nella vita - la vera libertà consiste nella 
          legge che noi diamo al nostro vivere sociale così come a noi 
          stessi, in questo nostro cammino interiore, in questa nostra ascesi 
          e tentativo di capire quest’universo così difficile. Nel 
          nostro rapportarci agli altri, in fondo qual è lo strumento principe 
          che abbiamo? Una legge che sappia unire sentimento e ragione. Certo, 
          ci muoviamo a livello quasi utopico e nella realtà delle cose 
          sappiamo come tutto questo sia difficile, e anche come essi siano ambiti 
          separati, che anzi si scontrano ed opprimono l’un l’altro. 
          La legge può essere terribilmente oppressiva, però anche 
          l’anarchia dei sentimenti lo è.
        Vittorio M.
          Certo, certo. Già in un altro incontro tu avevi evocato che nella 
          molteplicità del mondo, dove ci sono moltissime cose, anche vere, 
          anche dal peso uguale, opinioni che possono convivere, c’è 
          comunque un nucleo di certezza che chiami la legge, riferendoti al pensiero 
          di Jonas.
          Però qualcuno ha detto che questa è un’opinione 
          molto biblica…
        Carla S.
          Sì, giustamente, perché io ho il sangue ebreo…
        Vittorio M.
          Ed in effetti gli ebrei hanno sempre avuto questa idea, con Mosè 
          che si presenta con le tavole delle leggi, e anche con Gesù che 
          diceva: "Non sono venuto per abolire la Legge, ma per attuare la 
          Legge". 
          Io però sono un po’ anarchico e non metterei l’accento 
          sulla legge se non proprio come perfetto equivalente della libertà. 
          Ecco, li vedo proprio insieme.
        Carla S.
          Ma la nostra libertà è nella legge, io credo a questo 
          paradosso.
        Vittorio M.
          Sì, uno può dire che la nostra libertà è 
          muoversi nell’ambito della legge. Però la libertà 
          è un’essenza, la legge è una sovrapposizione. Sono 
          convinto anch’io che nel tempo si debba giungere ad una legge 
          sempre più illuminata - anche se non crederei affatto al governo 
          dei filosofi, o qualcosa del genere, per non parlare di quello dei politici 
          - ma mi pare proprio che sia vero un principio di assoluta equivalenza: 
          se cioè l’uomo scopre in sé un’essenza illuminata, 
          vale a dire l’essenza divina, allora creerà una legge illuminata, 
          vicina al divino.. 
          Altrimenti, se l’uomo ha un sentimento non sviluppato, cioè 
          una vita naturale confusa, mescolata all’ombra, se si dibatte 
          nella caverna, le sue leggi non faranno che rinforzare questo stato.
          Quindi non è che la speranza sia la legge: la speranza è 
          conquistare la libertà vera, interiore, divina, che porterà 
          ad una vera legge. Non è la la legge in sé che dobbiamo 
          adorare : una legge posta sopra ogni altra cosa non è la verità, 
          non è una volontà divina, ma rischia di essere un idolo. 
          . 
          Invece di questa sottomissione parlerei di equivalenza: come il sentimento 
          e la ragione devono essere equilibrati, così devono esserlo anche 
          la libertà e la legge. 
        Nessun altro interviene?
          Dicevo prima come Platone ebbe l'idea dei dialoghi (mi ha copiato...!?!). 
          Alla parola scritta, ha preferito la comunicazione diretta, orale, con 
          un gruppo di amici e discepoli, ascoltando e parlando in modo da mettere 
          in relazione le persone e le idee, che è un po' quello che più 
          in piccolo stiamo facendo. Però, col tempo, diventando vecchio 
          e autoritario, ha messo in primo piano questo personaggio di Socrate 
          che praticamente parlava solo lui, mentre gli altri erano ridotti a 
          dire solo: si, si, oppure no, no. Socrate poneva delle domande: è 
          vero che le cose stanno così ? E le risposte erano si, è 
          vero, oppure no, non è vero. E così, se voi non parlate, 
          andrà a finire con noi. Mi auguro invece che continui un dialogo 
          vero.
        Federico F.
          Trovo che nella vita c'è una lotta continua fra diversi interessi. 
          La legge è necessaria per questo, ma deve adattarsi continuamente 
          alla situazione reale, non rimanere immutabile. 
        Vittorio M.
