Incontro n° 6 del 12 maggio 2010
Nel dibattito sono intervenuti anche: Alberto d'Adda, Carla Sanguinetti, Federico Ferraris, Gerardo Palmieri, Silvia Guerriero, Pat Sophie Graja, Ettore Lariani.
Vittorio Mazzucconi
Continuiamo nella difficile impresa di questo Seminario, il cui tema
"Sentimento e Ragione" investe tanti piani. Occorre ricordare
che il significato che attribuiamo alla parola "sentimento"
è diverso e più ampio di quello abituale. Volendolo definire
per esclusione, diciamo che è tutto quello che non è razionale,
per esempio la natura - associarla al sentimento può sembrare
un concetto un po' strano - e poi l'inconscio, l'ignoranza stessa, l'oscurità,
la morte, la femminilità, la maternità ecc. Se chiamiamo
tutto questo "sentimento", la ragione appare un'altra cosa:
è la mente, la geometria, la luce.
Un' altro elemento che è alla base della nostra attribuzione
di significati è l'archetipo dell'albero di cui tante volte abbiamo
parlato. Abbiamo paragonato la sua ramatura alla ragione in cui il tronco
si divide, mentre abbiamo invece associato la sua radice al sentimento.
Fra i vari piani in cui abbiamo studiato il rapporto fra il sentimento
e la ragione - esso è stato studiato anche nell'arte e nella
storia - abbiamo parlato molto in uno degli ultimi incontri del femminile
e del maschile, stabilendo un'equivalenza: femminile = sentimento, maschile
= ragione. Si tratta evidentemente di un'equiparazione schematica, di
un modo per mettere dei paletti per poter cominciare a pensare, ma diciamo
che non è qualcosa di molto lontano dalla verità, anche
se non bisogna fermarsi a dei casi particolari. Ci sono infatti donne
estremamente razionali e uomini molto portati al sentimento; anzi, gli
uomini sono in generale più sentimentali delle donne.
Dopo il maschile e il femminile abbiamo poi parlato della nascita del
figlio. Il figlio, come è naturale, è il frutto del rapporto
di coppia, ma l'abbiamo visto come figlio in tanti sensi, dicendo per
esempio che il figlio dell'albero nasce dal suo frutto, il figlio nell'arte
nasce dall'unione del sentimento e della ragione in un'opera d'arte
vivente, e che il figlio della stessa unione nella vita dell'anima è
la conoscenza. Tutti i processi umani consistono nell'unione di due
poli opposti, chiamiamoli sentimento e ragione, ma potete chiamarli
anche femminile e maschile, negativo e positivo, Yin e Yang, ed è
da questa unione che nasce la vita, il figlio.
La scala degli esseri è stata poi vista come un percorso universale,
che comincia a livello biologico - dall'unione dei pollini nasce un
fiore, un frutto - e, di gradino in gradino, ci porta infine a un piano
altissimo, dove l'anima umana si congiunge allo Spirito, a Dio. Nasce
allora quello che si può chiamare il "figlio di Dio".
Dal livello quindi terreno, biologico, al livello metafisico: questo
è il cammino che abbiamo seguito negli incontri precedenti.
Questa volta ci avventuriamo nel rapporto fra libertà e legge.
Mi tremano un po' le gambe perché la mia preparazione è
quella di un artista, di un architetto o, più in generale, di
un uomo che ama meditare, ma non di un filosofo di professione e tanto
meno di un giurista. Se c'è un campo in cui i filosofi si sono
accapigliati per millenni, è proprio quello della definizione
della libertà e della legge su cui ci accingiamo a discutere
in modo molto incauto. Portandolo avanti insieme, troveremo però
forse qualcosa di vicino a quel senso comune e nativo su cui si basano
tutto sommato anche le più grandi teorie, se beninteso non se
ne allontanano, come molto spesso accade.
Partirei da una metafora, che è poi la stessa, mi pare, con
cui ho terminato l'ultimo incontro, cioè la metafora del solco
e delle pianticelle che crescono in esso. Ripeto che non affronto il
problema della liberà e della legge da un punto di vista teoretico,
filosofico, ma vi invito solo a considerare questa immagine: si tratta
del solco, che è evidentemente un'opera della ragione, mentre
fra i solchi agisce la natura, crescono le piante che sono state selezionate
per la loro utilità.
Questa mi sembra una giusta chiave per comprendere il rapporto di cui
parliamo. Con essa, associamo queste piante al sentimento, così
come abbiamo associato il solco alla ragione. Qui si può subito
intuire un'ulteriore associazione, fra il sentimento-natura e la libertà,
come pure fra la ragione-solco e la legge.
Il discorso sulla libertà è stato invece sempre posto
in modo teorico: come è possibile che l'uomo sia libero quando
in realtà è dominato dal fato, come pensavano gli antichi,
o comunque da una volontà divina e imperscrutabile, o anche,
in modo più modesto, dalle circostanze della vita, e dalla costituzione
del nostro corpo? Se guardiamo bene nessun nostro atto è libero:
sono tutti condizionati da qualche cosa e dalla nostra mente stessa,
che guarda se stessa;. il soggetto guarda l'oggetto...
Si capisce che non si è mai arrivati ad una verità; non
ci si potrà mai arrivare, è evidente, però già
il fatto di associare la libertà non alla ragione e alla sua
divisione ma al sentimento, alla natura, è qualcosa che può
essere interessante. Se guardiamo infatti alla natura, assumiamo che
essa sia sinonimo di libertà - mi direte che ci sono delle costrizioni
inerenti alla lotta fra le specie, all'evoluzione, alla costituzione
fisica, e che è solamente attraverso le costrizioni che gli esseri
prendono forma - però c'è nella natura un principio di
vitalità sorgiva, più forte di ogni condizionamento. Ogni
pianta fa questo bellissimo lavoro di collegare la terra al cielo, che
a mio avviso è l'essenza della vita e anche l'essenza della verità.
Possiamo chiamare questa essenza "libertà", pur sapendo
che essa è evidentemente condizionata dalla libertà di
tutte le altre creature che, una con l'altra, formano il mondo, formano
la configurazione del mondo. Se si pensa invece alla ragione, si vede
che essa tenta dapprima di interpretare ma subito dopo di sovrapporre
a questa naturale libertà una proiezione di tipo astratto, razionale.
Questa proiezione fino a un certo punto è molto utile. come accade
appunto del solco che permette di organizzare una piantagione perché,
altrimenti, saremmo in una selva in cui crescerebbe ogni tipo di pianta,
dandosi ombra una all'altra.
Un altro e bellissimo passo è quando, dall'idea di solco, si
passa all'idea di città. In antico, la città veniva proprio
fondata tracciando dei solchi. Il sacerdote determinava con essi gli
assi principali e il perimetro delle mura, e quindi l'idea del fondatore
di città e quella dell'agricoltore erano in fondo la stessa cosa.
