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C.1.1.14 |
il Lavoro Spirituale Arte come cammino interiore Incontro n° 9 del 20 maggio 2009 Conversazione di Andrea Del Guercio, Professore di Storia dell'Arte all'Accademia di Brera, in dialogo con Vittorio Mazzucconi, sul tema: Arte come cammino interiore |
Indice IL LAVORO SPIRITUALE |
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Nel dibattito sono intervenuti anche Caterina Bazzani, Patrizia Sophie Graja, Patrizia Gioia. Vittorio Mazzucconi Cari amici, grazie ancora una volta, come ogni mercoledì ci ritroviamo, anche se non siete sempre gli stessi. Non vorrei ripetere gli scopi di questa iniziativa, che oramai molti di voi già conoscono: su Internet ce n’è una documentazione abbondante, ci sono tutti gli interventi, c’è il programma di questo Seminario che ha il titolo di “Il lavoro spirituale”. Ho già tante volte spiegato che il lavoro spirituale è il lavoro materiale che facciamo e che quello che si richiede è un orientamento, un intento che si vive in modo spontaneo nell’opera degli uomini che ce l’hanno nel cuore, degli artisti, dei poeti, dei santi; mentre in altri, in noi tutti, bisogna un po’ ricostruirlo, ritrovarlo, essere aiutati in questa ricerca. Comunque, non è un seminario inteso come un esercizio di meditazione staccato dalla realtà ma, attraverso i discorsi che abbiamo fatto sulla città, sull’architettura e adesso sull’arte, vuol essere un impulso, non solo un richiamo a quello che io credo guidi la storia e la vita dell’umanità e della civiltà, ma un impulso concreto, in questo momento storico, di fronte al dilagare del materialismo, della dispersione dei valori, soprattutto nel campo dell’arte, per non parlare anche del campo dell’economia ecc, E' importante compiere un lavoro di riesame, di riordinamento, di orientamento interiore, che poi ci porta ognuno nel proprio campo a esprimerci in un modo nuovo.. Andrea Del Guercio Io sono stato colpito da questo ... Voi avete mandato gli inviti, me ne è arrivato uno e il viaggio interiore di cui parla mi ha incuriosito. Ho capito subito che c’era una corrispondenza, senza che noi ci conoscessimo, senza che conoscessi la tua attività. Diciamo che nel mio cammino interiore, ho incrociato questo tuo messaggio. Vittorio Mazzucconi E’ la prima volta che ci vediamo. Andrea Del Guercio E’ la prima volta, sì. Direi che il lavoro che svolgo, ritengo che non potrebbe fare a meno di questo. Nel senso che se non avessi per tutta la vita avuto questo tipo di atteggiamento, penso che non avrei speso correttamente la mia vita anche umana e professionale. Cioè la mia vita interiore è fatta anche dalle e-mail come la tua che mi è arrivata. La mia vita interiore si è costruita attraverso le cose che mi sono arrivate per tante strade, per cui vorrei provare a interpretare, a plasmare, perché ho sentito il tuo dubbio tra vita interiore e arte sacra ... potrei fare la lezioncina sull’arte sacra contemporanea, ma non mi sembra ce ne sia bisogno. Provo invece ad aprire un confronto tra appunto vita interiore, dove nella vita interiore l’azione di ricerca che poi si configura come professione è fondamentale, e vita. E' un binomio inscindibile per me. In questi luoghi, così complessi, nella progettazione e nella realizzazione, ho collocato delle opere d'arte, e mi sembra, dimmi se sbaglio, di aver colto una sintonia con la tua introduzione, cioè nel senso che delle opere che non erano destinate, all'origine dell'atto creativo, alla liturgia, dei quadri non devozionali, ma con i quali io provavo a entrare in sintonia nella prospettiva di andare a collocarli in un luogo così fortemente caratterizzato. Fa parte della responsabilità dell'atto critico, delle sue scelte, di spostare e collocare le opere. Io attribuisco un'enorme importanza al concetto di responsabilità, cioè