Incontro n° 3 del 21 aprile 2010
Nel dibattito sono intervenuti anche: Silvana Olmo, Pat Sophie Graja, Ettore Lariani, Carla Sanguinetti, Paolo
Manasse, Caterina Bazzini, Maria Palermo.
Vittorio Mazzucconi
Come vi dicevo nei precedenti incontri, il seminario "Sentimento e Ragione" scoperchia un vero e proprio
vaso di Pandora. Sembrerebbe molto semplice, è come andare dal cuore alla mente, dai nostri sentimenti ai
nostri pensieri, come facciamo in ogni momento, ma questo tragitto è invece estremamente lungo e
complesso, perché coinvolge un vastissimo campo di indagine. Inoltre, quando si dice che andiamo dal
sentimento alla ragione, mettiamo a fuoco solo un piccolo tratto del percorso, mentre ci accorgiamo che,
prima del sentimento, c'è tutto un universo, e che esso si estende anche al di là della ragione. Nel primo
caso, ci soccorre la psicanalisi, oltre all'antropologia e ad altre scienze, anche se occorrerebbe una
conoscenza integrata e superiore per esplorare a fondo il mondo delle radici. Per ciò che riguarda invece ciò
che è al di là della ragione, dobbiamo più intuirlo che vederlo con i nostri occhi. Oltre alle speculazioni della
filosofia, c'è certo il grande aiuto delle religioni ma, anche in questo caso, è solo una conoscenza superiore e
soprattutto interiore, la conoscenza dell'anima, che può fornirci l'orientamento in una dimensione che va ben
al di là dei nostri sentimenti e dei nostri pensieri. Ho proprio la netta sensazione che ci sia questo enorme,
fantastico percorso, di cui noi viviamo un piccolissimo tratto nella nostra vita individuale, nella nostra
esperienza, ma che ha una valenza che si spinge fino a un piano cosmico, e alla ciclicità che ne regola lo
svolgimento. Come possiamo orientarci? Come possiamo conseguire la conoscenza dell'anima? Per il
momento, soffermiamoci a captare il vivo passaggio in noi della linfa che viene dalla terra e sale fino alla
chioma dell'albero, e contemporaneamente, si carica della luce del sole, attraverso la funzione clorofilliana,
per ridiscendere con questa nuova forza alle radici. Questo doppio movimento, di salita e discesa, ci sembra
una chiave fondamentale per capire tante cose.
Riassunto degli incontri precedenti
Fin dall'inizio del seminario, abbiamo così parlato dell'albero, assunto come archetipo dello sviluppo di ogni
cosa, anche da un punto di vista psicologico. Per chiarirci le idee, ho presentato delle tavole con delle
colonne verticali: in una di esse si legge il ciclo della vita dell'albero; in un'altra quello del nostro corpo, e
infine, nell'ultima, quello dell'anima, ossia delle funzioni psicologiche. Tanto nelle colonne dell'albero quanto
in quelle del corpo e dell'anima abbiamo evidenziato la linea centrale, che, secondo le colonne, corrisponde
al tronco, al corpo e all'unione di sentimento e ragione nella vita dell'anima.
L'albero, il corpo, l'anima fig.4
Guardando il tronco, vediamo che sotto ci sono le radici, il seme, la terra;
mentre sopra c'è la ramatura, ci sono le foglie, il fiore, il frutto.
E c'è, anche se non visibile a prima vista, una simmetria in questa
costituzione: la parte sotterranea corrisponde alla parte aerea; se
voi immaginate l'albero, la ramificazione della sua chioma fa infatti
pensare a quella delle sue radici. Guardando a questa costituzione,
il senso del seminario è nel paragonare la radice al sentimento e la
ramatura dell'albero, invece, alla ragione. Tutto il discorso si fa
fra questi due poli, che sono perfettamente equivalenti e simmetrici.
Però l'essenziale è il tronco, è il tronco la nostra verità, la nostra
sostanza di uomini e anche di ogni altra creatura. E' nel tronco che
si può visualizzare l'intento del nostro lavoro, che è quello di unire
il sentimento e la ragione. E' in questa unione il senso del compito
della nostra vita.
Nel corpo si legge una struttura analoga a quella dell'albero: Il tronco
diventa il cuore. Al di sotto del cuore abbiamo l'intestino, gli altri
organi della digestione, gli organi genitali, il cui insieme ci fa pensare
alle radici. Al di sopra invece abbiamo il sistema cerebro spinale,
i polmoni , la laringe ecc., il cui insieme ci fa pensare alla ramatura
dell'albero.
Osserviamo anche nel corpo la stessa simmetria che abbiamo visto nell'albero:
la parte superiore corrisponde a quella inferiore, per esempio il cervello
all'intestino, la laringe agli organi genitali ecc come si può leggere
nello schema. Quindi, quello che abbiamo detto prima, cioè il pensare
che le radici di un albero fossero l'equivalente del sentimento, lo
troviamo anche nell'equivalenza con il corpo umano. Parlo di immagini
archetipiche, non di tale albero o di tale corpo.
Se passiamo all'anima, invece delle funzioni fisiche del corpo abbiamo
quelle non corporee, che però sono sulla stessa linea. Il tronco, che
è il cuore, diventa il nucleo in cui sentimento e ragione sono uniti,
che è appunto ciò che dobbiamo realizzare in noi stessi, e anche nell'arte
e in una prospettiva più generale. Vediamo allora che al di sotto di
questo nucleo, in modo corrispondente all'intestino, abbiamo il mondo
della sensazione, del sentimento, e sotto ancora, ovviamente corrispondente
alla zona dei genitali, l'eros, e in basso infine l'oscurità.
Al di sopra vedremo invece la ragione, l'ispirazione e la parola. Qui
il discorso si fa però complesso, perché si imposta il concetto che
la ragione è in sé una divisione, che si realizza nel linguaggio, ed
è la stessa divisione che c'è nell'albero, i cui rami si ramificano
sempre di più. Allora, il nostro percorso, anzi il percorso di tutto
l'universo è prima nel ramificarsi passando dall'unità alla complessità
e poi nel ritornare invece dalla complessità all'unità. E' un grande
movimento cosmico che, come un respiro, si espande e si contrae.
Adesso andiamo avanti
Il giorno, le stagioni, la vita
Dopo aver così riassunto alcuni aspetti visti nei precedenti incontri,
possiamo estendere adesso l'indagine ad altre equivalenze. Questa volta
esse sembrano piuttosto banali, poiché conosciamo tutti le fasi del
giorno e delle stagioni. Non vogliamo però usarle come facili metafore
ma indicare in esse delle imprescindibili e profonde realtà, che ci
parlano dell'andamento ciclico del mondo.