          Ma questo accade non solo nel mondo umano ma anche nella natura. Una 
          pianta cresce liberamente? Si, ma se c'è un'altra pianta vicina, 
          la relazione con questa limita la sua libertà: una pianta dà 
          ombra all'altra, c'è una lotta, una competizione, si sviluppano 
          forme particolari di difesa. . Quanto alla lotta fra i diversi interessi, 
          nella società degli uomini, essa non riguarda solo gli aspetti 
          economici, ma le stesse forze costitutive della vita; la lotta è 
          la legge della vita su tutti piani. Mentre la natura ne assicura una 
          regolazione automatica, che si realizza nell'evoluzione, l'uomo crea 
          una regolamentazione conscia e articolata nelle leggi, che è 
          fondamentale per il vivere civile. Solo che essa deve essere sempre 
          al servizio della vita perché, altrimenti, rischierebbe, come 
          accade, di sovrapporsi ad essa e di soffocarla.
        Le leggi e la giustizia 
        Alberto D.
          Per questo volevo enfatizzare prima il concetto di giustizia, oggi abbiamo 
          troppe leggi. Invece di darci più libertà, ci tolgono 
          libertà in quanto sono strumentali per la libertà di qualcun 
          altro. Nel mondo non c'è giustizia. Eppure, guarda quante leggi 
          ci sono.....
        Vittorio M.
          Anche solo nel mio campo, l'architettura, non si è più 
          liberi di progettare perché è indescrivibile il labirinto 
          di regolamenti, che dovrebbero avere come risultato di darci una città 
          più giusta, più bella e meglio funzionante, mentre avviene 
          il contrario. Se pensi alle città antiche, in cui non esistevano 
          assolutamente queste montagne di regolamenti, le città crescevano 
          in modo organico, giusto, bello, oltre ad essere portatrici dei valori 
          più alti di un popolo, mentre oggi sono assolutamente desolanti. 
          Quindi, quando la legge diventa una struttura a sé, non solo 
          non aiuta lo sviluppo della vita ma lo contrasta, lo mortifica. E' proprio 
          un punto esatto di equilibrio che occorre trovare: un momento prima 
          c'era l'anarchia, un momento dopo l'irrigidimento provocato dalla legge. 
          Per questo io diffidavo di quello che diceva Carla che, già in 
          un altro incontro, evocava la "Legge", si inchinava alla legge. 
          Ma la legge non è un Dio, è o deve essere solo l'equivalente 
          della libertà, della vita, del vero come, per fare un esempio, 
          potrebbe esserlo la carta stampata rispetto all'oro di cui costituisce 
          solo una ricevuta convenzionale. E' inutile tracciare i solchi se le 
          piante non crescono in modo vigoroso, se non ricevono la luce del sole, 
          il nutrimento della terra. 
          Se si guarda alla storia del pensiero, si è sempre ipotizzata 
          la legge proprio come qualcosa di astratto: una volta come la legge 
          divina; un'altra volta come un' imperativo morale - come diceva Kant 
          - che discrimina fra bene e male; un'altra volta una grazia che ricevi, 
          o un ordine dettato da un Dio assoluto. E' sempre stato come l'attribuire 
          a un'autorità esterna, che sia il Padreterno, il giudice, il 
          governante, o la ragione eletta a Dea, il diritto di ordinare la nostra 
          vita. Questo diritto dovrebbe invece nascere dalla nostra vita interiore, 
          dalla nostra libertà, da una vera conoscenza. Noi ci riduciamo 
          invece ad avere margini ristrettissimi di libertà nella misura 
          in cui le leggi ce li hanno lasciati, finché non vengono poi 
          accuratamente eliminati uno dopo l'altro. 
          E' un processo che porta necessariamente alla paralisi dell'organismo 
          sociale e che genera anche, oso dire, il bisogno di una nuova barbarie 
          come esperienza rigeneratrice. Che poi la nuova civiltà che viene 
          così preparata costituisca un progresso, possiamo sperarlo sulla 
          base dell'esperienza storica che ci ha indubbiamente portato a un progresso 
          rispetto alla civiltà antica, almeno sotto il profilo della democrazia 
          e di tutto lo sviluppo civile che vi è associato. Il progredire 
          dell'umanità che si opera faticosamente con la successione dei 
          cicli storici non può comunque che essere molto limitato rispetto 
          alla prospettiva di una civiltà e di una legge illuminata in 
          un senso spirituale, come essa può nascere nel nostro animo e 
          nelle parole degli uomini più saggi. Essa non sarà comunque 
          possibile né come elargizione divina né come conquista 
          esclusivamente razionale, ma solo se noi avremo acquistato parallelamente, 
          simmetricamente, un'analoga forza, un'analoga libertà, che si 
          chiama appunto "essenza". La libertà è l'essenza. 
