Incontro n° 9 del 9 giugno 2010
Nel dibattito sono intervenuti anche: Silvana Olmo, Giovanni Bonomo, Silverio Guanti, Pat Sophie Graja,
Roberto Provenzano, Anne Delaby, Carla Sanguinetti.
Vittorio Mazzucconi
Stasera parliamo di arte, come del terreno privilegiato in cui si esprime o dovrebbe esprimersi il rapporto fra
sentimento e ragione che, in tante forme, ci ha occupati in tutto il Seminario. Per chi viene per la prima volta,
sarà forse difficile immaginare quante e quanto diverse possono essere queste forme, e come
l'interpretazione che ne abbiamo dato è tutt'altro che usuale. Oltre al femminile e al maschile, che calzano
perfettamente con il binomio parallelo di sentimento e ragione, abbiamo molto parlato dell'archetipo
dell'albero, della costituzione del corpo umano, delle età, delle stagioni, delle civiltà, della storia dell'arte,
della filosofia, della libertà e della legge, della città, del tempio e di altro ancora; e non è stato facile orientarci
in questa vastità, cosa che ha richiesto l'aiuto di diverse tavole sinottiche. Senza poter ripercorrere questo
cammino, per il quale rinvio alle dispense che sono state fatte con la registrazione di tutti i nostri incontri,
devo però chiarire che cosa, nel nostro contesto, si intende per sentimento: cominciando ovviamente dai
nostri sentimenti personali, includiamo in esso anche l'inconscio, la vita della nostra anima, il femminile, la
natura, le radici nella storia, l'impulso religioso, la libertà ecc.: in sintesi, tutto quello che non può essere
assimilato alla ragione. Mentre la ragione, ovviamente, è quello che riguarda l'intelletto, il maschile, la
scienza, l'economia, la politica e ogni altro aspetto della ragione pratica.
Il rapporto fra queste due categorie è stato visto in un modo dinamico, osservando cioè come dal sentimento
si evolve verso la ragione, e come si realizza fra di essi un momento di equilibrio, che possiamo leggere nei
momenti più felici della vita, dell'amore, dell'arte, della civiltà, mentre, andando oltre, se ne constata il
progressivo decadimento.
Ringrazio le persone che sono sempre venute e che sono state di un validissimo appoggio. Tutto questo
lavoro è stato fatto insieme. Ogni volta io parlo un poco e poi nasce un dibattito in cui chi lo desidera può
esprimersi. E' stato veramente bello, anche sbobinando, rileggendo, ricomponendo gli interventi - che poi
saranno riuniti in un libro - è stato molto bello, dicevo, vedere quanti punti di vista diversi ci sono e come,
senza che nessuno di essi voglia prevalere sugli altri, essi formino tutti insieme un concerto. E' ovviamente
qualcosa di spontaneo, non così perfetto come avrebbe potuto essere uno studio sistematico fatto a tavolino.
E' stato come una campionatura, diciamo, di diversi punti di vista su problemi fondamentali come la vita e la
morte, la libertà, la legge, l'arte ecc. scoperti via via con delle osservazioni di buon senso, come possono
farle degli uomini della strada come siamo noi, e senza richiedere il contributo di specialisti nei diversi
campi. Essi avrebbero potuto portarci il contributo di una conoscenza specifica ma senza la libera varietà
delle nostre conversazioni. Ne è scaturita poi una gamma di verità che magari un giorno, rileggendo queste
dispense e il libro che faremo, potremo approfondire con un certo profitto. In autunno dovrebbe uscire il libro
del primo Seminario dell'anno scorso, "Il Lavoro Spirituale", e seguiranno poi gli altri....se non riuscirò a
mettere un freno a un'attività galoppante come questa...
Parliamo quindi dell'arte come del terreno privilegiato in cui in cui il sentimento e la ragione devono essere
presenti e devono concorrere all'opera come alla loro unione. Perché l'arte? Perché non possiamo chiedere
ovviamente alla scienza di avere dei sentimenti, e neanche possiamo chiedere alle passioni di darci un
contributo razionale, mentre nell'arte questi aspetti saranno coesistenti. Un vero artista, in una vera opera
d'arte, deve avere una forza che viene dal cuore e una mente capace di disciplinarla.
