Nel dibattito sono intervenuti
anche: Silvana Olmo, Pat Sophie Graja, Gerardo Palmieri, Aviva Setton,
Danilo Gava, Francesca Maschietto.
Vittorio Mazzucconi
Stasera si conclude il Seminario, di cui riassumiamo adesso il contenuto
nelle grandi linee. In tutto il suo svolgimento ci siamo fatti guidare
dall'eros. Magari, quando abbiamo cominciato a parlare di eros, qualcuno
avrà pensato che vi avrei raccontato delle storie di amore e, in un certo
modo, è stato fatto anche questo, ma non avrebbe certo sospettato che
sarei arrivato anche a un'espressione religiosa. Nelle ultime serate si
è infatti parlato molto di Cristo, al punto di chiedersi che rapporto
ci può essere fra l'amore e la religione. Il rapporto è che, seguendo
la linea dell'eros, non solo si percorre il cammino della vita ma se ne
scopre il senso segreto. Attraversandone i vari stadi, che abbiamo messo
in parallelo con i vari miti di Euridice, Proserpina e Psiche, ci avviciniamo
alla conclusione che, come Psiche è assunta fra gli Dei, così la nostra
anima scopre finalmente la sua essenza divina. E questo, non mi stancherò
mai di ripeterlo, è il fine dell'esistenza di cui, nella nostra vita ordinaria,
scarsamente ci rendiamo conto. Quando si trova l'essenza divina si scopre
in noi il Testimone, il Sé interiore, l'essere superiore che è il vero
protagonista della nostra vita, al di là delle esistenze passeggere. E
quando si parla del Sé, o dell'Atman, come lo chiamano gli Induisti, si
può intendere anche il Cristo perché, nella nostra religione e direi anzi
sul suo piano più alto e segreto, Cristo è proprio il Sole dentro di noi.
Il passaggio dal nostro stato ordinario di coscienza alla consapevolezza
del Cristo in noi non si fa molto facilmente, non si fa con la meditazione,
con la riflessione, ma lo si fa incontrando un evento cruciale, come Paolo
nella via di Damasco che cadde ed ebbe una folgorazione. E' infatti molto
drammatico di riconoscere in noi questo essere. Se uno di noi scoprisse
di essere figlio di un Re, ne sarebbe certo gratificato e ne menerebbe
vanto, mentre il potersi chiamare figli del Re dell'universo, del "Padre
che è nei cieli" è una cosa molto difficile. Ci può sembrare un'idea astratta
ma, se la mettiamo in pratica, ispirandoci totalmente ad essa, ci appare
come la negazione di ciò che consideriamo la vera realtà, le nostre cose,
la nostra vita, tutto quello che noi crediamo vero e che invece si rivela
del tutto illusorio. L'altra volta c'era qui un quadro che, con i miei
scarsissimi mezzi pittorici - più io penso alla grandezza, alla bellezza
di queste prospettive, più trovo i miei quadri inadeguati - rappresentava
un uomo caduto dalla barca, la barca della vita, la barca dell'umanità,
la barca della storia, da cui cade l'uomo con le braccia aperte, proprio
come il Cristo nel gesto della crocifissione. E' la caduta del fallimento,
secondo il giudizio umano, la caduta della morte, ma anche quella di Paolo.
Il gesto delle braccia aperte - l'abbiamo detto tante volte - non è solo
un gesto associato a una resa dolorosa, a un tormento, ma è un gesto di
liberazione, di apertura, di esultanza. Ecco perché il nostro cammino,
sia pure con gli scarsi mezzi di bordo, ci ha portato dall'eros alla scoperta
del Sé interiore, aprendoci così la porta di una nascita spirituale.
L'ultima volta abbiamo parlato di questa nascita, c'è chi la chiama illuminazione,
conversione, io mi sono limitato a dire che la nascita sembra un evento
che accade così, all'improvviso, ma è in realtà lungamente preparato,
come si vede nella vita: quando nasce un bambino, ci sono voluti nove
mesi di concepimento, c'è stato un amore che ha portato ad esso; quando
sboccia un fiore, c'è stata una lunga elaborazione della pianta che ne
ha permesso la fioritura; c'è quindi in tutto questo un lungo processo
in ogni momento del quale si compie un passo verso la nascita. In ogni
momento di questo processo cerchiamo di aprirci, vorremmo nascere, anche
se ci sarà magari un momento "conclusivo" in cui l'apertura sarà manifestata,
sarà evidente. Ci "accorgeremo" come diceva una volta Pat Sophie, di esserci
aperti e anche gli altri se ne accorgeranno
Questa nascita come avviene? La prima cosa che mi viene da pensare è che
la nascita ha bisogno di un grembo, ha bisogno di uno spazio per nascere,
che in fondo è il grembo materno. Ne porterei però l'idea su un altro
piano, che è quello del vuoto, di cui abbiamo parlato tante volte. Quando
ci si avvicina all'incontro con il Sé interiore e poi si scava ancor più
in noi stessi, finisce che si trova il vuoto, come quando uno spella una
cipolla, strato dopo strato, finché scopre che nel suo centro non c'è
niente: non c'è niente ma c'è anche il tutto. Cioè, quando uno scopre
il vuoto, raggiunge qualcosa che è l'essenza, qualcosa che si avvicina
al silenzio, qualcosa che è una pagina bianca, non scritta. Ci sono tanti
tipi di vuoto: prima di tutto un vuoto interiore, che vuol dire fare dentro
di noi pagina bianca, cioè il contrario della testa che abbiamo di solito
piena, strutturata di idee, di teorie. Non potremmo certo ospitare in
essa un seme di verità, mentre dobbiamo invece coltivare, anche in un
senso Zen, la vacuità interiore, con la fiducia che da questa vacuità
uscirà....tutti i processi del mondo sono questo....è dal vuoto che nasce,
è dal nostro animo, dalla purezza del nostro animo che viene fuori...è
dal grembo materno che nasce il bambino! Questo vuoto lo si trova su diversi
piani: lo si trova in un un senso interiore come in tutto l'universo.