nella collocazione, nell'installazione, inserisco la valenza concettuale dell'atto critico, cioè permetto all'opera di tentare, come farà un giovane, un ragazzo, un bambino, di reagire alle reazioni. Come un bambino, deve reagire alla novità del posto, come farebbe passando dalla pastasciutta a cui è abituato nella mensa scolastica al sushi, e così l'opera deve reagire, trovando in se stessa gli elementi della sua vita interiore. L'opera ha una vita interiore. A monte dell'atto creativo, dentro l'atto creativo, di cui forse lo stesso artista non era cosciente - nella vita non abbiamo coscienza di tutto - c'era al suo interno una parte di aura, di sacralità, di testimonianza, che le permetteva in quel contesto di reagire così. Naturalmente, questo tipo di discorso, io lo posso fare sui tratti delle funzioni in uso, devo ripetere quali sono, poiché certamente la complessità del luogo consacrato mi ha portato ad alzare moltissimo il livello della reazione, della risposta: La dialettica sarà fra l'opera e lo spazio ma soprattutto dentro l'opera e in rapporto alla fruizione personale. L'opera ha un percorso interiore suo che nel tempo varia, evidentemente come noi variamo nelle percezioni, nella sensibilità e nelle scelte tecniche, estetiche. L'opera viene messa in certe condizioni - come al ragazzo vengono offerte tante condizioni di crescita che tutte si sviluppano per caso - per accedere al luogo della conservazione, in una collocazione storica. Vittorio M. In primo luogo mi è piaciuta la definizione dell'opera d'arte come di un bambino. Quanto a me, la colloco un passo indietro: nei precedenti incontri ho parlato della nascita di un'opera d'arte come nasce un bambino, cioè il cuore da una parte e l'intelletto dall'altra, come fossero il femminile e il maschile, danno nascita a un'opera che deve essere viva. Non ho mai pensato all'aspetto che tu hai evocato, che l'opera poi col tempo possa rivelare sempre nuovi contenuti e avere una sua propria vita interiore, ma lo trovo giusto, al di là appunto del fatto che l'artista possa esserne consapevole o meno, perché l'opera segue poi la sua vita. Quindi, in questo senso, non avrei obiezioni sul fatto che l'opera, dopo essere nata in modo vero come reputo indispensabile, viva poi anche come un bambino, e che poi venga percepita, diventi adulta, viva nella società. Tuttavia sono sorpreso di sentir attribuire all'opera una vita interiore che, invece, nei pensieri a cui si ispira l'intento di questo Seminario, è il cammino interiore nell'anima dell'artista. Non vuol essere un'opposizione o un gioco di parole ma intendo il cammino interiore come un processo profondo, doloroso, di presa di coscienza di sé, del passare da pulsioni vitali, dal mondo dei sentimenti o anche dalle nostre costruzioni mentali, a una visione chiarificata, ascendendo e avvicinandosi a una vita spirituale. E questo mi sembra che faccia parte dell'anima dell'uomo e non dell'opera. Dovrebbe essere anzi il processo di qualunque essere umano, dalla nascita alla morte, ma che l'artista ha modo di esprimere in un manufatto, di oggettivarlo, in qualche modo partorendo qualche cosa come un figlio, in cui questo suo cammino, questa sua ansia prendono una forma che poi continua a vivere per conto suo. E' accaduto anche a me, certe cose fatte trenta, quarant'anni fa hanno avuto un seguito in contesti diversi da quelli che avevo immaginato, interagendo con essi.. Andrea D. Mi venivano in mente, è una cosa che cito spessissimo, delle parole di Mario Luzi dedicate a una cosa che tu conosci bene, che è Santa Maria del Fiore, il Duomo di Firenze. Luzi scrive un piccolo libretto in cui .mi ha insegnato che un'opera ha una vita interiore. Il padre e la madre lasciano al ragazzino gli elementi perché non solo cresca ... ”io sono in Santa Maria del Fiore, per secoli vedo uomini