Nel dibattito sono intervenuti
anche: Roberto Provenzano, Pat Sophie Graja, Elisa Merli, Silverio Guanti,
Kendal Katzke, Alberto Fagioli, Gerardo Palmieri, Elvira Sciuto.
Vittorio Mazzucconi
L'ultimo seminario, per chi non vi ha partecipato, era dedicato al LAVORO
SPIRITUALE, un titolo che poi mi ha fatto accusare di fare qualcosa di
vagamente o dichiaratamente confessionale. L'intento spirituale a cui
io penso è tutt'altro: è qualcosa da recuperare nelle nostre azioni, nei
nostri pensieri, in un modo legato alla nostra vita, al nostro lavoro.
E' però molto importante che, nello stesso tempo, il nostro fare si orienti
appunto verso un intento spirituale, un intento che vada al di là della
contingenza, al di là degli interessi di un materialismo dilagante. Questo
intento è stato seguito in una serie di incontri, in diversi cicli, uno
per esempio dedicato alla città, come la città deve essere ripensata e,
direi, rifondata, un altro dedicato all'arte, concepita non come fiera
delle vanità, come lo è purtroppo molto spesso, ma come cammino interiore,
un altro dedicato alla filosofia, intesa a ritrovare i fondamenti dell'essere.
Insomma, in ogni campo, è proprio questo che va fatto: ritrovare un fondamento
interiore.
Va da sé che, per quanto abbiamo fatto tre incontri per ognuno di questi
temi, quindi dodici in tutto, si è in realtà appena iniziato il lavoro,
che vogliamo invece adesso approfondire con altri seminari che si occupino
di un solo aspetto. Il Seminario che comincia oggi, dal titolo ARTE E
PSICHE, si occupa dell'arte ma non in un modo specifico, critico, per
addetti ai lavori, ma come lettura, attraverso la pittura, della vicenda
dell'anima. La vicenda dell'anima umana è quella che ci fa nascere, ci
fa attraversare mille difficoltà e ci fa infine morire, senza che noi
sappiamo bene per quale scopo tutto questo viene fatto, per cui il lavoro
da compiere per cercare di capirlo, anche se nella limitata misura delle
nostre possibilità, è molto ma molto lungo e anche questa volta, per quanto
possiamo provarci ripetutamente insieme, potremo a malapena cominciarlo.
Occorrono infiniti tempi, infinite incarnazioni, a cui io credo, per riuscire
ad avvicinarci all'uscita dalla caverna.
Il tema della caverna è appunto quello di stasera: LA CAVERNA OSCURA.
Ovviamente ci ricordiamo tutti Platone, che diceva che viviamo in una
caverna e che quello che vediamo non è la vera realtà ma è solo un riflesso,
un'ombra della realtà spirituale, quella delle idee, che è al di fuori,
e questa penso che sia sia proprio la condizione in cui viviamo. La vita
è così bella, piena di colori, di speranze, di gioia, che ci riesce difficile
ritenere che sia una caverna. Invece lo è proprio. Se pensiamo alla vastità
dell'universo, di cui abitiamo un'infinitesima parte, o all'infinità del
tempo di cui ugualmente viviamo solo un attimo, è facile capire quanto
siano limitate le nostre esperienze, le nostre conoscenze. Questa limitazione
è appunto quella di un involucro, di una caverna che ci separa dal tutto.
Se pensiamo poi a questo tutto come luce, è evidente che siamo nell'oscurità.
Se pensiamo a una coscienza universale, a una divinità che sia il senso,
la realtà del tutto, aveva ragione Platone nel ritenere che, durante la
nostra vita nella caverna, ne vediamo a mala pena delle ombre. Tutti i
nostri movimenti, tutto il nostro lavoro, seguono nondimeno l' impulso
di tendere verso la luce. Questo lo fa ogni creatura, lo fa un fiore che
si apre, una farfallina che va verso la lampada, lo facciamo tutti.
