Nel dibattito sono intervenuti anche Anna Carloni, Francesca Molinari, Luca Arditi
Vittorio Mazzucconi
Nel nostro ultimo incontro, avevo accennato al salone del mobile come a una manifestazione di creatività molto dispersiva e in un certo senso deviata rispetto all'impegno che gli architetti dovrebbero poter svolgere nella città e in progetti di vera architettura. Ma ho forse sbagliato bersaglio perché, proprio negli stessi giorni, vengono pubblicizzati i nuovi e grandiosi edifici in progetto a Milano. E' allora questa la vera architettura, la vera creatività di cui lamentavo la mancanza?. Sono le grandi opere di una civiltà adulta? Sono, finalmente, un'esplosione della vitalità di Milano? Intanto, bisogna dire che, per la maggior parte, sono opera di architetti stranieri: lungi da me il lamentare questo fatto ma, pur apprezzando l'apertura internazionale in questo campo, devo purtroppo confermare che gli architetti milanesi sono in gran parte confinati ad essere dei designers, in mancanza di sufficienti occasioni per fare l'architetto sul serio. Senza poi dire che così tanti e così ambiziosi progetti rischiano di far parte di una grande e episodica fiammata per l'Expo, che è poi anch'essa piuttosto a rischio.
Senza fermarci alla contingenza, mi piacerebbe qui dare uno sguardo di insieme molto sintetico all'architettura moderna e contemporanea. A grandi linee, ne collochiamo l'inizio nel razionalismo, che ha rifiutato le forme della vecchia architettura in nome di una ragione congelata e dell'amore per la macchina, a cui si pensava di equiparare la casa dell'uomo. C'era un rigore degno della Riforma nei profeti del razionalismo, fra i quali trovo però anche dei veri poeti. L'inizio di una nuova civiltà suscitava in molte anime e in diversi campi – basta pensare al futurismo - un grande e abbastanza ingenuo entusiasmo. In altra forma, lo si ritrova anche in chi seguiva invece la corrente dell'architettura organica, che avrebbe dovuto difendere un approccio più vicino alla natura, in difesa dell'uomo, della sua creatività, ma mi sembra soprattutto della personalità del suo fondatore, Wright. E poi? Le architetture dei regimi totalitari hanno rivestito il razionalismo di forme classicheggianti semplificate mentre, nel dopoguerra, gli imperativi economici, lo sviluppo industriale, il boom demografico ecc hanno cavalcato le idee dei primi entusiasti assertori per produrre su scala planetaria un'edilizia di pessima qualità, drammaticamente lontana dai valori ideali che avevano ispirato la vecchia architettura, non solo nei capolavori ma anche in opere mediocri, che tuttavia ci sembrano nobili o comunque umane in confronto con lo scatolame che è seguito.
Vale la pena parlare del post-modern come di un tentativo di uscire dagli schemi razionalisti? Mi sembra una parentesi abbastanza inconsistente, mentre un nuovo e vero sviluppo si è avuto solo con l'avvento del computer. Esso ha supplito alla sterilizzazione razionalista dell'immaginazione, ha sostituito un pensiero che tuttavia non c'era già più, ha permesso l'accesso a straordinarie tecnologie, ha sciolto la briglia a ogni genere di eccessi. In luogo degli onesti e sperimentati professionisti che avevano fatto la vecchia architettura e, sia pure con penose rigidità mentali, quella razionalista, ecco adesso le archi-stars sostenute dai media, i mega-incarichi, i politici a caccia di prestigio ecc: Non occorre guardare molto lontano: ormai essi dilagano anche a Milano, città abbastanza provinciale fino a poco fa, e che all'improvviso sembra esplodere in un'incredibile creatività architettonica. Ma ci siamo chiesti appunto se è vera creatività.
Io credo che ci sia vera creatività solo dove c'è una sintesi fra “sentimento e ragione”, ma cosa significa? Per “sentimento” intendo in questo caso la radice, una continuità storica, culturale, architettonica, portata avanti dagli stessi abitanti della città (e non degli edifici paracadutati dall'alto come nel caso dei grattacieli storti della zona Fiera) Per “ragione” intendo invece un vero pensiero sull'insieme della città, non solo un'analisi sociologica e territoriale, o la mera espressione di una politica, di un'economia, di un'astratta razionalità, di una tecnologia d'avanguardia, di ambizioni...