entrare ... ”a me personalmente interessa molto questa condizione, a conferma che lo spazio, che a sua volta ha accumulato nel tempo i segni del passaggio di chi l'ha vissuto, che sia barocco, neoclassico o quant'altro, è in un dialogo, un confronto con l'opera. C'è un sistema di relazioni che permette il venir fuori di cose che, nell'opera nata precedentemente, erano nascoste. Poi è chiaro che non tutte naturalmente sono opere scelte ... Vittorio M. Posso intervenire? Io sono Fiorentino, come diceva Dante natione, non moribus, e con Santa Maria del Fiore ho un sentimento particolare. Sono tornato a Firenze due, tre mesi fa. Che città meravigliosa, e poi i grandi uomini che hanno fatto Firenze, un Dante, un Brunelleschi, un Donatello, era come se li vedessi di persona! Mi sembra che tutti quanti abbiano espresso l'identità di questa città, la sua anima, e fra tutti, direi, troneggia il Brunelleschi che, con il Cupolone, le ha impresso un sigillo straordinario. Questo mi ha fatto pensare, non senza commozione, che anch'io faccio parte di questo popolo, per cui i pensieri che sono nati in me, le opere che ho fatto sono suggerite da questo stesso grande spirito, non in particolare dalla chiesa di Santa Maria del Fiore. Ho tuttavia un rapporto particolare con essa e in particolare con il Cupolone. Come stavo prima in modo molto sommario spiegando a Andrea, a proposito del mio progetto per un nuovo Centro di Firenze, io ho immaginato che, intorno all'incrocio originario dei suoi assi, che si riferisce non solo alla fondazione romana della città ma che è in fondo la croce, in un senso precristiano, nasca questo movimento in forma di spirale, fatta di successivi ottagoni, che, guardandolo dall'alto, è proprio come un fiore, è il Fiore, così io lo chiamo. (vedi scheda La Città Nascente) In quel momento, quando ho scritto un libro su questo progetto, mi ha colpito il fatto che questo edificio-fiore si chiamava proprio come Santa Maria del Fiore ... ma non è finita lì: anni e anni dopo, mi sono accorto che il Cupolone, che è come un bocciolo chiuso, nel mio progetto si è aperto. Il concetto di questa apertura viene dallo stesso impulso che opera in ogni pianta del mio giardino: quando viene il caldo, vuole fiorire, è come la nostra anima che, qualunque sia il luogo, che ci siano altari o no, reliquie o no .... c'è un bisogno insopprimibile della nostra anima ad aprirsi, fossimo pure in un deserto, fossimo pure in una stazione ferroviaria. La spiritualità è dentro, ma non solo come un fatto personale o come uno sguardo che vada al di là della realtà apparente, ma nel senso che dentro c'è una voce ... non solo nasciamo dai genitori ma nasciamo dallo spirito e in particolare dallo spirito di un popolo, da un'essenza, dal seme dell'identità di un luogo che è però anche cosmica, è il sé, è il Cristo, io sono molto sincretico ... E quindi trovavo non certo una coincidenza ma uno sviluppo necessario il fatto che questo bocciolo potesse aprirsi e, in tutti i sensi possibili, fiorire in una nuova nascita, in una nuova dimensione ... E' una cosa naturale ma, rispetto all'innaturalità di troppi aspetti del mondo umano, diventa un vero e proprio rovesciamento, simile a quello operato dalla fede . Andrea D. Le tue parole sono importanti ... non è tanto, non è solo come noi diamo corpo al luogo, come interagiamo col luogo, che esso sia antico o moderno, soprattutto consacrato, non solo a una religione ma anche consacrato a un evento, a una nascita, a un ospedale, alla morte, a un cimitero, alla scuola, allo studio, al supermercato, consacrato a valenze molto importanti (io da tempo vorrei trovare il modo di essere presente in un grande centro commerciale). Ciò che mi interessa è il rapporto fra un luogo consacrato (adesso parliamo di una consacrazione liturgica o anche solo teologica, come