Dove avevamo visto prima il tronco, poi il cuore, poi l'unità fra sentimento
e ragione, siamo qui in pieno mezzogiorno. Stiamo infatti guardando
la colonna a sinistra di una nuova tavola, in cui, sotto la linea centrale
del giorno, c'è la mattina, e prima di essa l'alba e infine la notte
che ha preceduto il sorgere del sole. Al di sopra invece c'è il pomeriggio,
la sera e la notte dopo il tramonto del sole. C'è una simmetria in questi
passaggi, come c'era nell'albero, nel corpo e nell'anima.
Inoltre, come in tutti gli schemi che ci hanno parlato del tronco, del
cuore e dell'anima, riscontriamo un fondamentale andamento ciclico.
Si arriva in cima e si ricomincia poi da capo. Ricordate la colonna
in cui si descriveva la costituzione dell'albero, che si concludeva
con la formazione del seme. Non possiamo riparlarne ancora, ma solo
rivivere in noi l'essenza di questo processo con cui si ricomincia un
nuovo ciclo.
Esso vale anche per le stagioni, in cui si passa dalla primavera all'autunno
e si trova, prima e dopo, l'inverno, così simile alla notte del ciclo
quotidiano e alla morte del ciclo della vita. Ma il nostro intento va
oltre, associando la primavera al sentimento , l'estate all'unione fra
sentimento e ragione, l'autunno alla ragione e l'inverno alla sua decomposizione.
Ma questi passaggi non sono così evidenti, e dobbiamo dapprima intenderci sui
termini che impieghiamo.
Quando parlo di sentimento, non mi riferisco al piano dei buoni sentimenti,
del voler bene a qualcuno ecc.
Qui il termine è impiegato in un'accezione più complessa, per indicare
tutto quello che ha a che fare con l'ombra, con l'oscurità, con la terra,
con la radice, con la generazione, la germinazione, con l'intuito. E'
tutto un mondo profondo e oscuro, quanto invece la ragione ha a che
fare con la chiarezza, la divisione, il linguaggio, le applicazioni
pratiche ecc. Ora, è intuitivo che occorre un equilibrio fra questi
aspetti, l'equilibrio che oggi è gravemente disturbato dall'andamento
della civiltà contemporanea, che in gran parte è una civiltà della ragione,
ragione scientifica, ragione materialistica, ragione economica. Tutto,
oggi come oggi, è misurato sul metro di questo tipo di ragione, mentre
si è gravemente trascurata tutta l'altra parte. E' bene che sorgano
perciò nel mondo anche forze che lottano per il recupero di questa parte,
in tante forme, come il risveglio del senso religioso, la new age, l'ecologia,
l'attenzione in generale alla natura, l'attenzione al passato storico.
Anche il passato fa in qualche modo parte del sentimento, anche se questa
lettura richiederà un approfondimento, che faremo in un'altra serata.
Se dal giorno e dalle stagioni passiamo adesso alla vita, scrivendo
un'altra colonna, vedremo che sulla stessa linea centrale del tronco,
del cuore, dell'unione fra sentimento e ragione, del mezzogiorno e dell'estate,
possiamo collocare la vita adulta. Essa esprime infatti la pienezza
del nostro essere, la centratura in noi stessi. Prima della vita adulta
c'era la giovinezza, e prima ancora l'infanzia, il grembo materno, così
come dopo c'è l'anzianità, la vecchiaia e la morte. Come dicevamo, tutto
questo è ciclico perché, dalla morte, si ritorna nel grembo materno
- io credo molto all'idea della reincarnazione - come dall'inverno si
ritorna alla primavera, e dopo la notte ricomincia un nuovo giorno,
in un andamento assolutamente ciclico. La sua evidenza è fuori discussione,
mentre può essere discussa l'analogia della reincarnazione, di cui non
esistono prove certe. Ma è appunto nell'analogia la migliore prova,
come quella che porta all'unisono i suoni di diverse corde. Che poi
la giovinezza somigli alla primavera, che l'anzianità somigli all'inizio
dell'autunno e la vecchiaia alla morte, sono cose che conosciamo molto
bene e su cui non occorre quindi dilungarci, per quanto possano essere
molto ricche di altre e feconde analogie.
La vita, la civiltà, l'arte
L'incontro di stasera ci porta adesso a fare un passo avanti. Prendiamo
l'ultima colonna, quella della vita, e paragoniamola con l'andamento
della civiltà e dell'arte. Il discorso è lo stesso: c'è un momento nella
civiltà con la sua pienezza, per esempio la pienezza della civiltà romana,
o del nostro Cinquecento, prima del quale c'era una civiltà che possiamo
chiamare "giovane", prima ancora una civiltà primitiva, e ancora più
indietro uno stato in cui non si può parlare ancora di civiltà, ossia
la natura stessa, ovviamente in diversi gradi di evoluzione. Al di là
invece del momento della civiltà piena ci sarà quello della decadenza,
e poi questa si accentuerà procedendo nel tempo, che sopraggiungerà
infine con la morte di una civiltà.
E' necessario che essa avvenga, se si vuole completare il ciclo e ricominciarne
uno nuovo, come sempre accade. Quando è crollato l'impero romano, con
la sua grande civiltà, si è ricreata in qualche modo la natura. Immaginate:
dove c'erano le città, sono spesso rimasti solo dei cumuli di rovine,
dove c'erano i campi arati sono ritornate le foreste, è ritornata la
natura, con la difficoltà delle comunicazioni, la divisione dei popoli,
che non parlavano più la stessa lingua e non facevano più parte di un
grande stato organizzato ecc.
Dopo la civiltà bisognava ritornare alla natura, così come accade nella
nostra vita, quando un uomo, che si è pienamente realizzato, non per
questo può permanere in tale stato ma deve morire, al fine di lasciare
spazio a una nuova nascita.
fig.7
Questo lo notiamo anche nell'arte. Anche nell'arte c'è questo momento centrale,
che è l'arte classica, come si vede in diverse civiltà. Va da sé che
lo collochiamo in parallelo con l'analogo momento di pienezza di una
civiltà, e in analogia con gli altri momenti centrali che abbiamo rilevato
in diverse linee di indagine: il tronco, il cuore, l'anima, il giorno,
le stagioni, la vita...L'arte classica giunge come il momento di maturazione
di un'arte, diciamo, "giovane", che era a suo turno preceduta da un'arte
arcaica e, prima ancora da una prearte, cioè un periodo antecedente
in cui l'uomo era molto vicino alla natura, immerso in essa, e non aveva
quindi ancora sviluppato quel tipo di attività e di relazione che chiamiamo
arte. (su cui potremo a lungo interrogarci in altri incontri).