        
        Gerardo P.
          Volevo dire che non sono molto d'accordo con quello che ha detto Alberto. 
          La giustizia è una conseguenza naturale delle leggi, se esse 
          sono equilibrate e sagge. Le leggi sono fatte per stabilire una convivenza., 
          una socialità. Quando l'individuo viveva nella foresta, faceva 
          quello che voleva, mentre adesso, con delle nazioni di cinquanta o sessanta 
          milioni di abitanti, sarebbe inconcepibile che esse non si diano delle 
          regole di convivenza, per le quali ognuno è libero di avere e 
          di manifestare i propri diritti, i propri interessi ma nel rispetto 
          dei diritti degli altri: questa è la legge
        Vittorio M
          ...ma è anche giustizia
        Gerardo P.
          Giustizia è un termine vago...la giustizia fa degli errori, le 
          leggi non dovrebbero
        Vittorio M.
          L'applicazione delle leggi può compiere degli errori, però 
          il concetto di dare ad ognuno il suo, di rispettare gli altri è 
          la giustizia, no? Non vorrei avventurarmi in un campo che non è 
          il mio, ma la giustizia è un concetto molto vicino a quello di 
          legge, caspita, a meno che non sia una legge oppressiva, una legge ingiusta, 
          che privilegia i malvagi e bastona i buoni, ma una legge invece che 
          si applica a stabilire dei giusti rapporti coincide con la giustizia, 
          o no?
        Gerardo P.
          Non sempre. La giustizia è un concetto più astratto di 
          quello che è un ordinamento per la convivenza, tale da poter 
          garantire ad ognuno i propri diritti senza ledere quelli degli altri. 
          La giustizia è un concetto più relativo della legge; che 
          è un fatto oggettivo. La giustizia, la sentenza per me può 
          essere giusta, per chi ha un altro interesse non lo è . Però 
          la legge è al di sopra degli interessi individuali
        Vittorio M.
          Stiamo parlando di parole o c'è qualche differenza sostanziale?
          Forse io parlo della giustizia in sé mentre tu intendi la pratica 
          giudiziaria, la sentenza?
        Alberto D.
          E' importante mettersi d'accordo sui termini, come io suggerirei anche 
          per la libertà e la legge. 
        Vittorio M.
          Il linguaggio può portare a una chiarezza come a una confusione, 
          e non deve comunque bloccarci in definizioni a priori. Forse è 
          meglio procedere con una certa approssimazione, come fa un artista quando, 
          cominciando un'opera, lo fa con un abbozzo, non può stabilire 
          prima cosa bisogna fare nel dettaglio e curare un tratto perfetto fin 
          dall'inizio. 
          Adesso ci scontriamo con questa difficoltà, se la legge è 
          sinonimo di giustizia. Vogliamo tentare un'altra strada? Immaginiamo 
          che giustizia, non nel senso corrente del termine - cioè di cosa 
          fanno i giudici, delle loro sentenze, o al contrario del farsi giustizia 
          da sé ecc. - ma in un senso più alto, sia proprio il rapporto 
          equilibrato fra la libertà e la legge, con cui si definisce ciò 
          che è giusto. Se invece si parla di giustizia come dell'applicazione 
          delle leggi, è una cosa alquanto distante da questo concetto, 
          cioè è un prevalere delle leggi, spesso tutt'altro che 
          illuminate, mentre invece sarebbe più giusto di vedere la giustizia 
          come un'armonia fra la legge e la libertà, fra le regole e il 
          contenuto umano a cui tutto si deve sempre riferire.
        Silvia G.
          Ma allora, scusa, al posto di libertà e legge io avrei scritto 
          unione di libertà e legge = giustizia: 
        Vittorio M.
          Proprio così
        Gerardo P.
          Vediamo di comprenderlo insieme. Giustizia e legge sono due termini 
          non omogenei, perché la legge è l'emanazione di un potere 
          che decide quali, in un determinato contesto sociale, sono le regole 
          più idonee. La giustizia è invece un risultato che può 
          esserci o non esserci. 