luogo della riflessione, della preghiera, dell'ascolto) e l'operatore, che sia l'artista, il curatore o il critico. Cosa succede quando si finisce alle 11, si chiude tutto e rimane l'opera dentro? L'architetto dice: nella mia architettura non ci devono stare le opere, non vogliono le opere nell'architettura moderna, ... tutto bianco! Ho fatto il Commissario in ben cinque concorsi della Conferenza Episcopale della Diocesi di Milano, nessuno vuol sentir parlare di colore, di opere ... bene, quindi queste opere rimangono da sole, cominciano a dialogare fra di loro, dialogare con gli spazi, con le vetrate, con le porte, con tutto questo sistema molto spettacolare che è l'aula liturgica. Abbiamo cominciato dieci anni fa a entrare in questi luoghi per studiarli, sono già cambiati, fisicamente, si è cominciato a spostare l'altare, le statue, cambiare le luci. Le opere che hanno questa grande possibilità sono come fiori a primavera, sbocciano ... se non c'è grandine, neve e, umidità, è un proliferare di fiori che sbocciano, anche sbagliando stagione. Questa è l'arte contemporanea. Vittorio M. Da quello che dici sto imparando ... la mia opera è nata ... ma non è mai uscita, un uscire che io reputavo come una cosa puramente esteriore, strumentale, magari attraverso una mostra di cui rifiutavo la futile occasionalità. Invece mi dici che da questi contatti nasce la possibilità di un'interazione, di trovare una coincidenza, una corrispondenza con altre sensibilità,.e questo lo trovo molto giusto Andrea D. Avevi forse un atteggiamento iperprotettivo. Molti artisti, soprattutto negli anni '70, tendevano proprio a non fare uscire le opere Vittorio M. ... non a questo punto, le immagini appese al muro della facciata dell'Avenue Matignon a Parigi (vedi Incontro 4) e di altre opere lo mostrano. Ho però la tendenza, non a tener chiuse in casa le opere per proteggerle come farebbe una madre col suo bambino, ma neanche a metterle fuori perché, in qualche modo, il processo del pensare, del sentire l'opera fino al suo compimento, mi impegna totalmente fino al suo termine naturale, come un frutto e al suo cadere dall'albero quando la sua maturazione è completata... e, dopo questo, già penso a un'altra opera. Quanto al percorso che l'opera può invece fare da sola, suscitando interazioni ecc ... non ci ho mai pensato. Magari, fra cento o duecento anni, finirò col diventare contemporaneo anch'io. Andrea D. Io non ritengo il Futurismo un movimento artistico importante. Ha presentato alcune utopie ed ha avuto alcuni autori. Globalmente non amo il Futurismo, anche se apprezzo certe opere di Boccioni o di Balla. Vittorio M. Questo è stato molto discusso. C'è stata un'insurrezione contro l'assunto che sia considerato contemporaneo solo quello che corrisponde a un certo linguaggio, i cui valori verrebbero fissati dalle istituzioni del sistema dell'arte ... Andrea D. Il sistema dell'arte non ha nulla a che vedere con la cultura dell'arte. Se penso al mio libro “Arte cristiana contemporanea”, arte contemporanea ce n'è tanta, arte cristiana ce n'è tanta ma arte cristiana contemporanea c'è solo quella. Così c'è tanta arte oggi che non è contemporanea:.dico questo naturalmente sotto la mia responsabilità, non ci sono dubbi... La citazione e l'iscrizione, ecco il primo elemento che io insegno. L'opera di citazione è quella che cita, che ripete, che usa frasi, strumenti che non sono iscritti in modo originale. Tornando al bambino, lo “iscrivi”, appunto, all'anagrafe. Certo, come un bambino, anche un'opera può avere dei riferimenti ai genitori, dei frammenti, ma è in sé una novità, ed è una novità aperta che deve ancora sbocciare, è in evoluzione la sua contemporaneità, il resto è citazione, grande nemica di tutta la storia dell'arte. Nell'arte antica, la citazione era imposta dalla committenza. Il povero Caravaggio