Dall'altra parte invece, dopo l'arte classica, comincia la sua decadenza,
la sua diversificazione, come per esempio l'ellenismo e il barocco,
per giungere a un'arte che chiamiamo "vecchia" poiché stiamo parlando
delle diverse età dell'arte, quindi un'arte che, essendo ormai priva
del vigore della giovinezza, degli impulsi vitali della radice-sentimento,
diventa prevalentemente mentale. Segue poi una post-arte e così, anche
per l'arte, il ciclo si chiude.
L'arte e l'anima
Ma per capire meglio il discorso dell'arte, ricorriamo a uno schema
più completo perché esamina in particolare l'arte greca e l'arte europea.
Non lo guardiamo però solo di per sé, ma in relazione al paradigma iniziale
dell'anima, già visto in altri incontri, poiché non vogliamo tanto parlare
di storia dell'arte, peraltro in modo estremamente sommario, quanto
scoprire nell'arte lo stesso rapporto fra sentimento e ragione che è
il tema del nostro seminario.
fig. 8
L'arte greco-romana
Se pensiamo all'arte classica nell'antica Grecia (V° secolo) - avete
senz'altro presente la scultura greca, con la serenità e la perfezione
delle sue forme - io vedo appunto in esse un assoluto equilibrio fra
sentimento e ragione. Inteso come? Era allora il periodo anche della
ragione filosofica, pensiamo a un Platone, a un Aristotile, mentre,
per ciò che riguarda il sentimento, fortissimo nelle passioni espresse
nelle tragedie ma pressoché assente nella scultura, vogliamo indicare
soprattutto l'aderenza al mito, la radice di quella civiltà, ancora
viva perché l'arte arcaica e quello che si chiama il medioevo ellenico,
carichi appunto di questa carica numinosa, non erano lontani. Attribuisco
poi al termine "sentimento" anche il senso della continuità di una tradizione,
dell'apprendimento del mestiere, del contesto umano delle piccole polis
in cui lavorava l'artista greco, del mare e della terra integra in cui
esse sorgevano. A fronte di questa base, autentica come un humus vitale,
immaginate la splendida ragione dei filosofi, vicini alle verità prime,
come la filosofia dei millenni seguenti non sarebbe più riuscita ad
essere. E qual'era il perché di questa vicinanza? Era proprio l'unione
fra sentimento e ragione, che permetteva quindi, non solo la bellezza
delle forme, ma anche quella delle idee e la verità dei moti dell'animo
in naturale armonia e quindi in uno stato che definirei di risonanza
e consonanza con una dimensione spirituale. Gli Dei erano allora veramente
vicini agli uomini.
Prima del V° secolo c'era il periodo che si chiama "severo" perché,
mentre nelle opere arcaiche i volti delle figure erano atteggiati a
sorriso, nelle opere di questo periodo si vede invece un'espressione
più seria. A dire la verità, questo periodo non lo si conosce altrettanto
bene di quelli dell'arte arcaica e dell'arte classica, mentre conosciamo
bene l'arte dell'ellenismo. Con l'ellenismo l'arte greca è diventata
prima l'arte di tutta l'Asia minore e delle sue varie monarchie, e poi
l'arte dell'impero romano. Con questa diffusione si è verificato un
processo di allontanamento dalla purezza originaria dell'arte classica
e di divisione in molte tendenze che secondo i luoghi, i tempi e gli
artisti, tendevano a diversificarsi. Questo è stato appunto l'ellenismo,
che si è poi ampliato negli sviluppi successivi, sempre più frammentari,
sempre meno puri, sempre più corrotti finché, con le invasioni dei popoli
nordici, non abbiamo cominciato a inoltrarci verso la barbarie. Agli
ultimi sviluppi dell'arte romana e a quella bizantina possiamo associare
il discorso che facevamo sul linguaggio, il linguaggio in cui si sviluppa
e diversifica la ragione, perdendo così il contatto con la forza del
sentimento, così come, in un albero, l'estrema ramificazione suddivide
troppo l'apporto della linfa e ne riduce quindi il nutrimento.
L'arte che aveva prima una fortissima radice nel mito, qui diventa invece
molto legata a tale divisione e alla contingenza. Se ne sono visti due
risultati: da una parte l'arte romana, che si allontana dall'idealismo
dell'arte greca e diventa un'arte realistica; i ritratti mostravano
le persone come erano, in qualche modo come i nostri ready made o come
la pop art. Dall'altra, l'arte bizantina ci fa pensare all'arte astratta
di oggi. In un caso e nell'altro, si è abbandonata l'unità fra sentimento
e ragione e quindi fra cuore e ideale per cedere, o alle immagini dettate
dalla realtà, oppure alle immagini collegate a un'ispirazione astratta,
che fa appunto pensare a certi aspetti del linguaggio contemporaneo.
L'arte Europea
Il passo seguente è stato la barbarie, e dalla barbarie si è ricominciato
di nuovo con il ciclo che questa volta percorriamo nell'arte europea:
dalla barbarie è nata l'arte romanica, seguita poi dal Medioevo.
Anche qui, vedete come è evidente il rapporto con gli aspetti dell'anima.
Che la barbarie corrisponda all'oscurità è abbastanza ovvio, ma possiamo
leggerne lo sviluppo nell'arte greca arcaica e nell'arte romanica, che
hanno in comune questo rapporto con l'io profondo, in cui gli antichi
greci attingevano i miti - pensiamo ai grandi poemi omerici e alle tragedie
greche - mentre in Europa, millecinquecento anni dopo, sono sorti anche
qui gli eroi, i cavalieri - l'idea dell'eroe ritorna nell'etica della
cavalleria, sorta in questo periodo - e, egualmente, un fortissimo rapporto
con la natura. Si veda come vengono rappresentate nell'arte romanica
le piante, gli animali e le forme immaginarie che ad essi si riferiscono.