Ci dobbiamo però chiedere prima di tutto cosa si intende per "arte", poiché essa è una parola ormai molto
abusata. Se ci pensiamo, l'arte - i Greci dicevano Teknè, semplicemente "tecnica" - era una forma di abilità,
di fare per esempio un vaso, e poi dopo una statuetta, e poi qualcosa di sempre più importante. Era una
forma di abilità manuale, accompagnata da un certo esercizio della mente che si allea all'esercizio delle
mani mentre, solo più tardi, in questa attività manuale, ha potuto inserirsi un quid che va al di là della
volontà o del piacere di fare il bell'oggetto, il bel vaso, la bella statua. Questo quid, cioè l'ispirazione, il lato
magico con cui l'arte può aprire un piccolo spiraglio su un mondo superiore, ha portato nella manualità lo
stesso afflato che già animava la poesia. Chi dice manualità dice anche tradizione, perché essa si veniva
formando attraverso un mestiere trasmesso di padre in figlio, e quindi stabilità familiare e sociale e
omogeneità di valori. L'esercizio di un mestiere faceva parte di un' organizzazione sociale, di una cultura
comune, del popolo di tutta una città. Cosa che oggi non c'è assolutamente più: l'artista è del tutto isolato,
ha rinunciato all'abilità tecnica - quasi nessuno sa più dipingere o scolpire - non esprime più l'anima di tutta
una società, presente nella sua religione e in una cultura condivisa, ma è ridotto ad esprimere la sua
frammentarietà e a ricercare in essa la cifra di un linguaggio che gli permetta di affermarsi come ego, come
individuo, in mezzo a una società che altrimenti, lo ignorerebbe e schiaccerebbe.
Quindi, se pensiamo all'arte in generale come a una nativa unione fra il sentimento e la ragione, possiamo
riscontrare questa sua natura nel passato, ma non certo nel presente in cui appare invece una totale
disunione. D'altra parte l'arte, se la vediamo nell'ambito dello sviluppo della psiche umana, va collocata in un
certo momento, che è simile a quello dell'infanzia: i bambini sono artisti, come, non a caso, lo erano gli
uomini primitivi. Prima di scrivere, forse ancor prima di parlare, essi incidevano i grafiti nelle pareti delle
caverne, che ci appaiono come il primo segno lasciato dall'uomo. Con il segno, con l'immagine, inizia il
lungo cammino con cui, in seguito allo sviluppo della ragione, un sentimento istintivo evolve e si associa a
dei significati: non più solo quelli inerenti a un'immagine frutto di un'osservazione della realtà, ma quelli di
una prima interpretazione del mondo, su un piano più elevato di quello della realtà ordinaria. Dall'arte si è
così passati alla religione. In ambedue le forme è in atto l'unione del sentimento e della ragione.
Quando poi la ragione evolve, fino a giungere a forme di cultura sempre più articolate e complesse, essa
finisce col realizzare una sua completa indipendenza rispetto al sentimento a cui era prima legata. Nasce la
filosofia, come amore della ragione in sé e, dopo una carrellata di millenni, essa si applica allo studio della
realtà fisica producendo la scienza, e questa porta infine alla tecnologia. In tutto questo percorso c'è un
passaggio dalle facoltà native, istintive, come quelle che si vedono in un bambino, alle facoltà invece
dell'uomo adulto o di una società adulta come la nostra. Poiché tutto è ciclico - forse l'idea più frequente nei
nostri discorsi è stata quella di riconoscere la ciclicità in tutto - così può esserlo anche questo cammino, che
dall'arte porta alla tecnologia. Poiché l'arte all'inizio era semplicemente tecnica, il cammino che va dalla
tecnica alla tecnologia è praticamente un ritorno al punto di partenza, con la sola differenza che la nostra
tecnica è molto più evoluta di quella degli uomini primitivi. Ciò ci autorizzerebbe a pensare alla rinascita
dell'arte in un nuovo ciclo, che però non riesco a ipotizzare in termini precisi. Abbiamo tanto parlato
dell'aspettativa di una nuova civiltà e anche del fatto che una possibile catastrofe del nostro mondo sia un
ingrediente necessario perché essa si realizzi, ma non posso dire con altrettanta sicurezza che la morte
dell'arte a cui assistiamo oggi preluda a una rinascita dell'arte. Perché questo fosse possibile, occorrerebbe
ritrovare il momento nascente in cui il sentimento e la ragione potrebbero essere di nuovo uniti ma, per il
momento, non ne vediamo assolutamente traccia.