Ora, io non sono uno psicologo, altri potranno parlare meglio di me della vicenda dell'anima umana, ma io ho avuto la ventura, la possibilità di usare un medium particolare per sperimentarla, che è la pittura. Posso così
vedere tutti i quadri di trent'anni come fossero altrettanti sogni, allineati però in sequenza come è difficile che lo siano i sogni, e poi tutti presenti, osservabili, visti da punti di vista che mutano nel tempo, integrati in una visione di insieme e in una crescente consapevolezza. Che cosa mostrano questi quadri? Un lavoro abbastanza duro, prima per riconoscere la propria ombra e poi per cercare di uscirne. Perché quando si parla di caverna, si parla proprio di ombra. Ognuno di noi non ha solo una parte bella, luminosa, giovane, gradevole, abbiamo anche una parte oscura. Noi viviamo in uno stato di dualità, le cui parti sono inscindibili: come c'è il corpo e l'anima, come c'è la luce e l'oscurità, il bene e il male, il maschile e il femminile ecc., così in noi non c'è solo il bello ma anche questa parte profonda e oscura. Ora, si dice, e io lo credo fermamente, che il cammino verso una liberazione interiore, verso un'ascesa spirituale, è possibile solo se si riconosce prima la parte oscura che è in noi. Bisogna cioè rendersi conto di essere nella caverna, per poterne poi cercare una via d'uscita. Se invece preferiamo illuderci che la vita sia una situazione di felicità, senza problemi, e viviamo quindi superficialmente e senza porci troppe domande, finché non giungiamo alla morte, non avremo fatto molti progressi in un cammino di consapevolezza, che è il cammino spirituale, verso il vero destino dell'uomo.
Ora, una lettura della caverna che mi ha molto preso è quella del grembo materno, perché anche il grembo materno è una caverna. Quando noi nasciamo, usciamo da questo primo ambito protettivo, in cui si annuncia il tema, il movimento fondamentale di tutto il nostro essere, e non solo in questa vita. Noi siamo continuamente generati, continuamente nati, prima usciamo dal grembo della nostra madre, e poi un giorno usciremo dal corpo fisico e poi usciremo....Anche l'uscita dalla caverna che ricerchiamo sarà una nascita, la vera nascita anzi di cui quella del bambino dal grembo materno è la prefigurazione. Ogni nascita è un uscire da un precedente stato di esperienza e un iniziarne il successivo. Di fase in fase, tutto il cammino dell'universo ci appare come una continua nascita, che è anche alternata a una continua morte. C'è quindi un ritmo ciclico che anima l'universo.
Ora, uno dei modi per conoscere l'ombra, anzi direi il modo principe, è proprio quello di avere un rapporto con l'eros. Almeno, così è accaduto nella mia esperienza personale: una volta avevo una piccola famiglia, conducevo una vita molto equilibrata, serena, facevo anche dei quadri ispirati a delle geometrie, a degli ideali astratti, ma è solo quando ho incontrato l'eros e ne ho vissuto la sofferenza, che si è rotto il velo e mi sono reso conto dell'oscurità. L'eros è la forza che ci sbatte nella caverna ed è anche la forza che ci può far uscire da essa, come il propellente del viaggio della vita. E' questo che fa funzionare il mondo. Noi lo chiamiamo amore, quando è evoluto, quando è portato su un piano di relazione o addirittura di realizzazione spirituale, ma la forza primigenia è l'eros, la forza pura, prorompente, che fa attivare gli esseri, il fuoco che serve a vivere, a morire e a cercare l'uscita dalla caverna.
Questo contatto con l'eros l'ho vissuto diverse volte. Cosa è successo? L'eros ha suscitato un amore, poi per motivi contingenti o anche più profondi l'amore è terminato, e quindi mi sono ritrovato in una situazione simile a quella di Orfeo che va alla ricerca di Euridice. E' questo il primo mito che si presenta e che verrà sviluppato nell'incontro di Mercoledì prossimo.
Euridice muore per un accidente, il morso di una vipera. Nei nostri rapporti amorosi può succedere la stessa cosa, perdiamo l'amore per qualche motivo apparente o anche casuale, ma la ragione vera per cui lo perdiamo è tutt'altro che casuale. Orfeo va disperatamente alla ricerca di questa creatura, che non incontrerà mai più. C'è un momento in cui si dice che gli Dei acconsentissero a che Euridice uscisse dagli Inferi seguendo Orfeo, a patto però che egli non si voltasse a guardarla. Orfeo invece si voltò ed Euridice scomparve all'istante, persa per sempre. Una tragedia di cui per ora non comprendiamo bene il significato.