Da qui poi si passa al Medioevo, quello Europeo (di quello Ellenico
non sappiamo molto) che, volendolo associare alle funzioni dell'anima
del nostro schema, ci porta a parlare di "nutrizione", e perché? Perché
tutto quello che è venuto dopo, la splendida fioritura del Rinascimento
e del Cinquecento, è nato dalla "terra" del Medioevo, ne è stato nutrito:
una terra nel senso di una natura ritrovata e anche arricchita nel suo
humus dalla decomposizione della precedente civiltà. Il modo di vivere
della gente era poi molto semplice e legato al lavoro dei campi, alle
tradizioni, all'autorità religiosa e a quella feudale, e tutto questo
radicava l'uomo, facendogli in qualche modo riscoprire una sua verginità,
una sua nuova fecondità, che si era invece persa negli ultimi secoli
della civiltà romana. Mentre questa era diventata una grande civiltà
globalizzata e materialistica come la nostra, senza più radici, nel
Medioevo esse sono state invece ritrovate, e ne è stata nuovamente nutrita
la civiltà, acquistando il vigore necessario ai suoi futuri sviluppi.
Si è infine formato il Rinascimento che, dopo l'infanzia del Medioevo,
associamo alla giovinezza. Può sorprendere che lo associamo anche al
sentimento, ma perché? Perché c'è in esso una linfa, un sentimento che
viene dal Medioevo e che va verso la ragione. E' questo movimento che
ci colpisce nelle opere del Rinascimento e che ha una grazia, un sapore
di primavera. E' la ragione nascente che si dischiude come un fiore,
non la ragione dei frutti del Cinquecento. E' fatta di architetture
nitide, disegnate con una timida geometria, con una prospettiva appena
inventata. Ecco, il sentimento nutrito dal Medioevo ha generato una
ragione nascente, che si è poi affermata con il Cinquecento in cui,
come nel V° secolo dell'antica Grecia, si vede quella pienezza, quella
centralità che sono il segno dell'equilibrio fra sentimento e ragione...
Dopo, come era successo per l'arte greca dell'ellenismo, così, nell'arte
europea, c'è stato il barocco, che associamo non più al sentimento ma
alla ragione. Anche questo accostamento può sorprendere, perché l'ellenismo
e il barocco sembrano addirittura sentimentali. Con l'ellenismo non
si rappresenta più la perfezione degli Dei, ma delle scene tipiche,
di genere, o comunque movimenti ad effetto e scomposti, così come nel
barocco ci si allontana dalla classicità del Cinquecento per abbandonarsi
alla stessa esuberanza formale e inconsistenza interiore. Tutto questo
è dovuto alla ragione che si divide perché, finché essa rimane unita
al sentimento, fa un tutt'uno con esso, come fosse un tronco. mentre,
quando invece si divide, apre la strada alle passioni, alla sensualità,
alla sfrenatezza, che possono sembrare vicine al sentimento ma ne sono
invece la degenerazione. Un altro effetto della divisione della ragione
è quello dell'amore della materia: infatti una ragione unita e nutrita
dall'anima guarda all'ideale, mentre una ragione divisa segue le cose
più basse, come si vede anche nel nostro tempo.
Dopo il barocco, la divisione della ragione si accresce in modo esponenziale.
Non sto a parlare di tutti i periodi che si sono succeduti: il neoclassico,
il romantico che era un revival del gotico, l'eclettismo, i vari movimenti
dell'arte moderna ecc. ecc. , fino all'arte contemporanea.
Da una parte, questa sembra appunto caratterizzata dalle ricerche di
linguaggio, in questa estrema ramificazione della ragione che si opera
appunto attraverso il linguaggio. Non parliamo più con tutto il cuore,
con tutta l'anima di quello a cui noi crediamo, che è il nostro tronco,
la nostra verità interiore, non ci riferiamo più all'anima né sotto
forma di sentimento religioso né sotto forma di potenti aspirazioni.
L'arte contemporanea in gran parte è fatta sul linguaggio, sulla suddivisione
delle tendenze, delle correnti, sull'elaborazione del linguaggio di
per sé. Un artista, invece di rifarsi a valori perenni, oggi come oggi,
è sempre più sollecitato a affermarsi proprio in virtù di un certo tipo
di linguaggio, che lo distingua da tutti gli altri linguaggi in questa
babele che è il mondo contemporaneo. D'altra parte, si può dire che
l'arte contemporanea sia ugualmente caratterizzata dalla ricerca della
materia, il che non stupisce poiché è l'arte di una civiltà materialistica.
E' poi insito nella divisione della ragione che essa, nel suo ramificarsi,
affondi sempre più nella materia, come se la ramatura dell'albero a
cui l'abbiamo spesso paragonata diventi ormai simile a una radice che
si ramifica nella terra. Ma è un processo perverso che non nutre come
una vera radice, ma indica solo che viviamo nel tempo in cui l'albero
sta per essere rovesciato!
Purtroppo il passo seguente è la barbarie, con cui si richiude il
ciclo. Uno sguardo di insieme sul nostro tempo non può che riconoscere
la probabile fine del dramma. Quali saranno le nuove tendenze artistiche?
Ma avrà ancora un senso di parlare di arte quando, dopo, non ci saranno
che rovine? Più che di arte, sarà necessario che il mondo si ricarichi
di forze vive e che si ritorni alla fertilità della natura, e anche
dell'ignoranza, dell'ingenuità, dell'essere uomini interi, non contaminati
dalla polvere della civiltà, dalla polvere dell'informazione, dalla
polvere del linguaggio e di mille altri detriti...
Il ciclo e il suo superamento
Tutto questo mi sembra che possa essere visto come un ciclo globale
ed eterno. Cosa succede quando una civiltà arriva allo stadio della
barbarie? Ricomincia da capo, come le nostre vite: anche noi passiamo
dal grembo materno, dall'infanzia ecc fino alla vecchiaia, poi dopo
si ricomincia, almeno così io credo, con la reincarnazione. E questo
va avanti, va avanti...ma va avanti per sempre? O invece, come qui si
ipotizza, c'è un'altra funzione? Per esempio, guardando all'immagine
dell'albero, esso ha le sue radici, il suo tronco, la sua ramatura,
le sue foglie, è completo in sé; però, al di là della sua completezza,
accade qualcosa perché si possa poi ricominciare il ciclo: dall'albero
spuntano i fiori, da questi si formano i frutti e i semi, che rendono
possibile la ripetizione del ciclo. Ora, a me sembra che, anche su un
un piano di coscienza, quello della vita dell'anima, ci sia questa possibilità.