        Alberto D.
          Che non siano omogenei sono d'accordo
        Una legge di natura
        Pat Sophie G.
          Qui si stanno dando delle definizioni non valide. Pensiamo invece alla 
          legge in un altro senso: legge di natura, legge che è in te, 
          e non solo legge sociale, organizzativa. Sono legge le une e le altre. 
          Ma ci sarà giustizia solo se riusciremo a integrarle e a comporle 
          in un :equilibrio. 
        Alberto D.
          Per legge di natura cosa intendi? Non stai andando sul trascendente? 
          Quando ho fatto il primo intervento, ricordate, ho detto: che bel tema 
          quello della libertà e della legge! Possiamo parlarne da un punto 
          di vista trascendente o da uno immanente. Parlando solo dal punto di 
          vista immanente ho detto che la legge deve garantire giustizia perché, 
          se non c'è giustizia, non c'è libertà, questa è 
          la sintesi del mio discorso. Se invece entro nel trascendente e metto 
          di mezzo anche la legge della natura, allora faccio tutto un altro ragionamento.
          
          Vittorio M.
          La nostra linea non è divisa fra due categorie. E' un tutt'uno, 
          dal basso all'alto e dall'alto al basso. Si dice infatti "come 
          in basso, così è in alto". Quindi cerchiamo pure 
          di toccare anche il trascendente, ma senza separarlo da noi. Io dico 
          che la libertà è possibile a tutti i livelli, e così 
          mi pare che sia anche la giustizia. Consideriamola come un momento di 
          equilibrio, che si può realizzare a un certo livello, in cui 
          si definisce il giusto in rapporto a un determinato contesto, mentre 
          non lo sarà in un contesto diverso. Di livello in livello potremo 
          giungere anche a intuire che esista una giustizia divina, oppure, restando 
          in questo mondo, ricercheremo almeno un equilibrio fra una legge di 
          natura e la legge umana. Tutto è comunque unito.
          La legge di natura può essere molto dura, perché è 
          dura la lotta per la sopravvivenza, ma forse tu intendevi il sentimento 
          naturale che è in noi riguardo a ciò che è giusto?
        Pat Sophie G.
          Intendo lo svolgersi della natura
        Gerardo P.
          Cosa vuol dire lo svolgersi della natura?
        Pat Sophie G.
          Vuol dire che se il fiore nasce, non è perché tu l'hai 
          spinto, ma perché........
        Vittorio M.
          Sai quante volte ripeto che il senso più vero del nostro essere 
          è proprio quello di fiorire e aprirsi come un fiore, ma questo 
          richiede un'interpretazione spirituale della legge di natura, che ha 
          invece anche degli aspetti su tutt'altro piano.
          Prendiamo però dalla natura un altro principio, quello della 
          libertà, e diciamo che esso ne è proprio l'essenza, un'essenza 
          comune sia alla natura che a noi stessi. Se si vuol classificarlo come 
          immanente o trascendente, fate voi, io non vedo differenze.
        Silvia G.
          Ci possono essere diverse leggi: la legge di natura, la legge della 
          propria coscienza...
        Gerardo P.
          Molte leggi hanno trascritto, codificato ciò che era già 
          nella natura dell'uomo. Anche la legge religiosa "non desiderare 
          la donna d'altri" nasce da qualcosa che è nell'istinto dell'uomo..
        Vittorio M.
          Su tutto questo siamo d'accordo, ma non distinguiamo troppo per favore 
          fra legge naturale, legge religiosa, legge morale, penale, civile.....quello 
          che dice Gerardo è sensato: c'è un impulso naturale in 
          noi stessi, oltre ai dettami richiesti dalla convivenza, che viene codificato, 
          dando luogo a delle giuste regole. La legge che così nasce continua 
          però in un processo di suddivisione e elaborazione di concetti, 
          sotto la spinta della crescente complessità della società, 
          o anche di deviazioni e interessi particolari. Questo processo è 
          proprio dello sviluppo della ragione. Applicato alla giustizia, finisce 
          col creare concetti e leggi staccati dai bisogni primari che tu vedevi 
          rispecchiati nella legge, fino a creare una crescente confusione. Riportando 
          come sempre le cose a una prospettiva più vasta, si vede come 
          questa confusione porta a un indebolimento, quasi una paralisi dell'organismo 
          sociale, a cui segue il bisogno di ritrovare il vero fondamento che 
          si era via via perduto nell'evoluzione dell'uomo. . Il discorso è 
          sempre questo.