Questa discesa agli Inferi di Orfeo è proprio quello che mi è accaduto di sperimentare. Chi vive un amore fortunato magari non conosce questa esperienza. Chi invece la vive e chiede magari l'aiuto di uno psicologo, può addentrarsi in un mondo molto complesso, che non possiamo qui esplorare, ma la bellezza del mito antico è ancora quella che ci parla di più: è la Discesa agli Inferi. In un'altra chiave, pensiamo a Dante che, nella Divina Commedia, ci ha mostrato che non c' è via verso il Paradiso se non passando dall'Inferno, non c'è via verso l'elevazione spirituale se non passando dall'oscurità. Questo è il senso della vera esperienza, che va al di là dell'analisi del lutto, dei complessi di colpa e di altri temi che vengono sviluppati dalla psicanalisi.
Quando poi questo ciclo finisce, mi è accaduto di vivere per un lungo
periodo senza amore. E' come essere senza luce, senza colori, lo sappiamo
tutti. Dopo che siamo usciti dagli Inferi e non ne viviamo quindi più
i tormenti, non per questo siamo felici. Felicità è una situazione di
pienezza mentre, in questa fase, viviamo piuttosto una situazione di mancanza.
Ci manca evidentemente una compagna o un compagno, ma la vera mancanza
non è solo questa: è come la mancanza della luce del sole. Nell'esperienza
interiore di questa vita senza sole, senza vita, senza calore, si affaccia
però un'altra luce che ci soccorre, la luce lunare, cioè un'altra dimensione,
una dimensione in cui appaiono gli Dei, in cui si stabilisce un rapporto
con Osiride, che è la guida dell'anima nell'aldilà. Non si vive più una
sofferenza acuta ma la sua elaborazione come in un sogno. Questo stato
può essere assimilato se volete alla luna, che gli antichi ritenevano
fosse il luogo di soggiorno delle anime dei morti.
Passato questo periodo, può risorgere l'eros come, passata la notte, di
nuovo c'è il mattino. La vita è ciclica, ogni mattina il sole sorge di
nuovo, e così accade quando ti innamori di nuovo. Ricominci a sperare,
a vivere, conosci di nuovo la felicità di avere una compagna, un compagno
ma ancora una volta, per un qualche incidente, l'amore finisce. Questa
volta l'incidente è quello che potete riconoscere nel mito di Proserpina.
Questa bellissima fanciulla suscita l'amore di Plutone, il dio degli Inferi,
che viene e la rapisce. E' un mito profondissimo, straordinario. Questa
creatura viene strappata alla vita, alla madre Demetra che disperata la
cerca, finché si giunge a un equilibrio, una forma di coesistenza fra
il giorno e la notte, fra l'estate e l'inverno, fra la vita e la morte.
Proserpina passerà una parte del suo tempo negli Inferi, come loro regina,
e l'altra parte la passerà nella vita. Così è la natura: d'estate è come
se Proserpina ritornasse alla vita e d'inverno è come se Proserpina ritornasse
negli Inferi. Con questa soluzione, mentre la vicenda di Euridice era
senza speranza, si giunge nel mito di Proserpina a un compromesso, la
parola è brutta, ma diciamo che si giunge a separare la vicenda dell'estate
da quella dell'inverno, la vicenda della vita da quella della morte, e
in sostanza il corpo e l'anima. Mi è accaduto allora di dipingere la separazione
dalla mia donna come una metafora di un evento ben più grande: la separazione
fra corpo e anima. Era come se io mi dividessi, sperimentando quanto è
temporaneo il ricongiungimento operato dall'amore fra due persone, come
lo è quello fra materia e spirito, che è operato dalla vita.
Non ho però sentito questa separazione come il dramma senza rimedio della
perdita di Euridice, ma l'ho piuttosto vissuta come una nuova consapevolezza.