Oltre alla strada in cui, per quanto confusamente, prendiamo coscienza
della vita, della nostra esperienza, e poi moriamo, e poi magari, se
e quando rinasciamo, non ce ne ricordiamo più, ci può essere un'altra
strada o un punto del percorso in cui il ciclo salta e si passa a un
livello superiore: è quella che viene chiamata realizzazione spirituale,
realizzazione del Sé, fioritura suprema, che però è sempre a immagine
del processo naturale con cui sboccia il fiore.
E' quello che abbiamo visto prima. Come l'albero produce il seme,
il fiore, il frutto, così, nella vita dell'anima, oltre all'esperienza
che ci ha condotto dalla A alla Zeta, nasce un'altra pulsione, che è
quella adombrata dall'arte, dalla filosofia, dalla natura stessa: nasce
il momento dell'intuizione, e l'intuizione porta alla conoscenza, non
la conoscenza filosofica e tanto meno la conoscenza scientifica o economica,
io parlo della conoscenza dell'anima, conoscenza-consapevolezza: non
il sapere tante cose, ma il sapere chi si è, e questo può essere considerato
un po' come il discorso del fiore, del seme e del frutto. E' la stessa
cosa, solo che, mentre nel mondo fisico il processo è destinato continuamente
a ripetersi, nel mondo spirituale si può forse giungere improvvisamente
a una svolta: è quando l'anima acquista consapevolezza e, con l'intuizione,
perviene alla conoscenza di se stessa. Questo è il processo dell'individuazione,
il processo dell'iniziazione, il processo della santità, in una dimensione
che, come dicevo prima, va al di là della ragione, perché è la dimensione
dell'anima, e va quindi al di là anche della dimensione del tempo...
Ma, come esso accade in questa dimensione, così possiamo forse ipotizzare
che può verificarsi anche nella civiltà e nell'arte? Forse non è necessario
che le civiltà, una dopo l'altra, ripetano lo stesso ciclo, come fanno
le nostre vite? Può venire il momento in cui potrebbe nascere un flusso
- lo paragono all'intuizione mistica o poetica - capace di portare a
una civiltà spirituale, una civiltà finalmente basata sulla conoscenza,
in cui non avremo più il miserando spettacolo dei nostri politici, dell'arraffare
economico, della distruzione del pianeta, del conflitto fra mille cose
che vanno ognuna verso un'esplosione, ma ci sarà un'umanità saggia,
universale, ispirata a valori profondi e spirituali? La legge ciclica
che obbliga a un susseguirsi delle civiltà in una successione simile
a una spirale che ha in sé l'impulso verso un perfezionamento, ma senza
salti al di fuori della sua regola, penso che sia ineludibile. Ma il
fatto che, a livello dell'anima individuale, il salto - la "grazia"
- sia invece possibile, lascia aperta la speranza che esso possa essere
possibile anche a livello di civiltà, o ci sostiene almeno nel porlo
davanti a noi come un ideale. Esso ha anzi in sé la certezza della sua
realizzazione, sia pure attraverso il susseguirsi storico di molti cicli
di civiltà.
Nella vita, anzi in innumerevoli vite, dobbiamo fare le nostre esperienze,
in diversi contesti, con diversi intenti, in modo da far crescere sempre
di più in noi la coscienza di sé. Ma esiste un momento decisivo in cui
- si parla per esempio della resurrezione di Cristo, o dell'illuminazione
di un Buddha - uno riesce a uscire da questo ciclo per passare a un
livello superiore di coscienza.. Questo livello lo vedi nella natura
stessa: la vita di una pianta potrebbe anche essere considerata conclusa
in sé, indipendentemente dalla sua fioritura, ma il fatto che si produce
invece un fiore, un frutto, un seme, apre la prospettiva che è lo scopo
supremo della nostra vita: non solo la garanzia della continuazione
della specie sul piano fisico, ma il superamento su un piano spirituale
della condizione ciclica della nostra vita, la catena che gli orientali
chiamano la ruota delle rinascite, il samsara. Essi la prendono come
una condanna, poiché non c'è nessuna prospettiva gioiosa nell'idea di
rinascere continuamente, e tanto meno c'è nella visione cristiana di
un inferno o di un paradiso fuori dal mondo. La vera rinascita, la vera
resurrezione è appunto, lo possiamo sperare, a un livello più alto a
cui l'anima individuale può accedere, nell'attesa che possa farlo un
giorno l'anima dell'umanità intera.
Noi siamo come i pesci che vivono al di sotto del livello del mare,
siamo al di sotto di una dimensione che ci trascende. E come i pesci
non sanno che, al di sopra del loro mondo, ci sia l'aria, il mondo fisico,
lo spazio, l'universo intero.....così noi non conosciamo nulla di ciò
che ci sovrasta ma almeno ne intuiamo l'immensità.
E' per noi irraggiungibile? O basta forse un solo salto al di sopra
del pelo dell'acqua?
Dibattito
Vittorio M.
Grazie dell'attenzione ma, a questo punto, lavoriamo insieme. Avete qualche idea?.
Silvana O.
Intanto Vittorio, mi volevo complimentare e farti un applauso perché questo tuo filosofare è veramente pane
per la mia anima, e quindi ti ringrazio perché mi è piaciuto tantissimo.
Questo discorso del seme, e quindi della mutazione possibile, in fondo lo possiamo trovare anche nella
genetica. Tu hai fatto tanti esempi, nell’arte, nell’architettura, nelle civiltà, eccetera eccetera, ma in fondo si
può vedere la stessa cosa anche nei cromosomi che si ripetono da una vita all’altra, ma che possono anche
mutare. Il seme giunge ad un certo punto a una mutazione, facendomi così pensare a questo salto, questo
livello superiore che ci auspichiamo tutti possa arrivare al più presto, così che la nostra civiltà non ritorni alle
barbarie.
Vittorio M.
Ci sarà senz’altro un salto in una nuova civiltà, però io qui ipotizzo una civiltà ideale solo come meta, quella
di una realizzazione spirituale di tutta l'umanità. Oggi come oggi, però, posiamo solo pensare a una
prossima civiltà che nasca dalla nostra barbarie e porti un po' più avanti, attraverso un nuovo ciclo, un
processo evolutivo. Individualmente, può essere invece possibile un cammino meravigliosamente diverso.