era uno dei pochi che sapeva trasgredire... Vittorio M. Se non c'è tensione concettuale, non è opera d'arte e basta, che sia contemporanea o no! Cosa c'entra il contemporaneo, forse non si usa la parola giusta. Tu dici che ti interessa quello che aderisce all'esperienza di oggi, che non si attarda a citazioni del passato, che ha un'intensità espressiva, va benissimo ma il concetto di contemporaneo cosa c'entra?...ogni periodo della storia dell'arte è stato contemporaneo, l'arte vera è stata contemporanea, ma anche al di là del proprio tempo, ha raggiunto il perenne, ed è questo che oggi noi cogliamo nell'arte del passato e perdiamo invece in quella di un perenne fine a se stesso. Andrea D. Se confronto due vite del Vasari, quella di Duccio e quella di Giotto ... qual'è l'elemento che rende contemporanea l'opera di Giotto rispetto a quella di Duccio? Perché Duccio dipinge alla maniera greca, sta fermo, non si muove da Siena, è statico, mentre Giotto è come una stella del cinema, un giorno è, si direbbe, a New York, un giorno è a Padova, poi torna, fa il campanile ... Vittorio M. ... insomma un uomo di successo, una star! E' questo il concetto di contemporaneo? Io vorrei ricordare invece una visita alla Cappella degli Scrovegni, che non potei visitare perché non avevo prenotato. Dovetti così comprare un bellissimo libro, con i particolari di tutte le teste, fotografate profittando delle impalcature dei restauri, e le vidi così proprio come le fece Giotto, per poi lasciarle subito dopo senza rivederle mai più. Altro che uomo d'affari! Mi commuove pensare alla verità artistica e umana della sua opera, e anche a questo distacco e al seme lasciato per altre vite, per altre sensibilità. Questo mi aiuta a capire il discorso che facevi prima, che l'opera ha una sua vita...anche sette secoli dopo. Andrea D. Caterina B. Domanda: l'opera è viva partendo dall'intuizione dell'artista per finire alla percezione di chi la guarda? Andrea D. Il pensiero critico nasce verso la fine dell' 800 e si sviluppa attraverso una coscienza scientifica di sé, .ha una responsabilità ipoteticamente scientifica, si basa su documenti, su strumenti, su sensibilità, su soluzioni ecc. Perché questo ? Se Giovanni ha i calcoli c'è il chirurgo, è Andrea, che gli toglie i calcoli ma è Giovanni che guarisce e sboccia a nuova vita ... è come la realizzazione di un ponte che permette questo passaggio. Il concetto di responsabilità che mettevo in evidenza all'inizio, la competenza per svolgere questo tipo di lavoro fanno esplicitare la complessità vitale dell'opera. E' anche frutto del lavoro del chirurgo, dell'ingegnere che aiuta al superamento del fiume con il ponte ... c'è quindi una responsabilità scientifica anche se io sono a-scientifico perché, a differenza dello scienziato, uso uno strumento ambiguo, che è la sensibilità. Vittorio M. vorrei tornare a quello che dicevi parlando di Giotto e di un certo gesto del suo affresco ... io amo moltissimo Giotto ma non lo amo particolarmente per queste cose ma per la sua straordinaria unità espressiva, che poggia su una solidissima base umana, etica, realistica, icastica che ha in più la luce di una sintesi superiore. Che questa comprenda anche, in un senso molto umano, molto fiorentino, anche il lato più materiale, è vero e non solo in Giotto, basta pensare a Dante, però il lato della provocazione non è quello che mi interessa. D'accordo, questo fa parte della contingenza, si trova nella vita della gente, ma è ciò che è al di là di questa vita e del suo tempo che rende oggi ancora vivi Giotto e Dante, non l'attualità del loro tempo. Ma siccome oggi l'aspetto della provocazione assurge quasi quasi all'arte di cui più si parla, considerata arte appunto in quanto provocatoria ... quello che mi interessa nell'opera è la sua verità, la sua autenticità, la provocazione