          Sono argomenti molto vasti, ma noi non dobbiamo perdere il nostro filo 
          conduttore. Mi ricordavo proprio oggi le parole lapidarie che Plotino 
          pronunciò in punto di morte: "Fuggite il molteplice!" 
          Certo è che, più il molteplice si moltiplica, si ramifica, 
          e più si perde di vista l'unità: quello che è il 
          punto di partenza, in modo se volete nativo, semplice, germinante, ed 
          è anche il punto di arrivo, in modo illuminato, spirituale.
        Illuminazione e utopia
        Silvia G.
          Il tuo punto di vista è sempre quello del modo illuminato, può 
          essere un po' utopico ma è questa la direzione in cui dobbiamo 
          andare
        Alberto D.
          Utopico se lo vedo come "illuminato", mentre è meno 
          utopico come attributo di conoscenza...
        Vittorio M.
          Si, può essere utopico a livello sociale, se non vogliamo farci 
          troppe illusioni sulla possibilità di cambiare l'umanità, 
          ma è invece vero a livello individuale, in cui un uomo può 
          essere illuminato, realizzato...
        Alberto D.
          Se per conoscenza intendiamo illuminazione, non abbiamo più bisogno 
          di una legge che ci illumini. Nel momento in cui siamo tutti illuminati, 
          arriviamo tutti alla conoscenza....
        Vittorio M.
          Non parlo di legge illuminata nel senso di immaginare un consesso di 
          giuristi che, fra cinquantamila anni, ne stabilirà le norme, 
          ma penso a un'evoluzione del concetto di giustizia che a poco a poco 
          si farà strada, se gli uomini saranno illuminati o almeno un 
          po' più saggi. Può certo sembrare un'utopia se guardiamo 
          al mondo d'oggi, in cui siamo governati da persone spesso disoneste 
          o ignoranti, o ambedue le cose insieme, ma si può dire che questo 
          accada solo oggi?
          La storia non è forse sempre stata una storia di sopraffazioni? 
          I grandi re, i grandi conquistatori, gli uomini di potere in ogni tempo 
          non erano spesso che dei sopraffatori. Non ci sarà mai nell'umanità, 
          un giorno, un governo illuminato, che sia ispirato a sapienza, e agisca 
          con una vera visione del bene? 
        Pat Sophie G.
          Ci sarà solo quando accadrà quello che hai detto prima, 
          quando cioè ogni uomo non sarà diviso in sé ma 
          unito, e non ci sarà quindi bisogno di cercare qualche criminale 
          per governare la sua divisione. Io smetterei però di parlare 
          di utopia: mentre parliamo tanto di illuminazione, perché continuiamo 
          a dire che è una utopia?
        Vittorio M.
          Ma certo. Per chi guarda solo la realtà, un'idea può sembrare 
          un'utopia, una cosa fuori dal mondo, ma essa è invece la spinta 
          che fa crescere il mondo. E' proprio come la la forza che porta lo stelo 
          a produrre il fiore - un principio germinante - è così 
          semplice. La vera utopia sarebbe e purtroppo è il nostro modo 
          consueto di ragionare, di fare, di dedicarci a delle astrazioni invece 
          che alla vita.
        Gerardo P.
          Io parlo di utopia nel senso che è purtroppo una pia illusione 
          che tutti gli uomini possano raggiungere questa illuminazione, contemporaneamente.
        Vittorio M.
          Io, guarda, quando mi figuro l'illuminazione, immagino di essere un 
          fiorellino giallo che si apre con tutti i suoi petali, mi viene in mente 
          così.... E dove mi vedo? In un prato strapieno di altri fiorellini 
          gialli. E' questo che può e deve succedere, non è un'utopia, 
          è quanto accade quando viene il momento della fioritura. Già 
          prima il prato era ed è pieno di semini dormienti, come lo siamo 
          noi, e poi fioriscono ...
        Pat Sophie G.
          se tu hai il pensiero, se pensi all'utopia, tu hai concepito; se pensi 
          all'illuminazione, l'illuminazione c'è perché il pensiero 
          esiste al di là di te, tu l'hai solo tirato fuori da una incredibile 
          possibilità, come nella fisica quantistica, l'hai raccolto e 
          chiamato illuminazione, quindi non negarlo: c'è, c'è la 
          possibilità ...