Si può però aprire un discorso più vasto. Al di là dei cicli - ogni volta abbiamo visto che ciò che nasce
muore, dall'oscurità si va alla luce, dalla luce all'oscurità e così per sempre - abbiamo sempre tentato la
buona sorte di riuscire ad evadere dal ciclo per puntare a quella che è stata chiamata realizzazione,
illuminazione, speranza, utopia, consolazione...:cioè l'uomo ci prova sempre. Anche nei cicli stessi, nel loro
susseguirsi, si produce un processo di apprendimento, che abbiamo letto come una spirale di crescita, con
cui viene superato il senso di una disperante ripetitività, ma alcuni uomini meravigliosi che ci sono stati nella
storia dell'umanità - i grandi mistici, i grandi filosofi, i grandi artisti - ci hanno mostrato come si può uscire
dalla ciclicità e avere un assaggio di una dimensione superiore. Quante volte abbiamo trovato proprio nella
vita biologica la prova di questo, che è quella della fioritura. Con l'immagine dell'albero, che è stato centrale
nel nostro Seminario e che abbiamo seguito dalla radice alla ramificazione e alla sua forma conclusiva, ci
siamo spinti fino al suo fiore, che ci sembra rappresentare una possibilità superiore. Sul piano biologico è
quella che prelude al frutto e quindi alla riproduzione del seme ma, sul piano spirituale, io propugno la tesi,
anzi la fede, che ci sia una fioritura della nostra anima, che è al di sopra della ripetizione ciclica, meccanica
della sequenza nascita-morte, oscurità- luce ecc. Ora, l'arte è un esempio di questa possibilità, come si è
visto nel corso dei secoli: molto al di là di quel percorso virtuoso di abilità, di tradizione, e anche della
funzione dell'arte nella società, e quindi del tipo di opere che venivano richieste agli artisti, c'è il fatto che
l'arte riesce nelle sue punte più alte ad aprire veramente uno spiraglio sul divino. Che sia l'arte greca antica,
che sia un Michelangelo, un Leonardo, o un Mozart, tutti i grandi artisti ci hanno fatto vedere che esiste
questo passaggio. Non a caso poi l'arte si è espressa in forme molto legate alla religione, non perché gli
artisti fossero particolarmente religiosi - potevano anche non esserlo sul piano personale - ma proprio
perché la religione e l'arte hanno in comune il centrale equilibrio fra il sentimento e la ragione. Come l'arte,
anche la religione nasce dal sentimento del nostro cuore e cerca di accordarlo con la ragione - non
guardiamo al fatto che nel cristianesimo di oggi il sentimento diventa spesso sentimentalismo, e la ragione
una teologia astratta che ha perso ogni rapporto con i nostri interessi - ma, a parte i momenti di deviazione
di questa unione, sta di fatto che la religione e l'arte sono vicine. L'arte trova la sua vera ispirazione proprio
in quello che trascende la realtà, anche nei casi in cui si applica a un soggetto reale; indipendentemente dal
soggetto che rappresenta, il particolare angolo sotto cui lo vede, il talento dell'artista, essa ci apre una
percezione spirituale. L'arte è in questo senso la fioritura di cui parlavamo.
Sarà ancora possibile oggi una tale fioritura? E' possibile ancora oggi riunire il sentimento e la ragione? Io
temo proprio di no, salvo in qualche caso fortunato, eccezionale. Però il mondo è in condizioni di tale
disordine, di tale pericolo, di tale confusione, che da tutte le parti sorgono impulsi a cercare una via d'uscita o
a chiedere una trasformazione. Possono partire da un'istanza etica, dal ritorno di un senso religioso, da una
diffusa e crescente consapevolezza, dallo sviluppo culturale, dalle emergenze a scala mondiale, ma sono in
sostanza impulsi che cercano di recuperare l'unità perduta dell'uomo, in se stesso e con l'ambiente. Essi non
sono però più centrati nell'arte, come cammino di esperienza e di conoscenza, ma su altri percorsi di ricerca,
su altri mezzi espressivi...
Per ciò che riguarda l'arte, c'è da dire che essa è sempre stata rivolta all'idea del bello, del piacevole, e che
quindi è sempre stata considerata come un piacere puramente esteriore, puramente estetico, mentre io
vorrei propugnare proprio l'esigenza di un'arte che abbia un valore etico, proprio perché nel momento in cui il
mondo è investito da una così grande crisi, è importante che anche l'arte si impegni per mostrare un
indirizzo all'uomo. L'arte ha in fondo molti ingredienti per poterlo fare: ha un suo connaturato accesso a un
principio di armonia, ha la facoltà di unire come dicevamo il cuore e la mente e, in certe forme - io penso
adesso ai miei progetti di città, per es. La città a immagine e somiglianza dell'uomo - è una filosofia che si
rivela sempre più profonda, che pone al centro di tutto l'uomo, non come si suol dire fra virgolette e in modo
abbastanza banale, ma come un'identificazione che è immagine, analogia, espressione dell'umano in ogni
cosa. Quando parlo dell'umano parlo anche del divino: non per nulla il titolo del mio libro che menziona
l'immagine e la somiglianza parafrasa il detto biblico. E' in questa luce che l'arte può farsi faro e veicolo di
conoscenza, non scientifica però, non razionale, ma conoscenza in senso profondo, conoscenza dell'anima.