Gesù sale al cielo, e un santo, un grande artista, un mistico, un filosofo, un uomo di bene, possono cercare
di imitarlo. Anche per chi non crede è chiaro che un tale Essere è l'esempio di un cammino che anche noi
possiamo e dobbiamo seguire. Chi accede a questo livello si fa seme di un 'umanità nuova, è una speranza
per tutti. Anzi, più che parlare di umanità, parlerei dell'universo intero. Se infatti concepiamo l’universo come
qualcosa che è proceduto da un’unità iniziale fino a un'estrema espansione. la grande speranza è che, da
questa, si ritorni all’unità iniziale. Possiamo percorrere anche una piccola parte di questo cammino, che è il
cammino dell'amore, l'amore che tutto riunisce in Dio, come Gesù ci ha insegnato.
Pat Sophie G.
Io immaginavo quella bellissima immagine che tutte le civiltà hanno avuto, del seme come figlio del sole,
come possibilità di nascita…Ed ecco allora il seme che ha in sé questa forza centripeta, per poter poi
trasformarsi in pianta, e lì allora la forza diventa centrifuga, va verso l’alto, e crea quel qualcosa, il frutto, che
è, sì, chiuso nella parte esterna, però è completamente aperto dentro di sé a una nuova vita. E questo è
meraviglioso. Se infatti pensiamo che proprio al seme hanno dedicato delle divinità, la Dea Cerere per
esempio, questa è proprio la dimostrazione di quello che nella vita viene a riformarsi continuamente,
sacrificandosi, nel senso bello della parola, affinché continui l’esistenza.
Vittorio M.
Sono d’accordo, questo è bello che tu l’abbia messo in evidenza, però tu mi parli del ciclo della vita che
continuamente si rinnova, mentre noi ipotizzavamo adesso che il concetto del seme, del fiore, che
corrisponde sul piano biologico a quello che tu hai descritto, valga anche ad un livello diverso. Il rapporto con
la divinità che tu evochi e soprattutto il senso sacro del sacrificio vanno in questa direzione.
Pat Sophie G.
Sì, perché il fine è poi nell'andare oltre, seguendo proprio il percorso che possiamo vedere anche nella
spirale del Dna. E' un'evoluzione naturale, che ci porta a una dimensione in cui l'individuo si fonde nel tutto.
Allora lì potremmo dire, forse, che nasce il Cristo in ogni individuo e quindi si crea il tutto.
Vittorio M.
A fronte di queste idee, che ci aprono a orizzonti vasti ma indeterminati, non vogliamo magari fermarci un po'
in qualche piccolo passaggio dello schema, per rendere possibile una discussione più concreta?
Ettore L.
A me interesserebbe chiarire meglio il rapporto fra Rinascimento e sentimento di cui hai parlato.
Vittorio M.
Come dicevo prima, una cosa che colpisce molto nel Rinascimento è la geometria, che è la forma principe
della razionalità, e sembra il contrario di quello che chiamiamo invece sentimento. Le parole indicate nello
schema non hanno un significato limitato e puntuale ma indicano un processo. Allora mi sembra che nel
Rinascimento sia in atto il processo che va dal Medioevo al Cinquecento, il processo quindi da qualcosa
che nasce dal sentimento, dalla terra, da una barbarie come abbiamo detto, verso una ragione matura, che
poi rivive in sé la classicità dell’antica civiltà greco-romana. E’ un periodo di passaggio, perché il
Rinascimento è il momento in cui, partendo dal sentimento, si va verso la pienezza della ragione.
L'immagine del fiore che si nutre della linfa dello stelo e sta per sbocciare è l'immagine più giusta di questo
processo. Anche quando associo il barocco alla “ragione”, sembrerebbe vero il contrario, perché il barocco
fa pensare a un movimento esuberante e passionale simile al sentimento, ma in realtà queste sono forme
che derivano dall'indebolimento dei freni della ragione, in seguito alla sua divisione. L’unica vera realtà che
ha una consistenza ed è centrale è quella del tronco. Prima, con il Rinascimento, c'era un movimento che
tendeva a questa centralità mentre dopo, con il barocco, il movimento va oltre, si divide e perde forza.
Carla S.
Gli stimoli in realtà qui sono davvero tanti. Questa tua costruzione così attenta al ritorno ciclico fa pensare un
po’ alla filosofia di Vico, o all’eterno ritorno che, su un piano religioso lontano dal nostro, è il samsara. Nel
cristianesimo, soprattutto in quello dell’inizio, il discorso dell’apocalisse, che viene sempre fuori in questo tuo
discorso, con la morte e il ritorno alla vita, era vissuto in realtà come una rinascita, addirittura l’apocalisse in
certi momenti era vissuta come una festa, c’era qualcosa che finalmente finiva e si dischiudeva un mondo
nuovo: ecco, era la rottura che rendeva possibile un mondo nuovo, più positivo.
Vittorio M.
E' proprio quello che penso anch'io
Carla S.
Di fronte a questa tua visione del mondo, così architettonicamente costruita e sentita, anche con il tuo
credere nella reincarnazione dell’anima - è una costruzione solida - non so quanto poi corrisponda alla
realtà, dove tutto è terribilmente diversificato e ramificato. Per esempio, ho sentito recentemente un’analisi
dell’albero darwiniano dell’evoluzione della specie: fino a qualche tempo fa, si credeva fosse un procedere
quasi come il tuo, per gradini e per ordine, e invece adesso è venuto fuori che non è così, cioè che anche la
nostra evoluzione umana non è avvenuta dall’ homo di Neanderthal all’ Homo Sapiens, ma sono tutti rami
diversi, che hanno portato a diverse evoluzioni, e la nostra specie attuale sapiens sapiens è quella che è
rimasta, perché le altre si sono tutte interrotte per strada, ma non c’è il famoso anello mancante. Ecco,
questa è l’ultima teoria scientifica sul problema dell’evoluzione umana.
Ora io, a questo punto della mia vita, con mille riflessioni del tipo della tua, con mille studi sull’arte e su tutto,
mi chiedo quali siano i punti a cui ci possiamo veramente appoggiare, se non a quell’oscurità di fondo delle
radici da cui veniamo fuori, e a cui certamente ritorneremo. Il discorso che poi ci riporta a quelle radici è
talmente complicato e diversificato, e in esso tutti i passaggi sono così veri - Hegel diceva: "solo il tutto è
vero, non una cosa soltanto" - che mi riesce difficile davvero a questo punto della mia vita avere delle
certezze, se non che il cammino è immenso e diversificato.
Vittorio M.
Ecco, sì: il cammino è immenso e sempre più diversificato; io qui sto solo indicando alcuni punti di una realtà
infinitamente più complessa...
Carla S.