        Gerardo P.
          Un conto è che ci sia come possibilità e un altro che 
          questa venga realizzata
        Vittorio M.
          Ti ricordi che abbiamo già fatto una discussione a proposito 
          di un mio progetto rivoluzionario per Milano? Tu dicevi sempre: si, 
          è bello, ma è un'utopia perché mai e mai più 
          si potrà realizzare demolendo mezza città. Hai ragione 
          su un piano pratico, contingente, però ciò non toglie 
          che il pensiero che questo si possa fare, che si debba fare se uno ha 
          un orizzonte abbastanza grande per andare al di là della contingenza, 
          è già una realtà che, un po' alla volta, potrà 
          modificare la realtà esterna. Quella di oggi ti dà ragione, 
          ma c'è una realtà più grande nella totalità 
          dell'esperienza umana su eoni di tempo, rispetto ai quali la nostra 
          vita e le nostre esperienze sono ben piccola cosa. Quindi l'utopia - 
          chiamala piuttosto come progetto non immediatamente realizzabile - può 
          essere una vera e feconda realtà per il fatto stesso di formularla. 
          Ci sono invece delle astrazioni che non saranno mai realizzate e che, 
          anche quando lo fossero, rimarrebbero morte, anzi neppure nate. Ben 
          altra cosa è l'idea di un equilibrio profondo che, dal cuore 
          di ogni persona, si allarghi, e oggi si sta allargando sotto i nostri 
          occhi - non per nulla siamo qui in quindici a parlarne - coinvolgendo 
          una quantità sempre maggiore di persone, proprio come tanti "fiorellini 
          gialli". Essi finiranno col determinare la la tendenza 
          di una nuova civiltà. 
        Gerardo P.
          dimentichiamo la parola utopia, è come se non l'avessi pronunciata. 
          Benedette le nuove idee, le iniziative, i progetti come il tuo, ma purtroppo 
          la dura realtà ci dice che millenni di storia dell'umanità 
          e chissà quanti altri in futuro difficilmente riusciranno a fare 
          dell'umanità...
        Vittorio M.
          Fra centomila anni ci ritroveremo qui e vedremo se saranno stati fatti 
          dei progressi. Guarda che c'è già una bella differenza 
          fra come noi parliamo qui e come si poteva parlarne trent'anni fa. Delle 
          idee che una volta erano isolate, o riservate a pochi iniziati, oggi 
          sono largamente condivise.
        Tendenze e negazioni 
        Federico F.
          E' la biologia delle tendenze. Una legge crea un contesto che porta 
          poi a modificare la legge stessa. Il fatto che tu parli di un'idea non 
          lascia intatto il quadro ma lo modifica.
        Vittorio M.
          Esattamente, le idee sono forze. Non è che noi osserviamo una 
          realtà dall'esterno, e siamo liberi di pensarne quello che vogliamo 
          senza alcuna conseguenza. Il nostro pensiero entra in relazione con 
          la realtà e quindi la modifica.
        Ettore L.
          Posso consigliare la lettura di un tomo degli anni sessanta sulla tecnologia 
          sociale o società tecnologica?. Direi che farebbe un po' piazza 
          pulita di tante cose che sono state dette stasera. Cosa serve ragionare 
          su tematiche così complesse su cui sono stati spesi fiumi di 
          energie, quando Aberman già vent'anni fa ha detto che sono sbagliate? 
          Quello di cui parla Vittorio alludendo al gran casino della nostra politica 
          è ciò che Newman ha definito autoreferenzialità 
          sistemica. Il problema della formazione delle leggi è stato già 
          discusso vent'anni fa e siamo al punto in cui siamo. Certo, questi autori 
          non parlavano di spiritualità o di fede, però quanto meno 
          hanno cercato per anni di capire quale può essere l'agire partecipativo; 
          sembrava una buona cosa, ma purtroppo Aberman, l'ha smentito dicendo, 
          mi sembra: "ragazzi non funziona, mi spiace". 
        Vittorio M.
          A parte questi studiosi che non conosco, è da migliaia di anni 
          che gli uomini si affannano su questo problema, che si è andato 
          certo aggravando.
        Gerardo P.