Ho detto che l'arte è qualcosa che salda insieme il sentimento e la ragione ma possiamo fare un salto e
immaginare per esempio un'interpretazione del creato in cui la materia e lo Spirito siano nello stesso
rapporto di quello che esiste fra sentimento e ragione. Una materia che è formata dallo Spirito, proprio come
il sentimento è formato dalla ragione, ne è disciplinato. Il titolo di questa serata era appunto l'Arte suprema, e
ci stiamo avvicinando ad essa pensando alla vera e grande arte che si esprime nel mondo: guardate come
spuntano i fiori, come la vegetazione si sviluppa, come noi creature nasciamo e siamo ricche di qualità
meravigliose, è come se la base materiale di cui tutto questo è fatto sia stata fecondata e resa quella che è
dallo Spirito, nello stesso modo in cui l'intelletto di un artista, partendo dalla materia di cui si occupa, il
marmo, i colori, qualunque altra cosa, le dà forma, le dà vita. Anche questo è un punto molto importante:
l'arte è come dare vita, non solo un rappresentare, un raffigurare o un esprimere un concetto, ma proprio un
imprimere il suggello della vita. Se dico che l'artista mi fa pensare a Dio non voglio dire nulla di palesemente
sproporzionato. Dio è un'immensità inconoscibile, mentre l'artista è spesso un povero e piccolo uomo, molto
limitato nel suo piccolo campo e per giunta narcisista. Però, nel momento in cui esercita la sua funzione, in
piccolo, in modo grossolano, in modo estremamente approssimativo, fa qualche cosa che ci fa proprio
pensare per analogia alla scala ben più grande del divino. Ma è a livello di questo che riconosceremo l'arte
più grande, quella in cui l'unione fra sentimento e ragione che viviamo a livello umano si rivela l'unione
stessa fra materia e Spirito, di cui l'arte umana è una scarsissima approssimazione.
Quando poi si dice che l'arte deve rispondere al principio del bello, anche qui si apre un campo
estremamente vasto. Quando parlo del bello, non parlo di qualcosa che semplicemente piaccia allo sguardo,
che risponda alla nostra sensibilità: il bello è l'equivalente del vero, è l'equivalente del buono, è quello in cui
ideale e il reale si saldano. A questo proposito - io non amo mai fare delle citazioni - ma ho letto l'altro giorno
alcune parole di Shelling, che sembrano veramente dire quello che penso. Egli riconosce nell'arte il
momento in cui lo scarto fra idea e realtà, fra spirito e natura, fra attività conscia e inconscia si annulla. Si
annulla cioè la distanza fra lo spirito e la natura. Perché? Evidentemente perché si uniscono, si saldano
insieme. Quante volte, parlando di sentimento e ragione, di femminile e maschile, abbiamo messo l'accento
sulla loro unione, che non è null'altro che il figlio. In questo senso, anche l'opera d'arte è un figlio. Non è
forse anche l'uomo stesso un figlio, della natura e dello spirito? Nell'arte agisce quell'intuizione che la
filosofia teoretica può solo riconoscere ma non realizzare. Cioè l'azione estetica è paragonabile a una natura
creatrice, che ubbidisce alle leggi che essa si dà. L'artista nella sua attività creatrice realizza questa unione
di ideale e reale dopo che questi due, nella coscienza dell'uomo, sono stati separati.
Questa unione di ideale e reale l'abbiamo vista per esempio in certe visioni, in certi progetti di città che vi ho
presentato nell'incontro sulla Polis. E' stato facile dire: "ma si, sono belli ma sono un'utopia, non sono
realizzabili". Può darsi che, da un punto di vista politico, economico o giuridico, siano in effetti difficilmente
realizzabili, nulla di più evidente, ma l'essenza è un'altra: solo il fatto che sia possibile di unire l'ideale e il
reale in un' idea, in un progetto, mostra la strada che dovrebbe essere sempre seguita. Noi separiamo quello
che è il nostro ideale, la nostra intuizione, la nostra immaginazione, e la realtà della vita; separiamo il nostro
corpo dalla nostra anima, il nostro cuore dalla nostra mente: E' l'unione di tutto questo che non solo è una
felice saldatura ma dà la vita e, con la vita, crea l'arte, crea il figlio, crea il fiore, si apre all'intuizione del
divino. Il divino è in sé l'unione e ogni volta che ci avviciniamo a un'unione, ci avviciniamo alla porta del
divino. Quindi, questo ideale e questo reale si possono rapportare a quanto abbiamo detto sul sentimento e
la ragione. Nel senso molto vasto che abbiamo dato alla parola "sentimento" diciamo che esso è come la
materia prima, inconscia del reale, su cui la ragione agisce per trasformarlo a immagine dell'ideale...