Anche nelle città di oggi si tracciano delle linee simili agli
antichi solchi, che poi diventano le strade, e soprattutto delle regole,
delle leggi, entro le quali si può svolgere la vita della gente,
che può essere assimilabile a quella delle piante. Ognuno esplica
le sue potenzialità, ma può farlo solo nell'ambito fissato
dalla ragione. Fin qui la ragione ha una funzione fondamentale. Quando
poi la ragione e il sentimenti si uniscono, io trovo che questo sia
proprio il momento aureo dell'unione, che è poi lo stesso che
tante volte abbiamo visto in altre forme, per esempio nell'unione dell'amore
fra un uomo e una donna, che è ugualmente un momento aureo, felice;
nell'unione nel tronco dell'albero fra ciò che viene dalla terra
e ciò che viene dal cielo, la luce; nei momenti aurei della civiltà;
nell'età adulta. In tantissime forme quello che viene dal basso,
che chiamiamo sentimento, e quello che viene dall'alto e che chiamiamo
ragione, si equilibrano e danno luogo al meglio dell'esistenza umana,
sia sul piano personale che sul piano sociale. Sul piano personale perché
questa integrazione di sentimento e ragione è proprio l'abc del
conseguimento di una personalità equilibrata, che equivale poi
all'integrazione fra maschile e femminile. Quanto a quest'ultima, la
vediamo non solo nel rapporto di coppia ma in noi: questa integrazione
è proprio fondamentale in noi stessi.
Sul piano sociale, se parliamo della città, è soprattutto
la polis, la città classica, che ci mostra il valore di questo
tracciamento dei solchi, come di un atto fondamentale di civiltà,
una civiltà che aveva origini recenti nell'organizzazione dell'agricoltura
e delle prime forme di vita associata, per giungere poi al momento aureo,
in cui la legge è vicina, come si direbbe oggi, al cittadino;
è vicina alla parte viva, naturale di noi, alla nostra
vitalità, ai nostri sentimenti. Se si va oltre, la ragione dà
luogo a una divisione. L'abbiamo visto tante volte: il tronco dell'albero
si biforca e poi si divide ancora fino a un'estrema ramificazione, lo
stesso accade per la ragione e lo stesso accade per le leggi.
Questo è evidentissimo. Noi viviamo oggi in uno stato di confusione,
di estrema ramificazione, che poi io metto in rapporto con la ramificazione
operata dal linguaggio. Un pensiero vero, semplice, si esprime in una
parola, uno sguardo, una stretta di mano. Se a questo si aggiunge il
ragionamento, articolato nel linguaggio, ne nascono certo idee più
approfondite ma anche mille sottigliezze, scappatoie, complicazioni,
in fondo alle quali non si capisce più niente, si entra nel regno
della confusione. Confusione vuol dire anche debilitazione, come se
la linfa salita dal tronco dell'albero, che viene distribuita in tutti
i rami e rametti, in tutte le foglie, non potesse a un certo momento
andare oltre: non ci arriva più e l'albero è condannato
a deperire. Non c'è più un rapporto utile fra la potenza
del sentimento, della linfa e la capacità fisica di distribuirla
e di metterla in rapporto con l'altra potenza, quella della luce. Quindi,
al momento della ragione e del sentimento equilibrati, succede quello
della ragione che opera una divisione, che poi si accentua nel linguaggio.
Il linguaggio è sinonimo di torre di Babele, porta alla confusione,
e la confusione porta all'impotenza, a un declino della civiltà.
Ciò può essere riscontrato in ogni campo, dall'arte al
rapporto di coppia, alla storia. Abbiamo impiegato diversi incontri
per vedere un po' più da vicino queste situazioni, che preludono
a una nuova barbarie, cioè al ritorno in uno stato di natura.
Quando il sentimento si va corrompendo, non c'è più certezza
della legge, non c'è più chiarezza, diventa necessario
il ritorno a uno stato di barbarie, a cui non attribuisco però
un senso negativo, ma piuttosto quello di una condizione di base, di
una oscurità - come lo è la notte prima che uno si svegli
- e da cui, analogamente, si può sperare che prenda inizio un
nuovo ciclo di civiltà.
Moltissime volte abbiamo parlato della ciclicità di tutti questi
fenomeni, non solo degli aspetti che vediamo adesso ma di ogni altro:
abbiamo menzionato il femminile e il maschile, ma tutto, il giorno e
la notte, le stagioni, la vita umana, la storia ecc. risponde allo stesso
principio. E' stato poi detto che questa ciclicità non è
fine a se stessa ma si enuclea come una spirale, conosce cioè
un'evoluzione, non è una ripetizione meccanica. Ma, soprattutto,
io ho sempre portato avanti la speranza, o la fede, l'intuizione, la
consolazione - possiamo usare diverse parole per dirlo - che sia possibile
uscire dal ciclo. Questo lo si vede non tanto a livello sociale, ma
a livello individuale, quello raggiunto da personalità straordinarie
che ci hanno illuminato, mostrandoci che, facendo un passo oltre, si
può aprire la possibilità di uscire da questo ciclo. Mentre
ogni ciclo comincia con l'oscurità e finisce con l'oscurità,
comincia con la morte da cui emerge una nascita e finisce con la morte
- è tutto così, in ogni cosa - se si va invece oltre,
se si passa a un'altra scala....E' quella dell'intuizione, di un'ispirazione
che conduce alla vera conoscenza dell'anima, che conduce all'illuminazione,
alla realizzazione interiore. Si traccia allora una strada che porta
su un altro piano, chiamiamolo piano metafisico, piano di una speranza,
che si apre dapprima a degli uomini eccezionali ma che lo fa in seguito
per tutta l'umanità, via via che l'esempio dei primi iniziatori,
dei primi profeti è seguito da molti altri. C'è quindi
la speranza che un sempre maggior numero di persone giunga appunto a
un livello superiore a quello di una ciclicità meccanica, per
arrivare invece a un'apertura spirituale.
Se, alla luce di queste considerazioni, ci riportiamo al problema della
libertà e della legge, come possiamo vederlo? Invece di guardare
alle leggi, come sono adesso - dei modi di codificare i rapporti fra
interessi contrastanti, di regolarli, di mediare stabilendo delle regole
- e sapendo quanto esse possono essere deviate e quanti sono i danni
che creano, oltre ai benefici innegabili, non possiamo fare um passo
oltre? Non si può sognare una legge illuminata, che rifletta
una sapienza, non solo una cultura giuridica ma una vera e spirituale
sapienza? Possiamo sperarla e collocarla in un futuro lontano ma possiamo
soprattutto rintracciarla, fin da adesso e anzi da sempre, nelle parole
e nelle opere di innumerevoli uomini che ci hanno preceduto, grandi
profeti, pensatori, artisti, e in fondo anche nel cuore di ognuno di
noi. Se guardiamo nel nostro animo senza i paraocchi di una struttura
confusionale come quella di un linguaggio diventato fine a se stesso,
abbiamo una fonte interiore di verità, la stessa a cui stiamo
cercando in questo momento di attingere. Quindi la speranza di una legge
illuminata non è nella costituzione di commissioni di esperti,
di giuristi eminenti, ma è proprio nell'intento di ognuno di
noi di ristabilire in sé un giusto rapporto fra sentimento e
ragione, un rapporto che, io penso, è assolutamente deviato nella
maggior parte dei casi. E' anche il rapporto con la propria ombra, che
bisogna portare alla luce. Questo non è un seminario di psicologia,
e non possiamo certo addentrarci in un argomento così complesso
ma si può solo individuarne il filo conduttore. E' essenzialmente
quello di avere pulizia interiore, purezza interiore: è da questa,
penso, che potrà nascere qualche cosa di vero, sia a livello
della limitata cultura dell'attuale condizione dell'umanità,
sia a livelli più alti, a tutti i livelli della storia e della
conoscenza.