lasciamola da parte ... Andrea D. parlavo solo di una minima parte dell'opera di un Giotto, che indulge alla provocazione. La storia dell'arte moderna nasce con l'impressionismo, cioè con la sottolineatura, o con la cancellatura che fa Matisse La trasgressione è un elemento altrettanto importante, un elemento interno al sistema dell'arte ... Vittorio M. Si, ma un conto è l'opera che, per una sua profonda necessità, fa un gesto trasgressivo, fa parte della sua verità, può essere percepito dagli altri come una provocazione anche se, nell'animo dell'artista, non lo è. Nel momento però in cui attiri un'attenzione particolare su questo sberleffo nell'affresco di Giotto, come esempio di contemporaneità, mi viene in mente la forma di trasgressione e di provocazione contemporanea e ci tengo a marcare le distanze, è un fatto marginale legato al suo tempo, alla cronaca. Patrizia Sophie G. Mi rendo conto che nell'arte, più parliamo e più ci attorcigliamo ... contemporaneità non significa nulla, ci sono delle cose che esistono sempre e comunque in qualunque epoca. Perché non parliamo invece di arte universale, come quella che chiunque, in qualunque momento, sente, dal bambino all'adulto a te, quando si trova di fronte a qualcosa e dice: ecco, io lo sento ... come si può definire l'arte se non qualcosa che, in qualunque epoca, è come la vita, c'è tutto, ma non è questione di contemporaneità ... è qualcosa di assolutamente universale. Quando si dice “questo significa, quest'altro significa”, non so ma mi sembra che ne parliamo troppo e sentiamo meno se parliamo troppo, perché vivere..l'opera d'arte è veramente quel qualche cosa davanti alla quale tu percepisci te stesso, la tua interiorità e te ne senti addirittura l'operaio, l'artista, come quando leggi un libro e dici: questo sono io, l'ho scritto io, è la stessa cosa. Ecco cos'è l'opera d'arte, qualcosa che ci racconta ciò che tutti abbiamo dentro e ce la fa sentire. Al di là di questo, parlare di contemporaneità non ha alcun senso Vittorio M. sono molto d'accordo Patrizia G. Si, in ogni cosa c'è una verità, però credo che quello che diceva prima Andrea è proprio il senso della relazione. Io credo che, nel momento in cui io sono in relazione con quella cosa, è così come io sono che posso scoprirla. Universale si ma sempre universale in relazione con me, non col tutto. Su quello che è stato detto, a me sono venute in mente tre cose: relazione, premonizione ed essere degno. Pollok che ha messo la sua tela sul soffitto e che abbiamo tradotto come vetrata, ... cioè noi traduciamo dopo qualche cosa che sta avvenendo e che nemmeno l'artista è in grado di concepire. L'altra cosa è la relazione, il mettere qualcosa in uno spazio, in cui esso assume una valenza completamente diversa, nel momento in cui io entro dentro e lo posso guardare. Poi hai citato Luzi e io potrei aggiungere Viviani che parlava di.”essere degni” di quello che ci sta succedendo, di quello che andiamo a guardare. La fisica quantistica dice che la realtà esiste solo quando io entro in essa, la coscienza entra in relazione con la cosa ... mi sembra questo il senso di quanto dicevi Andrea D. Essere degno è un concetto che non mi interessa ... essere degno è non prendere rischi, io invece preferisco giocarmi tutto grazie alla relazione con le opere degli artisti. Universale ... è qualcosa che collettivizza tutto, una marmellata ... la prendo un po' con durezza perché qui ... tutto è buono, tutto è arte ... Il mio mestiere è di fare il chirurgo e dire “si fa così”, non sarebbe degno del mio mestiere dire altrimenti. Chi si rivolge a me per sapere se quell'opera è contemporanea, il che non vuol dire che sia bella o brutta, che piaccia o meno, io do la mia risposta. torna all'inizio dell'Incontro n° 9 il dibattito può proseguire on line scrivendoci: arcadelduomo@gmail.com |