...come il fogliame del tuo albero...
Vittorio M.
Sì, però l’albero, nonostante tutte le sue foglie, giunge ad una forma, ad una sua unità. E tanto più noi siamo
consapevoli di questa estrema differenziazione, che ci toglie ogni certezza , tanto più mi sembra urgente fare
il movimento contrario e riportarci ad un’unità. Non per dire "l’unità che io propongo nel mio schema è la
verità": No!, sto dicendo che ci sono due movimenti: tanto più ci si espande in un senso, tanto più è
necessario riportarci all’unità. Il senso totale dell'universo mi sembra che sia questo: un'estrema
espansione, e poi appunto, il ritorno all’unità in tutti i sensi, nel senso religioso, nel senso dell'amore, che io
riporto principalmente a questo bisogno di ritornare all'unità. Tu dirai che è una credenza, ma io penso che
essa sia una verità insita a tutti i livelli, essendo fondata sul movimento fondamentale: quello dello stesso
respiro..
Per esempio, si è parlato molto nel nostro primo seminario, "Il Lavoro Spirituale", della metropoli
contemporanea; io ho un’idea della metropoli molto rapportata all’idea del respiro, del nucleo, del cuore,
mentre molti mi dicevano: “ma no, il mondo contemporaneo è aperto, non si può più concepire una città con
un centro, ci sono molti centri, si è perso anche il senso di appartenere all'identità di un luogo, la nostra
identità è più da riferirsi a fatti sociali, culturali che non a una località fisica..." Cioè, da tutte le parti, si legge
una realtà centrifuga, e allora io dico: tanto più occorre pensare ad una realtà centripeta. Anche questo è il
senso in cui si parla del rapporto fra sentimento e ragione.
Carla S.
Sono d'accordo con te
Vittorio M.
Poi, c’è un altro discorso da fare: c'è l’espansione in tutte le direzioni, c’è l’apertura mentale indotta in
ognuno di noi da un'informazione diffusissima, dalla televisione, dalla specializzazione professionale in mille
campi, dalla conoscenza proveniente in modo continuo, esponenziale, ogni giorno in tutto il mondo, da
centinaia di migliaia di ricercatori. Ecco, a fronte di questo, tanto più bisogna rivalutare, recuperare quella
conoscenza dell’anima che non è espansa, è piuttosto concentrata, e che lego appunto al sentimento, nel
senso che ho cercato di spiegare, come un insieme di valori che, a fronte dell’espansione, guardino invece
alla concentrazione, a fronte del successo e del potere, guardino alla verità interiore, e così via.
E’ proprio un elemento fondamentale di riequilibrio del mondo.
Paolo M.
Ho due osservazioni da fare. La prima è questa: trovo convincente questa tua visione ciclica dello sviluppo
che hai delineato in diversi ambiti, nell'arte, nello studio delle civiltà ecc.; si potrebbero fare altri esempi di
questo, mi viene in mente il percorso analogo nella musica, in cui si attraversano dei passaggi simili, fino alla
melodia, all'armonia e alle tendenze contemporanee, che mostrano proprio quella diversificazione dei
linguaggi che tu noti nelle arti visive.
Fin qui sono completamente d'accordo. La seconda osservazione riguarda invece quello che tu aggiungi a
questo sviluppo, ipotizzando un salto a un altro livello con la metafora del fiore e del seme, che mi sembra
francamente un wishful thinking, qualcosa di posticcio rispetto alla struttura dell'insieme, che condivido.
Vittorio M.
Ma come puoi considerare "posticcio" il processo della fioritura che porta al frutto e al seme, che è invece un
fatto fondamentale per la continuazione della specie? Capisco che tale processo non possa essere
automaticamente trasferito al piano dell'anima e tanto meno a quello delle civiltà, ma l'intuizione ci porta a
stabilire una feconda analogia fra quello che accade nel mondo fisico, in cui non solo l'albero ma tutte le
creature producono il seme che permette la continuazione delle specie, e il cammino dell'anima umana che
giunge a un fiore interiore, a un frutto interiore, al seme di una nuova nascita: è il cammino
dell'individuazione, della realizzazione. Quanto a trasferire questo stesso processo sul piano delle civiltà, la
natura umana ce lo fa effettivamente apparire come un wishful thinking, ma diciamo che va visto come un
pensiero positivo, una speranza, un ideale per l'umanità.
Caterina B.
Quando parli di tutti questi cicli, non è vero che essi si ripetano sempre in una ruota senza fine. Ogni ciclo è
solo apparentemente circolare mentre, in realtà, è come una spirale, che segue quindi un processo
evolutivo.
Vittorio M.
Certo, è quanto abbiamo sempre detto, anche nei precedenti seminari a cui hai partecipato.
Caterina B.
Poi non capisco perché chiami mentale l'arte contemporanea. Mi sembra un'idea artificiosa. E perché parlare
poi di barbarie? Io avrei voglia idi togliere l'arte classica dal centro dello schema per metterci invece l'arte
contemporanea...
Vittorio M.
Chi taccia la mia interpretazione di "posticcio" e chi di "artificioso".. ! Tutte le interpretazioni, anche le vostre,
sono lecite, ma vorrei che fossero fondate e coerenti. Ti sembra possibile di scambiare a piacere dei concetti
come il tramonto e il mezzogiorno di una giornata? Quanto alla barbarie, è un termine estremo per indicare
lo stato di disgregazione di una civiltà, che prelude a un nuovo e più vigoroso sviluppo. Mi sembra che noi
stiamo vivendo oggi in questo stato che, appunto, è abbastanza simile a un tramonto...
Paolo M.
Forse a Caterina sembra che tu veda lo sviluppo dell'arte come un elemento di imbarbarimento. Del resto, è
sempre accaduto così quando, di fronte al nuovo, i conservatori hanno gridato allo scandalo e
all'imbarbarimento.
Vittorio M.
E' vero che accade spesso così, ma non è certo il mio caso.
Paolo M.
C'è un giudizio di valore in questa scala che proponi...
Vittorio M.
Non è di valore, sto parlando di oggettivi stati di maturazione, delle diverse età, delle diverse stagioni.
Quanto al prevedere una prossima barbarie, è un punto di vista ormai condiviso da molti. Per me, non è
neppure un punto di vista pessimistico ma è la percezione di un movimento cosmico. E' perfino una buona
notizia, poiché attribuisco alla "barbarie" una carica di rigenerazione, alla catastrofe la valenza di una
rinascita.
Silvana O.