C'è una conoscenza, una verità universale che, se vi poniamo
mente, esiste e che non è così distante dalla natura,
anzi è proprio la natura. Mi viene in mente un Sartre - veniva
citato nel nostro ultimo incontro e io personalmente non lo amo - che,
se non sbaglio, diceva che la nostra naturalità è una
prigione che non ci permetterà mai di trovare un contatto con
il trascendente. Ma io, che credo molto all'idea della prigione - infatti
abbiamo dedicato tutto un seminario all'immagine della "caverna"
da cui bisogna uscire - non posso accettare che questa caverna ci impedisca
per sempre di vedere il lume della verità; questo proprio lo
rifiuto. E' proprio dalla caverna che noi dobbiamo uscire per andare
verso la luce, e possiamo farlo con la torcia dell'amore, che è
la nostra luce interiore. L'idea della prigione non esclude quella della
liberazione, al contrario la genera. La condizione umana è necessariamente
una condizione di limitatezza dalla quale, con grandi sforzi, nell'evoluzione
di eoni di tempo, si deve uscire per andare verso un'unità, verso
la luce. E quindi anche il concetto di legge, la legge che comincia
a dirimere i problemi fra le persone che brancolano nella caverna ,
che urtano una contro l'altra, che battono la testa contro le sue pareti
- più o meno la nostra situazione è questa - può
evolvere verso una legge che sa che oltre la caverna c'è la luce
e che quindi, nel modo più opportuno, conduca gli uomini verso
un innalzamento della loro consapevolezza. Il concetto di legge parte
dalla contingenza e può, potrà, potrebbe giungere fino
all'assoluto. E' come il concetto del solco, che parte da un piano pratico
che è quello dell'agricoltura, per poi diventare il principio
direttore della fondazione delle città e, in seguito, quello
più sofisticato con cui i solchi diventano i binari della tecnologia,
i binari del pensiero. Non bisogna però smarrire mai il fatto
che questo principio deve porsi al servizio della vita, della natura,
dell'amore, e che non deve essere una griglia auto-referente, da cui
nasce l'idolatria della tecnologia, del computer, dell'astrazione in
ogni campo. Deve essere sempre legato alla sostanza, che è proprio
quella che chiamerei libertà. Non vedrei mai la libertà
come un fatto razionale e volitivo, dicendo: io ragiono, sono libero
perché decido di fare questo, sono libero perché scelgo.
Non mi verrebbe mai in mente di dire questo, ma molti filosofi lo hanno
invece detto.
Sono libero, ma perché sono libero? Non posso razionalmente
capirlo, perché la libertà è nell'essenza. La mia
essenza è un'essenza spirituale, la mia essenza è la stessa
del divino, ognuno di noi ha un'essenza divina, e quale attributo del
divino è più grande, più vero di quello della libertà?
Non nell'essere costretto da qualcos'altro, o dominato o limitato, ma
è solo per sua propria volontà - anzi non volontà
- direi meglio per sua propria virtù e germinazione, che il Divino
si manifesta. Senza andare fino al divino, abbiamo parlato tante volte
del fiore: è lo stesso concetto. E' forse per un atto di volontà
che lo stelo a un certo momento diventa un fiore, ha deciso di diventare
un fiore? Direi di no - uno stelo non è razionale - ma cosa lo
ha spinto a fiorire, un'urgenza, una necessità? Vedrete che è
invece solo la manifestazione della sua essenza. In fondo, facendo un
volo, immaginando come Dio può aver creato l'universo, possiamo
pensare che egli abbia solo manifestato la sua essenza. Questa essenza
non è divisibile, non si può distinguere in soggetto e
in oggetto per costruirci una teoria, è proprio qualcosa di assolutamente
germinante che possiamo intuire in Dio come in ogni creatura. La ragione
può, dall'esterno, solo osservare, capire nei limiti delle nostre
possibilità, riceverne un messaggio di grazia. Se è di
fronte a una pianta, può solo curarla, annaffiandola, sarchiando
la terra, togliendo i parassiti, ma null'altro. Non è la ragione
che può creare la vita e la sua essenza di libertà, mentre
può essere più vicina alla vita, condividendone l'essenza,
quella parte che io impropriamente chiamo sentimento, in cui coincidono
la nostra propria essenza e quella della vita stessa.
Chi è venuto agli altri incontri sa che vi ho tartassato con
una quindicina di tabelle. Io che parlo molto in difesa del sentimento,
sono stato poi portato a costruire una struttura razionale per tentare
di spiegarlo, ma è stato proprio come un tracciare dei solchi,
per organizzare il pensiero.
In questa tabella si riassumono alcuni aspetti, come l'archetipo dell'albero,
le funzioni dell'anima, la civiltà - tutte cose che avete già
visto - e si aggiunge a destra una nuova colonna, che è quella
della libertà e della legge. In tutte le colonne si vede che
c'è un luogo centrale: è quello del tronco, del cuore,
dell'unione sentimento-ragione; è il luogo della civiltà
giunta alla sua pienezza, e finalmente il luogo dell'unione fra libertà
e legge, di cui abbiamo visto essere espressione la polis.
Non parlo di nuovo dei diversi passaggi mostrati nella tabella ma, per
concentrarci solo sulla libertà, si comincia a vedere uno stato
di anarchia, che può essere chiamato anche età primitiva
o natura, in cui si manifestano le prime forme di vita sociale, in assenza
di leggi. E' da qui che si passa al senso della libertà che,
paradossalmente, nasce quando se ne manifestano le prime limitazioni.
Dalla libertà si passa infatti progressivamente alla legge finché,
nella linea centrale della tabella , si vede una condizione di unione,
di equilibrio fra la libertà e la legge. Rispetto a tale linea,
vediamo che, al di sotto di essa, è indicata la libertà
mentre, al di sopra, è indicata la legge, nello stesso modo in
cui avevamo visto il rapporto fra il sentimento e la ragione, fra l'inizio
della civiltà e il suo declino. C'è una simmetria in questa
costituzione rispetto al centro. Mentre al di sotto di esso vediamo
la legge nascente, ossia la libertà che diventa legge, al di
sopra vediamo la legge che si sviluppa in modo autonomo, finendo col
sovrapporsi alla realtà, con l'opprimere la realtà, che
è proprio quanto accade nel mondo di oggi. La confusione che
questo genera - vediamo anche questo intorno a noi - porta a uno stato
di aridità, come quello di un albero spoglio, o quello della
morte di una civiltà, fino a una nuova barbarie, che è
necessaria per poter ritornare a uno stato di natura, recuperandone
le forze primigenie.