Lo si trova come un centro di energia , non solo in noi e nel tutto, ma
anche nelle nostre opere, come ho testimoniato in tanti quadri, e come
si può vedere anche nelle città, di cui vi ho mostrato l'ultima volta
alcuni progetti.
Quello che ho pensato per Firenze e per Roma si basava proprio sul concetto
di ritrovare un vuoto e di far nascere da questo una nuova vita. A Firenze,
ho proposto di demolire una parte del centro, un centro fasullo, non il
vero centro storico, ma quello che è stato rifatto fra ottocento e novecento;
mentre in un altro caso, a Roma, ho progettato un edificio sul Palatino,
dove tutto era già stato demolito da secoli. Quindi l'ingrediente per
creare il vuoto è anche la morte, non solo a livello individuale ma anche
a livello di civiltà, a livello storico, al punto che nel mondo in cui
viviamo, in cui siamo invece pieni, pieni di tutto, di gente, di macchine,
di costruzioni, di assurdità, e siamo inquinati da ogni punto di vista,
ambientale, culturale, dentro e fuori di noi....c'è da chiedersi quale
sarà l'evento che potrà ricreare il vuoto necessario per ripartire con
una nuova civiltà, perché si tratta di questo: di come rendere possibile
una nuova civiltà, una nuova nascita. Io penso sempre all'epoca in cui
è crollato l'impero romano. Era una grande civiltà, la gente viveva in
sicurezza, la magnificenza di Roma, la sua durata portavano i cittadini
a credere che essa fosse perenne.
Non solo poi la città di Roma, ma tutto il mondo conosciuto era civile
e organizzato. Possiamo però chiederci come vivremmo oggi se tutto questo
fosse ancora in piedi....saremmo sopravvissuti fra strutture del tutto
irrigidite, cadaveriche, come del resto già lo erano già negli ultimi
tempi dell'Impero o, a dire il vero, non saremmo neanche nati. . Quindi
questo straordinario mutamento di civiltà ha portato alla distruzione
di tutto un mondo, ricreando appunto il vuoto...le grandi città, sono
diventate distese di rovine, dove c'erano i campi aratri, sono ritornate
le foreste, popoli interi sono stati sterminati, si è creato insomma un
nuovo caos, un nuovo vuoto. Vuoto vuol dire anche oscurità, vuol dire
silenzio, è venuta a mancare anche la comunicazione, la parola della cultura,
ma è così, nel crollo generale, che si è potuto ricominciare da zero.
E' un processo indispensabile.
Venendo adesso alla nostra vita individuale, è la stessa cosa: non possiamo
certo immaginare la nostra vita come qualcosa che continui all'infinito,
con un aumento progressivo di conoscenza, di potere, di ricchezza. Ci
sono dei limiti precisi che fan sì che la nostra vita finisca, e perché
finisce? Perché proprio occorre ripercorrere il vuoto dell'inverno, della
morte, per poter poi conoscere una nuova vita. La metafora, anzi la realtà
quotidiana più evidente, è quella del giorno e della notte. Non potremmo
continuare le nostre giornate all'infinito e dobbiamo interromperle con
il sonno. Il sonno, la morte, sono un po' il nostro vuoto, Che poi questo
vuoto sia popolato di sogni apre un altro capitolo, in cui non possiamo
adesso addentrarci, un capitolo tuttavia che io ho molto vissuto nella
pittura e che mi ha servito come guida in questo cammino. Attraverso la
pittura, come attraverso i sogni, ho potuto vivere delle figurazioni diverse
dal vissuto reale, impegnato, apparentemente scucite una dall'altra, emerse
da un inconscio che è anch'esso un grande vuoto..e che vedo oggi allineate
come in un percorso interiore, che è quello della mia vera vita..
A questo punto, avrei diverse cose da farvi vedere stasera. Da una parte
una carrellata di qualche quadro, in cui è espresso questo vuoto, e dall'altra
vedremo che esso può essere trovato anche a livello di civiltà, di città.
Al termine di questo viaggio potremo infine mostrare qualche cosa, direi
un piccolo seme - non per nulla siamo in un seminario - che può germogliare
in ognuno di noi in altre circostanze, non solo nel nostro mondo interiore,
che sarebbe già molto, ma anche nella città. Il progetto dell'Arca del
Duomo che ho proposto per il centro di Milano è anche in qualche modo
un seme, un seme di uno sviluppo civile che immagino, ma non come una
cosa che si può fare oggi ma che potrà farsi in un domani, immaginando
- ripeto la parola - che la nostra civiltà arrivi a un tale stato di caos
parossistico che qualche evento la possa riportare a zero, in modo da
poter di nuovo rinascere. Allora, chi rinascerà in quel tempo si ricorderà
magari di quel seme che è stato messo....Proprio ieri era la festa di
Sant'Ambrogio, che ci ricorda il tempo in cui egli visse, alla fine dell'impero
romano, così simile al nostro. Quello che pensò e fece si è rivelato il
seme della civiltà che ha seguito...e di seme in seme, di civiltà in civiltà,
va avanti la continuità, la ciclicità del tutto. |