Alla sintesi di cui parlo, aggiungerei inoltre qualcosa di più alto: un intento spirituale. Ma devo fermarmi perché, con ogni evidenza, il mondo va in tutt'altra direzione. Agli antipodi di un radicamento locale non c'è forse la globalizzazione? Di pensiero non c'è poi traccia, l'economia è l'unica realtà, la politica è deplorevole, la ragione sempre più astratta e prigioniera nel labirinto dell'informatica, la diffusione universale dei media fa il resto, senza parlare della corsa al potere, all'arricchimento, al successo, oltre che alla distruzione del pianeta, al boom demografico ...
Che stupida cosa questo razionalismo che, giocando con quattro pensierini elementari sulla funzionalità, i pilotis di Le Corbusier e quant'altro, non ha assolutamente presagito le dimensioni dei problemi del mondo a cui ha portato appunto l'affidarsi alla sola ragione, a dir il vero una ragione ben limitata, con la conseguente separazione dal sentimento.
Guardiamo però ai nuovi progetti per Milano. (vedi scheda PROGETTI PER MILANO)
In primo luogo, va bene che si facciano dei grattacieli, se la vitalità economica della città li richiede e può permetterseli. Dove vanno fatti? Fuori della cinta dei Bastioni, ottimo. Già l'idea del Centro Direzionale nell'area delle Varesine, portata avanti fin dal dopoguerra, era nella giusta direzione, ed io ebbi modo di apprezzarlo nel mio libro su Milano. Questo libro vedeva però le cose più in grande, immaginando non una localizzazione in una sola area per i grattacieli ma lo sviluppo di tutto un centro a corona, come un anello intorno al centro storico. Metteva poi questa grande densità edilizia in rapporto con una super rete di autostrade urbane, proponendo per cominciare la realizzazione di quella dei Bastioni.
Senza una struttura stradale adeguata, è facile prevedere invece l'impatto disastroso sul traffico cittadino dei colossi che si vogliono costruire oggi.
Infine, ed è qui il punto essenziale, immaginava questi grattacieli, questa espressione di ricchezza e anche di una nuova monumentalità, come rivolti verso il centro della città, il centro interiore delle memorie, protetto da un parco anulare all'interno della cerchia dei Bastioni. In tal modo si metteva in rapporto una realtà economica e la sua più forte espressione con dei valori spirituali. Si diceva: ecco l'opera della “ragione” adulta e trionfante, ma ecco anche il ripristino e la tutela del “sentimento” della città, della sua radice, ecco il fecondo dialogo fra questa fondamentale coppia di forze, ecco l'impulso spirituale che ne è generato. Ricordate il diagramma della crescita che vi avevo mostrato nell'incontro n.3 ? In esso si vedeva che la densità urbana poteva crescere fino alla cinta dei Bastioni, per arrestarsi di colpo come davanti a una diga, mentre il diagramma di una crescita in costante accelerazione continuava anche al suo interno, ma in forma virtuale, significando così la crescita dei valori spirituali e non di quelli materiali.
Ma questa era la Città a Immagine e Somiglianza dell'Uomo, non la Milano affaccendata, non la Milano dell'Amministrazione Comunale e tanto meno, purtroppo, quella degli architetti e degli urbanisti. Quanti di loro avranno letto il mio libro e quanti l'avranno giudicato qualcosa di più di un'utopia? Quanti di loro erano ancora dei ragazzi quando io, in silenzio e con amore, lavoravo su queste idee per il futuro della città, anche se era un futuro che mi avrebbe completamente ignorato?
Eppure, l'utopia può orientare la realtà. Va bene che si facciano dei grattacieli, va bene che la realtà proceda per suo conto con l'azione delle forze in gioco, ma sarebbe ancora più bello che un pensiero illuminato potesse orientarne il corso, solo orientarlo, non condizionarlo, anzi aiutarlo, comprenderlo. Il mio progetto per Milano era uno sforzo per comprendere Milano, non certo per sovrapporre ad essa una teoria.
Detto questo, e tornando ai nuovi grattacieli, alcuni li trovo belli, altri meno, non saranno comunque più brutti di quelli attuali (fatta eccezione per il bellissimo grattacielo Pirelli) . Quelli della zona Fiera, ostentatamente personalizzati, saranno comunque edifici di valore, ma sorgeranno purtroppo fra l'opposizione degli abitanti e in un contesto urbano in cui piomberanno come alieni. I rendering ce li fanno vedere immersi in un parco, ma esso non sarà tanto grande da nascondere il rapporto con gli edifici della zona. I nuovi edifici hanno un'enorme scala che, a mio avviso, fa proprio parte del carattere auspicabile per un nuovo centro urbano, ma di quello futuro, di quello che io preconizzo nel mio progetto e a cui i piani urbanistici non pensano minimamente. Per il momento, e temo per sempre, saranno quindi delle cattedrali nel deserto, anzi dei segni più o meno storti nel deserto, simbolo di un'emergenza urbana, di una scissione, di una situazione sconvolgente.