E' invece indicata in corsivo la parte superiore della tabella che mostra
come, al di là di questo ciclo, si può intraprendere un
cammino che porta a un livello superiore. Dalla barbarie nascono i fermenti
di una nuova cultura che poi finiscono col dare vita a una nuova civiltà
e a un nuovo ciclo.
fig. 16
Se è vero che, al di fuori di tale ciclicità, esiste
poi in ognuno di noi la possibilità, individualmente, di attingere
a una realizzazione spirituale, si può pensare che, a livello
di civiltà, si possa ugualmente pervenire a una vera conoscenza,
una conoscenza dell'anima, una profonda sapienza, che possa quindi generare
una legge illuminata? Questa è sempre stata la visione, lo scopo
della filosofia, da Platone in poi. Che poi un filosofo l'abbia vista
come primato della ragione; un altro l'abbia messa in rapporto con un
astratto assoluto; un 'altro l'abbia posta sotto la benedizione di una
grazia divina; o un Marx l'abbia vista come uno svolgimento storico
che si realizza attraverso le lotte politiche e sociali, sembra non
aver cambiato più di tanto il corso dell'evoluzione umana.
Al di là di tante forme di pensiero e di tante vicende, c'è
però un'essenza che viene dal nostro cuore, come il filo della
sapienza di tanti uomini illuminati nel corso della storia, che noi
abbiamo anche in noi stessi, e che ci conduce a una linea evolutiva
in un senso spirituale.
Questo più o meno è il mio discorso, che adesso può
prendere maggior consistenza e valore con il vostro contributo. Volete
dire qualcosa?
Dibattito
Alberto D..
Io non sono mai venuto prima al seminario, ma mi è piaciuta la
metafora della radice e del tronco. Stavo riflettendo sul fatto che
i sentimenti, se li paragoni alla radice, stanno infatti sotto e non
si vedono, mentre il tronco e i rami ovviamente si vedono di più.
Vittorio M.
Estenderei la tua riflessione all'inconscio, che è alla radice
dell’albero. Non solo esso è nascosto alla vista degli
altri, come lo sono spesso i nostri sentimenti, ma è nascosto
anche a noi stessi.
Il nostro scopo è appunto quello di portarlo alla luce ma, nel
far questo, c'è modo e modo, perché, se prendi un albero,
togli la terra e esponi la radice al sole, l’albero muore.
Quindi, bisogna attingere al profondo, ma anche preservarne l’oscurità
e l'umidità, preservare la radice, la forza germinante del nostro
essere. .Nel grembo materno c'è un bambino che non si separa
dall’oscurità del grembo finché non nasce. Non solo
deve essere giunta al suo termine la gestazione, ma il passaggio dall'oscurità
alla luce è un momento unico e sacro, è la nascita che,
con la stessa sacralità, deve essere vissuta anche nel nostro
rapporto con l'inconscio. .
Come si sono formate le leggi?
Alberto D.
Entrando invece più nel merito, chiaramente l’argomento
“libertà e legge” è molto interessante. Lo
possiamo esaminare da un punto di vista trascendente, e magari lo facciamo
dopo, piuttosto che immanente. Non sono molto d’accordo sul discorso
che tu fai sull’anarchia: in realtà è vero, anch’io
prima pensavo che l’uomo primitivo fosse in una situazione di
anarchia, perché forse non aveva nemmeno bisogno di leggi Era
in una situazione di grande libertà, finché però
non appare il bisogno delle prime leggi.
Vittorio M.
E’ quanto stiamo dicendo, mostrando il processo da una natura
in cui non c’è ancora l’uomo ai primi uomini della
preistoria, che vivono in una situazione di anarchia, nel senso che
non ci sono leggi né stati, ma che però un po’ alla
volta cominciano a stabilire delle regole. Da questa condizione - nei
primi uomini non c’è ancora il sentimento come noi lo viviamo
oggi, c’è la superstizione, o la pura brutalità
- nascono lentamente i sentimenti e la ragione. Con essi, la libertà
originaria comincia ad auto-limitarsi e ad articolarsi in regole: è
la legge allo stato nascente..
La libertà equivale al senso dell’Io, alla consapevolezza,
alla possibilità di scegliere, che si esercita nel rapporto con
gli altri, da cui cui nasce la necessità di stabilire le regole
con cui esercitarlo..
Alberto D.
Sì, questo è chiaro. Però il punto è che,
paradossalmente, più leggi l’uomo è andato a darsi,
più viene meno la propria libertà. Qual'è poi l’obiettivo
della legge? E’ quello di garantire la giustizia, ma se la giustizia
non viene garantita, non possiamo più dire di essere liberi.
Cioè, noi siamo liberi in quanto esiste la giustizia: se essa
manca, pensiamo di essere liberi, ma non lo siamo.
Vittorio M.
Io penso che noi non siamo liberi, se non in un modo che è da
svelare a noi stessi. Ne dà evidenza il discorso della "caverna",
che mostra appunto tutta la limitatezza umana. La libertà va
conquistata. E’ come l’amore: un’idea assoluta, che
si realizza però a diversi livelli. Ricordate che abbiamo riconosciuto
l'amore anche al livello più basso, quello per esempio di mangiare,
con cui ci si unisce a ciò che si mangia. Anche nell'unione tra
uomo e donna il bacio è proprio simile ad un morso, tendenzialmente
è un voler mangiare. E così via via, in progressive forme
di unione, sino all’amore di Dio, in cui si realizza l’unione
con l’assoluto.
Direi che avviene lo stesso per la libertà: la prima libertà
può essere quella dell’albero che spinge i suoi rami tutt'intorno
e, con il movimento delle foglie, segue il soffio del vento; poi quella
dell’animale che può muoversi con tutto il corpo; e quindi
quella dell’uomo, che ha una libertà anche nei pensieri,
per poi evolvere sempre di più finché non giungerà
a conquistare la libertà vera che è quella spirituale,
cioè il riconoscersi come essere divino.
Prima di questo si può parlare di libertà solo in modi
più o meno limitati. I filosofi ci dicono che l’uomo è
si, libero, ma lo è però solo nell’ambito della
volontà di Dio, ponendosi il problema del libero arbitrio e comunque
della limitatezza della nostra condizione. Ma preferirei dire che l'uomo
sperimenta la libertà e la conseguente possibilità di
volere a vari livelli, sempre crescenti, fino a coincidere con quella
volontà di Dio da cui si riteneva dominato. E' proprio come nell'amore,
in tutti gli stadi che via via percorre, dal sub-umano sino al divino.
Quando interviene la ragione, vediamo che essa sostiene la libertà
ma solo fino a un certo punto, perché poi si sovrappone ad essa,
dimenticando del tutto quale sia l’origine, l'essenza dell'uomo.
La ragione tende così a costruirsi come ente a sé stante,
ed è questa la grave deviazione che mette in pericolo il mondo.
Abbiamo invece bisogno che la ragione sia sempre in un giusto rapporto
col sentimento, come, nello stesso modo, la legge con la libertà.
E' fondamentale di individuare il loro equilibrio, la loro unione, e
non dire che uno è la strada della verità e l’altro
una deviazione. La vera deviazione è se si va al di fuori di
questo equilibrio.
La Legge
Carla S.