In un mondo di dualità, è importante distinguerne i poli, comprendendone
così le forze e perfino imparando a dirigerle. Ho imparato da questo dolore
che, anche nella totale oscurità, ci si può orientare. Non potremo uscire
del tutto dalla caverna ma potremo farlo, in un certo senso, a fasi alterne,
come Proserpina. La mia anima, separata dal corpo, impara quasi che può
entrare in esso o uscirne con una certa libertà. L'anima è così libera
di conoscere altri amori, di vivere le estati della vita, pur sapendo
che ad esse seguirà il gelo di altrettanti inverni. Apprende insomma a
non subire la vita, con la sua infinita ripetizione del ciclo dell'amore
e del dolore, ma a sperimentarla, diciamo, in un modo creativo. Ci sono
molti miei quadri che esprimono questo passaggio.
Il cammino è molto lungo, farà oggetto di tutto il Seminario ma volevo
raccontarvi un ulteriore passo, quando poi finalmente, dopo la fine dell'amore
e anche di questo periodo senza amore, si rinasce di nuovo, come continuamente
rinasciamo ogni mattina, in ogni infanzia, o in ogni vita. . Questa volta
l'amore si presenta, appunto, come la storia di Amore e Psiche. E' una
storia molto diversa dalle altre. Non è che io, dipingendo, pensando o
vivendo, facessi riferimento a questi miti. E' oggi che ne parlo come
un modo per spiegare una realtà che ho vissuto intensamente. Ma qual'è
in due parole la storia di Eros e Psiche? Psiche era una fanciulla meravigliosa,
tanto bella che nessun uomo osava avvicinarsi a lei e chiederla in sposa,
non solo, ma veniva fatta oggetto di adorazione come fosse una Dea, le
facevano offerte, sacrifici. Venere si offese, non poteva sopportare che
questa mortale usurpasse il suo posto, e quindi cominciò a perseguitare
la povera Psiche. Chiese anzi al figlio Eros di andare dalla ragazza per
farla innamorare, ferendola con la sua freccia, dell'uomo più brutto,
più villano di questo mondo, in modo da punirla di questa sua bellezza.
Senonché, quando Eros si trovò di fronte a questa fanciulla meravigliosa,
si innamorò a suo turno e quindi nacque fra i due una storia di amore.
Però lui non poteva mostrarsi, per non incorrere nelle ire della madre
e quindi trasportò Psiche in un palazzo misterioso, in cui ogni notte
andava per congiungersi con lei, ma faceva in modo di non essere veduto,
era un dio e non poteva essere visto da una mortale. Psiche godeva di
questo amore meraviglioso, anche se non non poteva vedere il suo amante.
Però, poverina, poiché, oltre alle notti di amore, passava dei giorni
sola sola in questo palazzo, chiese di poter far venire le sue sorelle
per farle compagnia. Le sorelle arrivarono e cominciarono a dire: ma tu
ti stai facendo imbrogliare, com'è possibile, questo dice di essere Eros,
di essere bello e magari è invece un mostro, l'hai mai visto? No. E perché
non si fa vedere? Ma, dice che non si può ... Ah, è chiaro che c'è qualcosa
sotto, sei in un pericolo gravissimo ... Fatto sta che la montano finché
lei, poverina, una notte si arma di una lampada e perfino di un coltello
pensando ... quando lo vedrò grazie alla lampada, se è un mostro che mi
attacca, io con il coltello potrò difendermi e ucciderlo. Così accende
la lampada, ma una goccia del suo olio cade sul corpo di Eros, che si
sveglia di soprassalto e ... sparisce. E' svanito l'incanto. Da quel momento
succede qualcosa di tremendo. Psiche vive nella disperazione per la perdita
dell'amato ed è anche perseguitata da Venere che in tutti i modi cerca
di nuocerle, e Eros stesso non dimentica questo amore e riempie l'universo
del suo dolore. Finalmente questi lamenti arrivano agli orecchi degli
Dei, che si interpongono, la cosa finalmente viene risolta e i due ritornano
insieme, ma non in un modo banale, come in una storia a lieto fine. Tornano
insieme perché Psiche è accolta fra gli Dei.
E questa è la storia dell'anima
umana che, grazie ad Eros, vive, ama, soffre, sviluppa le sue più alte
potenzialità, come uno strumento musicale che Eros fa vibrare con le note
più intense. E' poi soggetta alla perdita dell'amore, ma questo avviene
quando vuole banalizzarlo, quando vuole realizzarlo, toccarlo con mano.