Il problema vero dell'architettura, a Milano, non è comunque quello di questa anomalia, ma del redesign di tutta la città: dalle cittadine satelliti (che io vorrei federate nella metropoli) al suo centro. Un'architettura che sia in relazione con la natura, con la storia e con l'animo umano saprà anche rapportarsi alle esigenze della vita di tutti i giorni: abitative, scolastiche, di lavoro, di movimento. Un'architettura che sia quindi soprattutto “a misura d'uomo”ma in un senso molto più completo di quanto non si intenda di solito con un'espressione così banale. E chiederei la stessa misura anche agli architetti, oltre a competenza e umiltà. Ecco un'altra utopia!
Quanto al centro storico, va anch'esso ridisegnato ma soprattutto ripensato. Devo ancora una volta riferirmi al mio libro, ma sarà difficile che trovi dei sostenitori per le idee piuttosto radicali che ho sull'argomento (incontro n.3), e quindi vi propongo di terminare qui.
Dibattito
Anna C.
Ma, in questa carrellata sull'architettura milanese, non ci ha parlato del suo progetto dell'Arca del Duomo, che a me sembra abbastanza fuori misura anch'esso, rispetto a una piazza di cui apprezziamo la sistemazione attuale, magari non bellissima ma tutto sommato preferibile a nuove avventure...
Vittorio M.
Io direi che è piuttosto “non bruttissima” e che merita certamente uno sforzo di creatività, non così modesto come quello del design di un arredo urbano, o così schizzato come quello di chi proponesse un altro grattacielo storto in piazza del Duomo.. Ma vorrei parlarvi di un articolo del Financial Times in cui Milano è stata definita la Cenerentola d'Europa perché, a fronte di altre città sorelle, è rimasta molto indietro negli ultimi decenni, mentre adesso, con i nuovi progetti e l'Expo, chissà che non si svegli! E' a questo proposito che vorrei parlare dell'Arca, pensate un po'...come della scarpetta di cristallo che Cenerentola perse mentre, allo scoccare della mezzanotte, fuggì dal Palazzo del Principe. Ricordate che questi, disperato per la scomparsa della ragazza, fece provare a tutte le fanciulle del regno la scarpina, per trovare quella, l'unica, a cui potesse andar bene? Ecco: l'Arca è proprio la magica scarpina che va a pennello al piede di Milano! Le cattive sorelle, bruttine e un po' storte come certi edifici di cui abbiamo parlato, e la loro matrigna (vi lascio immaginare chi può essere).. avevano fatto di tutto per escludere Cenerentola, infatti la poverina è perfettamente sconosciuta al Financial Times, il cui articolista parla di tutti i nuovi progetti ma non dell'Arca, poiché si basa sulle informazioni ricevute dal Comune. Le sorelle bramavano ricchezza e potere, mentre Cenerentola era una povera ragazza, però con il cuore colmo di un sogno di amore. E' per questo che era baciata da una grazia speciale. Io oso quindi pensare che l'Arca benefici della stessa grazia, che viene appunto da un amore per l'uomo e la città, o da un afflato poetico, o da una fedeltà interiore, da una devozione, da una magia ...
Francesca M.
Se mi riferisco alla mini-storia dell'architettura moderna che ci hai raccontato – ci sarebbero anche tante altre cose da dire e, se permetti, non sono del tutto d'accordo con te sul modo un po' spiccio con cui hai menzionato, e direi liquidato Wright e Le Corbusier – non vedo bene come collocare la tua architettura, che mi sembra un linguaggio diverso e non riferibile né al razionalismo né ad altre correnti. Da una parte mi sembra molto preoccupata della storia, altre volte hai delle punte tecnologiche, nonostante il male che dici della tecnologia. Ci sono poi le barche – le chiami arche - con cui sei il solo a navigare...
Vittorio M.
La tematica dell'Arca o della barca, come dici tu, percorre in effetti tutta la mia opera, e potrei mostrartene molti esempi, ma sulla parete vedo adesso solo quella costruita in un luogo magico chiamato Lioran, nel Cantal.