Vorrei dire una cosa. Innanzitutto, trovo molto bello questo tuo sistema
che hai costruito, evidentemente attraverso tutta la tua vita, le tue
esperienze, i tuoi pensieri, e che assume questa immagine splendida
dell’albero cosmico, che poi è un archetipo, un’immagine
che tutti abbiamo dentro, perché ci sentiamo far parte di un
universo di cui capiamo molto poco, ma con le radici ci siamo dentro
e con le foglie andiamo su e troviamo l'equilibrio, come pure cerchiamo
un equilibrio dentro di noi. Ecco, è molto interessante, in questa
parte, quello che tu dici sull'unione fra sentimento e ragione, cioè
che il sentimento deve trovare una sua razionalità. La razionalità
deve riunirsi col sentimento. Questo è fondamentale, anche per
il discorso della legge, che è di oggi. Io recentemente ho letto
due cose, proprio su questo, che ho trovato straordinarie. Una l'ho
citata la volta scorsa e che è Jonas, e l'altra è un articolo
di Claudio Magris, uscito giorni fa sul Corriere della Sera: qualunque
cosa a cui noi possiamo aspirare come libertà cavalcante, sciolta,
naturale, romantica, in realtà non è possibile.
Dicono tutti e due, sia Jonas come filosofo che Magris come pensatore,
che quando riusciamo ad unire sentimento e ragione - deve essere il
nostro obiettivo nella vita - la vera libertà consiste nella
legge che noi diamo al nostro vivere sociale così come a noi
stessi, in questo nostro cammino interiore, in questa nostra ascesi
e tentativo di capire quest’universo così difficile. Nel
nostro rapportarci agli altri, in fondo qual è lo strumento principe
che abbiamo? Una legge che sappia unire sentimento e ragione. Certo,
ci muoviamo a livello quasi utopico e nella realtà delle cose
sappiamo come tutto questo sia difficile, e anche come essi siano ambiti
separati, che anzi si scontrano ed opprimono l’un l’altro.
La legge può essere terribilmente oppressiva, però anche
l’anarchia dei sentimenti lo è.
Vittorio M.
Certo, certo. Già in un altro incontro tu avevi evocato che nella
molteplicità del mondo, dove ci sono moltissime cose, anche vere,
anche dal peso uguale, opinioni che possono convivere, c’è
comunque un nucleo di certezza che chiami la legge, riferendoti al pensiero
di Jonas.
Però qualcuno ha detto che questa è un’opinione
molto biblica…
Carla S.
Sì, giustamente, perché io ho il sangue ebreo…
Vittorio M.
Ed in effetti gli ebrei hanno sempre avuto questa idea, con Mosè
che si presenta con le tavole delle leggi, e anche con Gesù che
diceva: "Non sono venuto per abolire la Legge, ma per attuare la
Legge".
Io però sono un po’ anarchico e non metterei l’accento
sulla legge se non proprio come perfetto equivalente della libertà.
Ecco, li vedo proprio insieme.
Carla S.
Ma la nostra libertà è nella legge, io credo a questo
paradosso.
Vittorio M.
Sì, uno può dire che la nostra libertà è
muoversi nell’ambito della legge. Però la libertà
è un’essenza, la legge è una sovrapposizione. Sono
convinto anch’io che nel tempo si debba giungere ad una legge
sempre più illuminata - anche se non crederei affatto al governo
dei filosofi, o qualcosa del genere, per non parlare di quello dei politici
- ma mi pare proprio che sia vero un principio di assoluta equivalenza:
se cioè l’uomo scopre in sé un’essenza illuminata,
vale a dire l’essenza divina, allora creerà una legge illuminata,
vicina al divino..
Altrimenti, se l’uomo ha un sentimento non sviluppato, cioè
una vita naturale confusa, mescolata all’ombra, se si dibatte
nella caverna, le sue leggi non faranno che rinforzare questo stato.
Quindi non è che la speranza sia la legge: la speranza è
conquistare la libertà vera, interiore, divina, che porterà
ad una vera legge. Non è la la legge in sé che dobbiamo
adorare : una legge posta sopra ogni altra cosa non è la verità,
non è una volontà divina, ma rischia di essere un idolo.
.
Invece di questa sottomissione parlerei di equivalenza: come il sentimento
e la ragione devono essere equilibrati, così devono esserlo anche
la libertà e la legge.
Nessun altro interviene?
Dicevo prima come Platone ebbe l'idea dei dialoghi (mi ha copiato...!?!).
Alla parola scritta, ha preferito la comunicazione diretta, orale, con
un gruppo di amici e discepoli, ascoltando e parlando in modo da mettere
in relazione le persone e le idee, che è un po' quello che più
in piccolo stiamo facendo. Però, col tempo, diventando vecchio
e autoritario, ha messo in primo piano questo personaggio di Socrate
che praticamente parlava solo lui, mentre gli altri erano ridotti a
dire solo: si, si, oppure no, no. Socrate poneva delle domande: è
vero che le cose stanno così ? E le risposte erano si, è
vero, oppure no, non è vero. E così, se voi non parlate,
andrà a finire con noi. Mi auguro invece che continui un dialogo
vero.
Federico F.
Trovo che nella vita c'è una lotta continua fra diversi interessi.
La legge è necessaria per questo, ma deve adattarsi continuamente
alla situazione reale, non rimanere immutabile.
Vittorio M.
Ma questo accade non solo nel mondo umano ma anche nella natura. Una
pianta cresce liberamente? Si, ma se c'è un'altra pianta vicina,
la relazione con questa limita la sua libertà: una pianta dà
ombra all'altra, c'è una lotta, una competizione, si sviluppano
forme particolari di difesa. . Quanto alla lotta fra i diversi interessi,
nella società degli uomini, essa non riguarda solo gli aspetti
economici, ma le stesse forze costitutive della vita; la lotta è
la legge della vita su tutti piani. Mentre la natura ne assicura una
regolazione automatica, che si realizza nell'evoluzione, l'uomo crea
una regolamentazione conscia e articolata nelle leggi, che è
fondamentale per il vivere civile. Solo che essa deve essere sempre
al servizio della vita perché, altrimenti, rischierebbe, come
accade, di sovrapporsi ad essa e di soffocarla.
Le leggi e la giustizia
Alberto D.
Per questo volevo enfatizzare prima il concetto di giustizia, oggi abbiamo
troppe leggi. Invece di darci più libertà, ci tolgono
libertà in quanto sono strumentali per la libertà di qualcun
altro. Nel mondo non c'è giustizia. Eppure, guarda quante leggi
ci sono.....
Vittorio M.
Anche solo nel mio campo, l'architettura, non si è più
liberi di progettare perché è indescrivibile il labirinto
di regolamenti, che dovrebbero avere come risultato di darci una città
più giusta, più bella e meglio funzionante, mentre avviene
il contrario. Se pensi alle città antiche, in cui non esistevano
assolutamente queste montagne di regolamenti, le città crescevano
in modo organico, giusto, bello, oltre ad essere portatrici dei valori
più alti di un popolo, mentre oggi sono assolutamente desolanti.
Quindi, quando la legge diventa una struttura a sé, non solo
non aiuta lo sviluppo della vita ma lo contrasta, lo mortifica. E' proprio
un punto esatto di equilibrio che occorre trovare: un momento prima
c'era l'anarchia, un momento dopo l'irrigidimento provocato dalla legge.
Per questo io diffidavo di quello che diceva Carla che, già in
un altro incontro, evocava la "Legge", si inchinava alla legge.