Volevo riallacciarmi, quando tu parli di evoluzione cosmica, alla precessione degli equinozi. La nostra civiltà
è uscita dall'era dei Pesci ed è entrata o sta entrando nell'era dell'Acquario. Ogni era dura circa 256o anni,
per cui c'è una ciclicità, anche cosmica, nel movimento della nostra galassia, Con la precessione degli
equinozi, questo movimento ciclico procede, e lo fa come una spirale, non è un tornare indietro totale.
Vittorio M.
L'abbiamo detto prima, condividiamo tutti l'idea della spirale, ma quello che crea ora lo scandalo è l'ipotesi
che ci sia la possibilità di un salto al di fuori di questo andamento ciclico che, per quanto assimilabile a una
spirale evolutiva, è pur sempre la ruota delle rinascite a cui siamo avvinti. Questa possibilità è il Cristo ma la
si può vedere già configurata nel più umile fiorellino di campo.
Silvana O.
...a livello di intuizione
Pat Sophie G.
Vittorio, avrei una cosina da dirti. Pensiamo a una meravigliosa immagine, un fiore di loto, una rosa. Se noi
riuscissimo a vedere il tuo schema, che è apparentemente così rigido, semplicemente come questo fiore
che, naturalmente, secondo uno scopo di cui è incosciente, cresce e segue il suo percorso...noi siamo
esattamente questo, tutto è così, ma cerchiamo di arrivare ad averne coscienza. E' questa l'elevazione di cui
tu parli, che non è una speranza futura, è un continuo senza spazio e senza tempo. Se riuscissimo a non
vedere lo spazio e il tempo, a non immaginare un futuro ma a sentire la gioia di questa cosa che avviene
così, in sé...
Vittorio M.
Avviene per tutti e per tutto, ma avviene molto più radicalmente e intensamente in certi momenti e in certe
persone in cui veramente il fiore sboccia. Tutti gli altri vorrebbero sbocciare...
Pat Sophie G.
...ma non pensiamo neanche a questo, proviamo ad essere innocenti in questa cosa, è semplicemente
sentire che il fine è così in ogni individuo, nel tutto. Proviamo ad essere questo fiore.
Vittorio M.
Ma questo non può essere solo un convincimento personale, o un'auto-suggestione, e neanche possiamo
illuderci di essere al di fuori dello spazio e del tempo, se non in un'estasi mistica che sembra portarci in
un'altra dimensione. Ma se rimaniamo qui ed ora, non siamo ahimè un fiore mistico, ma al massimo uno
stelo che cerca di salire e di giungere, forse un giorno, al fiore. Il processo può prendere milioni di anni come
può essere istantaneo, ogni persona vi giunge a tempo debito, anche se c'è qualcosa che è indipendente dal
tempo, chiamiamola grazia, o illuminazione. E' appunto la speranza di poter uscire dal ciclo.
Maria P.
Noi abbiamo una personalità che ci accompagna e che fa i suoi giochini. Riuscire a superare questa
personalità, ad andare oltre è estremamente difficile (Vittorio, prigione) Ci sono dei circuiti mentali che ci
fanno fare più o meno sempre le stesse cose, anche a livello strumentale, emozionale. Per tutta la vita
proviamo sempre lo stesso tipo di sentimenti ma ce ne saranno infiniti altri. Però appunto il fatto di essere
imprigionati in una personalità...
Pat Sophie G.
Se noi non avessimo la nostra personalità, non potremmo neanche avere questi pensieri e cercare di aprire
una porta su qualcosa che va oltre, capire il significato dell'apertura, della nascita.
Maria P.
Però questo è un modo di pensare, mentre è difficile sentire a livello profondo, spirituale. Noi dovremmo
sentire ciò che pensiamo, e viceversa.
Vittorio M.
E' proprio l'unione fra sentimento e ragione, che è l'oggetto di questo seminario. In un altro seminario
dell'anno scorso, "Arte e Psiche", abbiamo molto parlato della chiusura nella "caverna" e della difficoltà di
uscirne: essa è la nostra stessa ombra.
Quanto alla personalità, penso che essa abbia due aspetti: da una parte, hai ragione, la personalità è una
prigione o una benda che ti nasconde la verità, ma dall'altra è uno strumento per vivere, agire, pensare. Noi
poniamo l'accento sulla necessità di liberarci della personalità, dell'ego, in un cammino di realizzazione
spirituale ma, avanzando in questo cammino, ci potremo anche rendere conto di andare incontro a una
personalità suprema, il nostro vero e divino essere. Egli esige che lasciamo cadere la nostra personalità
precaria, come un'incrostazione, una patina, ma solo per scoprire l'oro della vera personalità il Sé, che essa
ricopre e offusca.
Caterina B.
Stiamo parlando della ciclicità come prigione. A questo punto...
Vittorio M.
E la ruota delle rinascite. Certo che è una costrizione, una prigione, come è vero che la terra è obbligata a
continuare a girare intorno al sole. Potrebbe non piacerle, ma non c'è niente da fare. Noi dobbiamo liberarci
ma non immaginando di uscire a nostro piacimento dall'orbita. Il processo verso la liberazione è molto più
profondo, più che un uscire è un "entrare" in noi stessi..
Pat Sophie G.
Ma la prigione è solo questo: ili percepire continuamente la prigione. In realtà, il momento in cui cominciamo
a sentire che questa non è una costrizione, ma è una possibilità, che dobbiamo sentirla come fine e non
come prigione, la nostra vita cambia. Entriamo in un diverso sentire, con tutte le nostre facoltà, ed è un
sentire non la galera ma il fine, che è meraviglioso.
Vittorio M.
Questo è un po' un wishful thinking
Carla S.
E' nell'ordine del tuo pensiero, però, perché lei sta dicendo che, se ci liberiamo di maya...
Vittorio M.
...si, ma c'è modo e modo di farlo. Non basta dire: "dimentichiamoci di essere in prigione, ed eccoci liberi, la
prigione non c'è più". Gesù non si è dimenticato di vivere nel suo tempo, nel duro contesto
dell'incomprensione, del male, ma l'ha accettato integralmente, fino alla crocifissione. Egli si è fatto
letteralmente inchiodare alla realtà, anche se in lui c'era certo il "fine" divino. Ma questo fine, per realizzarsi
nel mondo, deve passare dalla realtà, entrare fino in fondo nella realtà, fino a uscirne e manifestarsi come un
fiore, che meraviglia!...ma si sa che i fiori nascono dalla terra e non per aria.