Così almeno potei percepirlo quando fui chiamato a realizzare in esso una Sala Polivalente, (vedi scheda L'ARCA DELLE NEVI) e l'insieme del villaggio turistico adiacente, cercando di chiudere gli occhi su un condominio di venti piani che aveva offeso la bellezza del luogo: a parte questo, immagina una natura primigenia, con una prateria corrispondente al cratere di un antico vulcano, della cui corona sono rimasti i declivi e le vette tutt'intorno....
Quale tendenza di architettura avrei seguito nel progetto? A dire il vero, ho seguito solo il “sentimento”, ossia ho inconsciamente sentito la forza naturale di un luogo, in cui interviene la ragione di un progetto che sa però ascoltare i suggerimenti dei rami pendenti dai pini, o dei legni ricurvi delle slitte, o infine della falce di luna che splende nel cielo sopra la prateria...
La Sala è volutamente e in gran parte interrata in modo che le forme della sua copertura sembrino nascere dal terreno o toccarlo appena. Mi chiederai se mi sono preoccupato del rispetto del paesaggio, dell'integrazione in esso, della sostenibilità...
Si, certo, ma c'è una verità più profonda che il progetto vive e rivela: c'è un'identità con il luogo, una consonanza con la natura, con i pini, con la neve, con l'energia dell'antico cratere, con la luna.
Attraverso il loro linguaggio, passa poi un messaggio più profondo, che fa sì che una Sala Polivalente sembri una chiesa, o una nave la cui chiglia punta all'oriente come tutte le chiese. Dove il cuore e l'intelletto sono in accordo, si schiude la porta di un'altra dimensione.
Non è certo la dimensione di tendenze molto seguite. La mia Arca si erge solitaria, appoggiata su una montagna come l'Arca del diluvio, ma non spaventatevi, è solo una finzione poetica ,...ed è appunto della poesia in architettura che parleremo nel prossimo incontro.
Grazie
Luca A..
Scusa, forse abbiamo fatto tardi, ma il discorso sulle tue arche, da quella del Lioran che ci hai fatto vedere adesso all'Arca del Duomo, mi intriga. L'idea della nave ha affascinato anche altri architetti, mi viene in mente uno degli esempi più belli, la cappella Rochamp di Le Corbusier, ho visto di recente un progetto di Mario Bellini, anche Beaubourg è, a suo modo, una nave. Però tu attribuisci alla nave un senso apocalittico, come fosse appunto l'arca del diluvio. Pessimismo?
Vittorio M.
Ho parlato fin troppo delle mie vedute apocalittiche ma, se ti interessano le mie navi, ne ho un'intera flottiglia: Aix-Etoile, Les Halles, Saint Germain en Laye, La Défense, l'Opera, Nancy, il Fiore, l'Agora, Spreeinsel, la Biblioteca Europea, la Piramide del Palatino... fino all'ultima, che è appunto l'Arca del Duomo. Sarebbe difficile mostrarvele tutte ma se ne possono vedere alcune nelle schede ARCHE 1 e ARCHE 2, oltre che nel sito Internet.
Quale ne è il denominatore comune?
Il senso di navigare in un mare che è certamente grosso e in cui si rischia il naufragio. Ma anche l'idea di un'arca di salvezza. In tutti i progetti, la sua prua si dirige costantemente verso l'oriente, esprimendo così una speranza, un auspicio di rinascita. Il vero archetipo dell'arca è la barca celeste, la luna.
Altre volte l'arca sembra in cantiere (l'Opera, l'Agora, il Castello di Berlino). E' anche questo un messaggio positivo, che si sviluppa poi sempre di più: in quella di Firenze (il Fiore) che è appunto associata a una fioritura; in quella di Roma che è una grande vela; in quella di Milano che vuol quasi essere un nuovo battistero. Negli ultimi progetti, l'arca si fonde poi con l'idea di piramide rovesciata, in funzione di un impulso all'apertura spirituale.
Mi sembra quindi nettamente prevalente un'interpretazione positiva. Se anche si pensa al diluvio, alla catastrofe, l'arca è appunto un simbolo di salvezza e di un finale approdo di pace, di cui la colomba è l'annunciatrice.
Siamo andati del tutto fuori tema, dimenticando i mobili e i nuovi progetti per Milano, il razionalismo, le tecnologia, l'affarismo e quant'altro, ma forse è meglio così...
Grazie di nuovo, adesso è l'ora di andare a cena!
il dibattito può proseguire on line scrivendoci:
arcadelduomo@gmail.com