Ma la legge non è un Dio, è o deve essere solo l'equivalente
della libertà, della vita, del vero come, per fare un esempio,
potrebbe esserlo la carta stampata rispetto all'oro di cui costituisce
solo una ricevuta convenzionale. E' inutile tracciare i solchi se le
piante non crescono in modo vigoroso, se non ricevono la luce del sole,
il nutrimento della terra.
Se si guarda alla storia del pensiero, si è sempre ipotizzata
la legge proprio come qualcosa di astratto: una volta come la legge
divina; un'altra volta come un' imperativo morale - come diceva Kant
- che discrimina fra bene e male; un'altra volta una grazia che ricevi,
o un ordine dettato da un Dio assoluto. E' sempre stato come l'attribuire
a un'autorità esterna, che sia il Padreterno, il giudice, il
governante, o la ragione eletta a Dea, il diritto di ordinare la nostra
vita. Questo diritto dovrebbe invece nascere dalla nostra vita interiore,
dalla nostra libertà, da una vera conoscenza. Noi ci riduciamo
invece ad avere margini ristrettissimi di libertà nella misura
in cui le leggi ce li hanno lasciati, finché non vengono poi
accuratamente eliminati uno dopo l'altro.
E' un processo che porta necessariamente alla paralisi dell'organismo
sociale e che genera anche, oso dire, il bisogno di una nuova barbarie
come esperienza rigeneratrice. Che poi la nuova civiltà che viene
così preparata costituisca un progresso, possiamo sperarlo sulla
base dell'esperienza storica che ci ha indubbiamente portato a un progresso
rispetto alla civiltà antica, almeno sotto il profilo della democrazia
e di tutto lo sviluppo civile che vi è associato. Il progredire
dell'umanità che si opera faticosamente con la successione dei
cicli storici non può comunque che essere molto limitato rispetto
alla prospettiva di una civiltà e di una legge illuminata in
un senso spirituale, come essa può nascere nel nostro animo e
nelle parole degli uomini più saggi. Essa non sarà comunque
possibile né come elargizione divina né come conquista
esclusivamente razionale, ma solo se noi avremo acquistato parallelamente,
simmetricamente, un'analoga forza, un'analoga libertà, che si
chiama appunto "essenza". La libertà è l'essenza.
Gerardo P.
Volevo dire che non sono molto d'accordo con quello che ha detto Alberto.
La giustizia è una conseguenza naturale delle leggi, se esse
sono equilibrate e sagge. Le leggi sono fatte per stabilire una convivenza.,
una socialità. Quando l'individuo viveva nella foresta, faceva
quello che voleva, mentre adesso, con delle nazioni di cinquanta o sessanta
milioni di abitanti, sarebbe inconcepibile che esse non si diano delle
regole di convivenza, per le quali ognuno è libero di avere e
di manifestare i propri diritti, i propri interessi ma nel rispetto
dei diritti degli altri: questa è la legge
Vittorio M
...ma è anche giustizia
Gerardo P.
Giustizia è un termine vago...la giustizia fa degli errori, le
leggi non dovrebbero
Vittorio M.
L'applicazione delle leggi può compiere degli errori, però
il concetto di dare ad ognuno il suo, di rispettare gli altri è
la giustizia, no? Non vorrei avventurarmi in un campo che non è
il mio, ma la giustizia è un concetto molto vicino a quello di
legge, caspita, a meno che non sia una legge oppressiva, una legge ingiusta,
che privilegia i malvagi e bastona i buoni, ma una legge invece che
si applica a stabilire dei giusti rapporti coincide con la giustizia,
o no?
Gerardo P.
Non sempre. La giustizia è un concetto più astratto di
quello che è un ordinamento per la convivenza, tale da poter
garantire ad ognuno i propri diritti senza ledere quelli degli altri.
La giustizia è un concetto più relativo della legge; che
è un fatto oggettivo. La giustizia, la sentenza per me può
essere giusta, per chi ha un altro interesse non lo è . Però
la legge è al di sopra degli interessi individuali
Vittorio M.
Stiamo parlando di parole o c'è qualche differenza sostanziale?
Forse io parlo della giustizia in sé mentre tu intendi la pratica
giudiziaria, la sentenza?
Alberto D.
E' importante mettersi d'accordo sui termini, come io suggerirei anche
per la libertà e la legge.
Vittorio M.
Il linguaggio può portare a una chiarezza come a una confusione,
e non deve comunque bloccarci in definizioni a priori. Forse è
meglio procedere con una certa approssimazione, come fa un artista quando,
cominciando un'opera, lo fa con un abbozzo, non può stabilire
prima cosa bisogna fare nel dettaglio e curare un tratto perfetto fin
dall'inizio.
Adesso ci scontriamo con questa difficoltà, se la legge è
sinonimo di giustizia. Vogliamo tentare un'altra strada? Immaginiamo
che giustizia, non nel senso corrente del termine - cioè di cosa
fanno i giudici, delle loro sentenze, o al contrario del farsi giustizia
da sé ecc. - ma in un senso più alto, sia proprio il rapporto
equilibrato fra la libertà e la legge, con cui si definisce ciò
che è giusto. Se invece si parla di giustizia come dell'applicazione
delle leggi, è una cosa alquanto distante da questo concetto,
cioè è un prevalere delle leggi, spesso tutt'altro che
illuminate, mentre invece sarebbe più giusto di vedere la giustizia
come un'armonia fra la legge e la libertà, fra le regole e il
contenuto umano a cui tutto si deve sempre riferire.
Silvia G.
Ma allora, scusa, al posto di libertà e legge io avrei scritto
unione di libertà e legge = giustizia:
Vittorio M.
Proprio così
Gerardo P.
Vediamo di comprenderlo insieme. Giustizia e legge sono due termini
non omogenei, perché la legge è l'emanazione di un potere
che decide quali, in un determinato contesto sociale, sono le regole
più idonee. La giustizia è invece un risultato che può
esserci o non esserci.
Alberto D.
Che non siano omogenei sono d'accordo
Una legge di natura
Pat Sophie G.
Qui si stanno dando delle definizioni non valide. Pensiamo invece alla
legge in un altro senso: legge di natura, legge che è in te,
e non solo legge sociale, organizzativa. Sono legge le une e le altre.
Ma ci sarà giustizia solo se riusciremo a integrarle e a comporle
in un :equilibrio.
Alberto D.
Per legge di natura cosa intendi? Non stai andando sul trascendente?
Quando ho fatto il primo intervento, ricordate, ho detto: che bel tema
quello della libertà e della legge! Possiamo parlarne da un punto
di vista trascendente o da uno immanente. Parlando solo dal punto di
vista immanente ho detto che la legge deve garantire giustizia perché,
se non c'è giustizia, non c'è libertà, questa è
la sintesi del mio discorso. Se invece entro nel trascendente e metto
di mezzo anche la legge della natura, allora faccio tutto un altro ragionamento.
Vittorio M.
La nostra linea non è divisa fra due categorie. E' un tutt'uno,
dal basso all'alto e dall'alto al basso. Si dice infatti "come
in basso, così è in alto". Quindi cerchiamo pure
di toccare anche il trascendente, ma senza separarlo da noi. Io dico
che la libertà è possibile a tutti i livelli, e così
mi pare che sia anche la giustizia. Consideriamola come un momento di
equilibrio, che si può realizzare a un certo livello, in cui
si definisce il giusto in rapporto a un determinato contesto, mentre
non lo sarà in un contesto diverso. Di livello in livello potremo
giungere anche a intuire che esista una giustizia divina, oppure, restando
in questo mondo, ricercheremo almeno un equilibrio fra una legge di
natura e la legge umana. Tutto è comunque unito.