Nella sua essenza, l'anima umana ha invece ben altro destino, al di là
della vicenda dell'amore e della sua perdita, come pure al di là della
vicenda della vita e della morte: ha un destino divino.
Tutta questa bellissima storia va avanti con dei cicli, che personalmente
ho vissuto e che volevo condividere perché in ognuno di noi ci sono aspetti
che corrispondono al loro significato. Ma la cosa più importante è un'altra.
Non basta dire: io mi innamoro, poi finisce l'amore, ci rimango male ma
poi mi innamoro un'altra volta ecc. Come non basta dire io nasco, vivo,
muoio, poi rinasco, vivo, muoio, come ogni giorno mi sveglio, poi la sera
vado a letto ecc. Questo è un ciclo che non avrebbe senso se non ci fosse
dietro qualcosa di più importante, che è il significato e il protagonista
di tutta la vicenda. Parlo del Testimone, del Sé. Noi non siamo semplicemente
un essere umano verosimilmente composto di un corpo e di un'anima, che
compie una certa esperienza. C'è una parte più elevata di noi che dobbiamo
scoprire, conoscere, ed è questa parte che è il nostro vero essere, è
Dio in persona, cioè il Sé, l'Atman come lo chiamano gli induisti o il
Cristo per chi è cristiano. E' quindi questo essere che, come se fosse
separato da noi, contempla quello che noi facciamo nella vita come un
testimone. Egli è sempre presente di vita in vita, di incarnazione in
incarnazione, fino al momento in cui noi cominciamo a accorgerci della
sua presenza, a rivolgerci a lui pregandolo come un dio, e poi a un certo
momento realizziamo di essere noi stessi questo essere, siamo proprio
lui, ed è questo il momento in cui la nostra anima si identifica con l'essenza
divina e viene accolta fra gli Dei.
Questa è la storia di Psiche. Farà oggetto di conversazioni, oltre a questi
accenni al tema nel suo insieme, e ognuna sarà accompagnata dalla visione
di qualche opera. Ora, è per me molto complesso e non scevro di imbarazzo
di far vedere tanti quadri, che ho fatto per un bisogno interiore e non
per cercare un plauso. Ma sta di fatto che questi quadri, belli o brutti
che siano, costituiscono la registrazione fedele della realtà psichica
che stiamo esplorando e, come tali, possono costituire un mezzo per conseguirne
la consapevolezza. Dove poi le parole possono risultare ostiche o non
facilmente comprensibili, le immagini dovrebbero invece poter parlare
e soprattutto dovrebbero poter suscitare una reazione naturale, ricca,
completa, che venga insieme dal cuore e dalla ragione. . Un quadro non
può essere infatti guardato in modo solo razionale, e tanto meno con il
filtro della critica che diventa molto spesso una forma di letteratura
che si sovrappone al quadro. Tuttavia, bisogna riconoscere che l'arte
oggi è molto confusa, ci sono infinite tendenze, non c'è il solco di una
tradizione consolidata, ci sono diversi linguaggi, sono spesso messaggi
puramente egoici, legati alla vita superficiale, senza rapporto con la
vera vita dell'anima. Quindi accade molto raramente nel mondo dell'arte
contemporanea di provare un'emozione. In fondo, anche guardando un'opera
antica, crediamo che essa ci doni un'emozione ma siamo stati largamente
condizionati ad apprezzare certi valori e a giudicarla sempre con dei
filtri culturali. Quindi l'accoppiata parola-immagine, con in più l' interazione
con la gente, spero che serva a far passare il messaggio, a farlo giungere
all'anima come un nutrimento per la sua crescita.
Questo è quindi il panorama generale del nostro Seminario. Per ciò che
riguarda oggi, è una introduzione ad esso, che ho fatto con poche parole
per portarne l'intento alla vostra attenzione. Per ciò che riguarda i
quadri, la pittura vera e propria, più interessante, comincerà con la
prossima volta. Per oggi, se volete, posso farvi vedere alcuni quadri,
che sono però dello stadio anteriore all'eros, quando io potevo dipingere
in certi modi ma non avevo ancora incontrato la mia ombra ... |