          Non siamo qui per cambiare i massimi sistemi ma per scambiarci dei punti 
          di vista
        Silvia G.
          Altrimenti, a questo punto, sarebbe inutile di star qui a parlarne, 
          limitiamoci a fare la nostra vita; si nasce si vive e si muore senza 
          porci troppi problemi...
        Ettore L.
          Vi ricordo che ci sono stati 55 milioni morti nell'ultima guerra mondiale 
          e che le idee dello spiritualismo hanno portato al nazismo
        Vittorio M.
          Qui sei andato fuori.... In questi incontri, noi cerchiamo di dire quello 
          che, in filo diretto col nostro cuore e la nostra mente, ci sembra giusto, 
          anche a costo di ripetere o ignorare ciò che altri possono aver 
          detto, poiché importante è sentire, vivere un'idea come 
          il proprio sangue, e non solo citarla. Non possiamo d'altra parte discutere 
          delle ipotesi come quella che lo spiritualismo avrebbe prodotto il nazismo, 
          che mi sembra una specie di cortocircuito intellettuale. 
          Data comunque l'ora, vogliamo comunque concludere così la serata?
          .
          Sulle credenze
        Alberto D.
          Posso fare invece un ultimo intervento? A questo punto, parlerei di 
          un piano trascendente
          
          Vittorio M.
          Ma si, ascoltiamo Alberto e poi andiamo a cena
        Alberto D.
          Mi rifaccio al tema a cui Federico aveva prima accennato: le credenze. 
          Da un punto di vista trascendente sulla legge, io la intendo in questo 
          modo: libertà intesa come possibilità di esprimere il 
          proprio pensiero ma soprattutto di pensare liberamente. Dall'altra parte, 
          in contrapposizione, c'è una legge, non umana ma divina, quella 
          dei dogmi che ci vengono imposti. Con essi si creano delle credenze 
          che, in qualche modo, offuscano, condizionano quello che è il 
          libero pensare. Faccio un'ultima considerazione che lega le due cose: 
          libertà e libero arbitrio - mi sembra che tu ci avevi accennato 
          - che è un tema che meriterebbe un ulteriore esame. Penso a Sant' 
          Erasmo da Rotterdam che scrive il "De libero arbitrio" mentre, 
          dall'altra parte abbiamo in contrapposizione Lutero che scrive "De 
          servo arbitrio" Quindi il punto è: noi esercitiamo il nostro 
          libero arbitrio o no? Io penso che il libero arbitrio non esista.
        Vittorio M.
          Voi che avete fame e siete già in piedi per andarvene, aspettate 
          ancora un momento per favore. Tu, Alberto, stai chiudendo un dibattito 
          aprendone invece un altro, che spalanca una vera voragine. Ti dico però 
          la verità: parlare di dogmi è del tutto al di fuori del 
          nostro modo di pensare e anche il " libero arbitrio" che menzioni 
          non fa parte del nostro vocabolario, anche se il problema che pone è 
          molto profondo. . 
          I teologi cristiani ne hanno dibattuto per secoli ma, piuttosto che 
          citarli, vorrei cercare di vedere la cosa in sé. La libertà, 
          come dicevo prima, è qualcosa che va conquistata, non è 
          solo un affermare che noi siamo liberi, seppure entro i limiti di un 
          universale disegno di Dio. Noi siamo liberi su tanti e progressivi piani, 
          nella misura delle nostre possibilità, avvicinandoci sempre di 
          più all'infinito livello che chiamiamo Dio, in cui solo ci sarà 
          vera e assoluta libertà. 
          Se vuoi parlare di trascendenza, essa è certo un livello ben 
          più alto di quello dell'esperienza umana, ma non la definirei 
          come qualcosa di così separato rispetto all'immanenza, o contrapposto 
          ad essa, e tanto meno le darei una connotazione confessionale. Come 
          potremmo avvicinarci al livello della vera libertà, chiudendoci 
          entro le barriere create da una ragione astratta, invece di cercare 
          la libertà in noi stessi, come la nostra propria essenza? Che 
          poi questa sia anche l'essenza del divino, è proprio il senso 
          che guida queste riflessioni. Confrontato con idee dogmatiche, non è 
          certo sulla stessa lunghezza d'onda
        A questo punto non vorrei arrogarmi il diritto di dire l'ultima parola 
          ma è proprio così, e la parola è: "andiamo 
          a cena".