La legge di natura può essere molto dura, perché è
dura la lotta per la sopravvivenza, ma forse tu intendevi il sentimento
naturale che è in noi riguardo a ciò che è giusto?
Pat Sophie G.
Intendo lo svolgersi della natura
Gerardo P.
Cosa vuol dire lo svolgersi della natura?
Pat Sophie G.
Vuol dire che se il fiore nasce, non è perché tu l'hai
spinto, ma perché........
Vittorio M.
Sai quante volte ripeto che il senso più vero del nostro essere
è proprio quello di fiorire e aprirsi come un fiore, ma questo
richiede un'interpretazione spirituale della legge di natura, che ha
invece anche degli aspetti su tutt'altro piano.
Prendiamo però dalla natura un altro principio, quello della
libertà, e diciamo che esso ne è proprio l'essenza, un'essenza
comune sia alla natura che a noi stessi. Se si vuol classificarlo come
immanente o trascendente, fate voi, io non vedo differenze.
Silvia G.
Ci possono essere diverse leggi: la legge di natura, la legge della
propria coscienza...
Gerardo P.
Molte leggi hanno trascritto, codificato ciò che era già
nella natura dell'uomo. Anche la legge religiosa "non desiderare
la donna d'altri" nasce da qualcosa che è nell'istinto dell'uomo..
Vittorio M.
Su tutto questo siamo d'accordo, ma non distinguiamo troppo per favore
fra legge naturale, legge religiosa, legge morale, penale, civile.....quello
che dice Gerardo è sensato: c'è un impulso naturale in
noi stessi, oltre ai dettami richiesti dalla convivenza, che viene codificato,
dando luogo a delle giuste regole. La legge che così nasce continua
però in un processo di suddivisione e elaborazione di concetti,
sotto la spinta della crescente complessità della società,
o anche di deviazioni e interessi particolari. Questo processo è
proprio dello sviluppo della ragione. Applicato alla giustizia, finisce
col creare concetti e leggi staccati dai bisogni primari che tu vedevi
rispecchiati nella legge, fino a creare una crescente confusione. Riportando
come sempre le cose a una prospettiva più vasta, si vede come
questa confusione porta a un indebolimento, quasi una paralisi dell'organismo
sociale, a cui segue il bisogno di ritrovare il vero fondamento che
si era via via perduto nell'evoluzione dell'uomo. . Il discorso è
sempre questo.
Sono argomenti molto vasti, ma noi non dobbiamo perdere il nostro filo
conduttore. Mi ricordavo proprio oggi le parole lapidarie che Plotino
pronunciò in punto di morte: "Fuggite il molteplice!"
Certo è che, più il molteplice si moltiplica, si ramifica,
e più si perde di vista l'unità: quello che è il
punto di partenza, in modo se volete nativo, semplice, germinante, ed
è anche il punto di arrivo, in modo illuminato, spirituale.
Illuminazione e utopia
Silvia G.
Il tuo punto di vista è sempre quello del modo illuminato, può
essere un po' utopico ma è questa la direzione in cui dobbiamo
andare
Alberto D.
Utopico se lo vedo come "illuminato", mentre è meno
utopico come attributo di conoscenza...
Vittorio M.
Si, può essere utopico a livello sociale, se non vogliamo farci
troppe illusioni sulla possibilità di cambiare l'umanità,
ma è invece vero a livello individuale, in cui un uomo può
essere illuminato, realizzato...
Alberto D.
Se per conoscenza intendiamo illuminazione, non abbiamo più bisogno
di una legge che ci illumini. Nel momento in cui siamo tutti illuminati,
arriviamo tutti alla conoscenza....
Vittorio M.
Non parlo di legge illuminata nel senso di immaginare un consesso di
giuristi che, fra cinquantamila anni, ne stabilirà le norme,
ma penso a un'evoluzione del concetto di giustizia che a poco a poco
si farà strada, se gli uomini saranno illuminati o almeno un
po' più saggi. Può certo sembrare un'utopia se guardiamo
al mondo d'oggi, in cui siamo governati da persone spesso disoneste
o ignoranti, o ambedue le cose insieme, ma si può dire che questo
accada solo oggi?
La storia non è forse sempre stata una storia di sopraffazioni?
I grandi re, i grandi conquistatori, gli uomini di potere in ogni tempo
non erano spesso che dei sopraffatori. Non ci sarà mai nell'umanità,
un giorno, un governo illuminato, che sia ispirato a sapienza, e agisca
con una vera visione del bene?
Pat Sophie G.
Ci sarà solo quando accadrà quello che hai detto prima,
quando cioè ogni uomo non sarà diviso in sé ma
unito, e non ci sarà quindi bisogno di cercare qualche criminale
per governare la sua divisione. Io smetterei però di parlare
di utopia: mentre parliamo tanto di illuminazione, perché continuiamo
a dire che è una utopia?
Vittorio M.
Ma certo. Per chi guarda solo la realtà, un'idea può sembrare
un'utopia, una cosa fuori dal mondo, ma essa è invece la spinta
che fa crescere il mondo. E' proprio come la la forza che porta lo stelo
a produrre il fiore - un principio germinante - è così
semplice. La vera utopia sarebbe e purtroppo è il nostro modo
consueto di ragionare, di fare, di dedicarci a delle astrazioni invece
che alla vita.
Gerardo P.
Io parlo di utopia nel senso che è purtroppo una pia illusione
che tutti gli uomini possano raggiungere questa illuminazione, contemporaneamente.
Vittorio M.
Io, guarda, quando mi figuro l'illuminazione, immagino di essere un
fiorellino giallo che si apre con tutti i suoi petali, mi viene in mente
così.... E dove mi vedo? In un prato strapieno di altri fiorellini
gialli. E' questo che può e deve succedere, non è un'utopia,
è quanto accade quando viene il momento della fioritura. Già
prima il prato era ed è pieno di semini dormienti, come lo siamo
noi, e poi fioriscono ...
Pat Sophie G.
se tu hai il pensiero, se pensi all'utopia, tu hai concepito; se pensi
all'illuminazione, l'illuminazione c'è perché il pensiero
esiste al di là di te, tu l'hai solo tirato fuori da una incredibile
possibilità, come nella fisica quantistica, l'hai raccolto e
chiamato illuminazione, quindi non negarlo: c'è, c'è la
possibilità ...
Gerardo P.
Un conto è che ci sia come possibilità e un altro che
questa venga realizzata
Vittorio M.
Ti ricordi che abbiamo già fatto una discussione a proposito
di un mio progetto rivoluzionario per Milano? Tu dicevi sempre: si,
è bello, ma è un'utopia perché mai e mai più
si potrà realizzare demolendo mezza città. Hai ragione
su un piano pratico, contingente, però ciò non toglie
che il pensiero che questo si possa fare, che si debba fare se uno ha
un orizzonte abbastanza grande per andare al di là della contingenza,
è già una realtà che, un po' alla volta, potrà
modificare la realtà esterna. Quella di oggi ti dà ragione,
ma c'è una realtà più grande nella totalità
dell'esperienza umana su eoni di tempo, rispetto ai quali la nostra
vita e le nostre esperienze sono ben piccola cosa. Quindi l'utopia -
chiamala piuttosto come progetto non immediatamente realizzabile - può
essere una vera e feconda realtà per il fatto stesso di formularla.
Ci sono invece delle astrazioni che non saranno mai realizzate e che,
anche quando lo fossero, rimarrebbero morte, anzi neppure nate. Ben
altra cosa è l'idea di un equilibrio profondo che, dal cuore
di ogni persona, si allarghi, e oggi si sta allargando sotto i nostri
occhi - non per nulla siamo qui in quindici a parlarne - coinvolgendo
una quantità sempre maggiore di persone, proprio come tanti "fiorellini
gialli". Essi finiranno col determinare la la tendenza
di una nuova civiltà.
Gerardo P.
dimentichiamo la parola utopia, è come se non l'avessi pronunciata.
Benedette le nuove idee, le iniziative, i progetti come il tuo, ma purtroppo
la dura realtà ci dice che millenni di storia dell'umanità
e chissà quanti altri in futuro difficilmente riusciranno a fare
dell'umanità...
Vittorio M.
Fra centomila anni ci ritroveremo qui e vedremo se saranno stati fatti
dei progressi. Guarda che c'è già una bella differenza
fra come noi parliamo qui e come si poteva parlarne trent'anni fa. Delle
idee che una volta erano isolate, o riservate a pochi iniziati, oggi
sono largamente condivise.
Tendenze e negazioni
Federico F.
E' la biologia delle tendenze. Una legge crea un contesto che porta
poi a modificare la legge stessa. Il fatto che tu parli di un'idea non
lascia intatto il quadro ma lo modifica.
Vittorio M.
Esattamente, le idee sono forze. Non è che noi osserviamo una
realtà dall'esterno, e siamo liberi di pensarne quello che vogliamo
senza alcuna conseguenza. Il nostro pensiero entra in relazione con
la realtà e quindi la modifica.
Ettore L.
Posso consigliare la lettura di un tomo degli anni sessanta sulla tecnologia
sociale o società tecnologica?. Direi che farebbe un po' piazza
pulita di tante cose che sono state dette stasera. Cosa serve ragionare
su tematiche così complesse su cui sono stati spesi fiumi di
energie, quando Aberman già vent'anni fa ha detto che sono sbagliate?
Quello di cui parla Vittorio alludendo al gran casino della nostra politica
è ciò che Newman ha definito autoreferenzialità
sistemica. Il problema della formazione delle leggi è stato già
discusso vent'anni fa e siamo al punto in cui siamo. Certo, questi autori
non parlavano di spiritualità o di fede, però quanto meno
hanno cercato per anni di capire quale può essere l'agire partecipativo;
sembrava una buona cosa, ma purtroppo Aberman, l'ha smentito dicendo,
mi sembra: "ragazzi non funziona, mi spiace".
Vittorio M.
A parte questi studiosi che non conosco, è da migliaia di anni
che gli uomini si affannano su questo problema, che si è andato
certo aggravando.
Gerardo P.
Non siamo qui per cambiare i massimi sistemi ma per scambiarci dei punti
di vista
Silvia G.
Altrimenti, a questo punto, sarebbe inutile di star qui a parlarne,
limitiamoci a fare la nostra vita; si nasce si vive e si muore senza
porci troppi problemi...
Ettore L.
Vi ricordo che ci sono stati 55 milioni morti nell'ultima guerra mondiale
e che le idee dello spiritualismo hanno portato al nazismo
Vittorio M.
Qui sei andato fuori.... In questi incontri, noi cerchiamo di dire quello
che, in filo diretto col nostro cuore e la nostra mente, ci sembra giusto,
anche a costo di ripetere o ignorare ciò che altri possono aver
detto, poiché importante è sentire, vivere un'idea come
il proprio sangue, e non solo citarla. Non possiamo d'altra parte discutere
delle ipotesi come quella che lo spiritualismo avrebbe prodotto il nazismo,
che mi sembra una specie di cortocircuito intellettuale.
Data comunque l'ora, vogliamo comunque concludere così la serata?
.
Sulle credenze
Alberto D.
Posso fare invece un ultimo intervento? A questo punto, parlerei di
un piano trascendente
Vittorio M.
Ma si, ascoltiamo Alberto e poi andiamo a cena
Alberto D.
Mi rifaccio al tema a cui Federico aveva prima accennato: le credenze.
Da un punto di vista trascendente sulla legge, io la intendo in questo
modo: libertà intesa come possibilità di esprimere il
proprio pensiero ma soprattutto di pensare liberamente. Dall'altra parte,
in contrapposizione, c'è una legge, non umana ma divina, quella
dei dogmi che ci vengono imposti. Con essi si creano delle credenze
che, in qualche modo, offuscano, condizionano quello che è il
libero pensare. Faccio un'ultima considerazione che lega le due cose:
libertà e libero arbitrio - mi sembra che tu ci avevi accennato
- che è un tema che meriterebbe un ulteriore esame. Penso a Sant'
Erasmo da Rotterdam che scrive il "De libero arbitrio" mentre,
dall'altra parte abbiamo in contrapposizione Lutero che scrive "De
servo arbitrio" Quindi il punto è: noi esercitiamo il nostro
libero arbitrio o no? Io penso che il libero arbitrio non esista.
Vittorio M.
Voi che avete fame e siete già in piedi per andarvene, aspettate
ancora un momento per favore. Tu, Alberto, stai chiudendo un dibattito
aprendone invece un altro, che spalanca una vera voragine. Ti dico però
la verità: parlare di dogmi è del tutto al di fuori del
nostro modo di pensare e anche il " libero arbitrio" che menzioni
non fa parte del nostro vocabolario, anche se il problema che pone è
molto profondo. .
I teologi cristiani ne hanno dibattuto per secoli ma, piuttosto che
citarli, vorrei cercare di vedere la cosa in sé. La libertà,
come dicevo prima, è qualcosa che va conquistata, non è
solo un affermare che noi siamo liberi, seppure entro i limiti di un
universale disegno di Dio. Noi siamo liberi su tanti e progressivi piani,
nella misura delle nostre possibilità, avvicinandoci sempre di
più all'infinito livello che chiamiamo Dio, in cui solo ci sarà
vera e assoluta libertà.
Se vuoi parlare di trascendenza, essa è certo un livello ben
più alto di quello dell'esperienza umana, ma non la definirei
come qualcosa di così separato rispetto all'immanenza, o contrapposto
ad essa, e tanto meno le darei una connotazione confessionale. Come
potremmo avvicinarci al livello della vera libertà, chiudendoci
entro le barriere create da una ragione astratta, invece di cercare
la libertà in noi stessi, come la nostra propria essenza? Che
poi questa sia anche l'essenza del divino, è proprio il senso
che guida queste riflessioni. Confrontato con idee dogmatiche, non è
certo sulla stessa lunghezza d'onda
A questo punto non vorrei arrogarmi il diritto di dire l'ultima parola
ma è proprio così, e la parola è: "andiamo
a cena".