In questo discorso sul sentimento e la ragione, abbiamo visto il loro rapporto come quello fra due poli
abbastanza vicini, come il mio cuore e la mia testa: non sembra in effetti una grande distanza Ma era un
modo approssimativo, schematico, per poterci poi estendere alla percezione di un percorso estremamente
più lungo: prima del sentimento, del cuore, c'è l'inconscio, c'è la natura, c'è l'oscurità in noi, come pure
nell'intero universo. Oltre la ragione c'è invece l'intuizione, c'è la visione, la conoscenza superiore, l'ideale:
c'è Dio...
Ecco, la vera idea di religione è proprio nell'intento di riunire, come lo dice la stessa parola religere, tutti
questi aspetti del mondo, che si riassumono nella terra e nel cielo. E l'arte, questa piccola e purtroppo
infedele imitatrice, fa proprio la stessa cosa.
Nello stesso modo, vorrei adesso riunire queste idee alle vostre, ma bisogna che prima me le raccontiate...
Qualcuno ha qualcosa da dire?
Dibattito
Una coscienza universale e l'arte
Silvana O.
Più che una domanda, è una riflessione che mi fai venire in mente quando citi la filosofia estetica, di cui
Platone è stato l'iniziatore, sostenendo che Dio è il bello e anche il buono. Tutto quello che tende all'unità è,
come dicevi, un tentativo dell'uomo di avvicinarsi a Dio e lo è quindi anche l'opera d'arte, unione di una
ragione che appartiene all'uomo e di un sentimento che è qualcosa di più profondo.
Vittorio M.
Io trovo che il movimento dell'avvicinarsi a Dio, per ritrovarne l'unità originaria, è proprio l'ABC di
un'interpretazione veritiera del mondo che, partendo da un inizio, in cui è avvenuto, come un'esplosione,
l'allontanamento da Dio, vede impegnata tutta la potenza dell'amore nello sforzo del ritorno.
Questo impulso muove tutte le azioni umane, in ogni tempo, in tutta la storia, e anche l'intero movimento
cosmico. Rispetto a questo l'arte è ben piccola cosa ma essa ci fa vedere in piccolo, in un oggetto, se volete
simbolicamente, l'unione che ricerchiamo. Ma la stessa cosa io la vedo guardando ognuno di noi: ognuno di
noi è nato come un'unione di diversi principi, di diversi genitori, siamo tutti il frutto di questa unione, che
immediatamente dopo si è divisa nella vita per poi sforzarsi di ricomporsi in nuove forme di unione. L'arte è
una di queste forme. Non le darei tanta importanza sul piano, diciamo, dell'oggetto d'arte in sé, mentre ne
rivelerei la meravigliosa analogia con ben altro livello, quello in cui, come dicevo prima guardando
all'insieme del creato, la materia grezza è chiaramente plasmata dallo spirito per un fine divino.
Dico "chiaramente" affermando una verità che può essere invece opinabile da un altro punto di vista, anche
se a me sembra il punto di vista di chi è cieco. Io che sono architetto, oltre che "parlatore" in queste nostre
serate, uso dei materiali per progettare, uso dei mattoni, uso delle putrelle di ferro, del cemento, dei
vetri...ma immagino Dio come un architetto sublime che usa dei materiali viventi. Mentre io dico al mattone
"mettiti li" e li rimane, Dio lascerà che la terra stessa si faccia mattone, e che questo provi il bisogno di
comporre un arco, una colonna, una volta, e che quindi l'edificio si realizzi attraverso la creatività e la
necessità della vita di tutte le cose, di tutte le creature. Il famoso discorso della libertà e della legge si può
condensare in questo mistero: che, nell'ambito di una legge universale, di una creazione, di un disegno
divino, possa esistere la libertà di tutte le parti che lo compongono e che esse, ognuna con i mezzi concessi
dalla propria natura, necessariamente concorrano alla realizzazione del progetto, proprio come se i materiali
per la costruzione di una cattedrale si auto creassero e si mettessero spontaneamente ognuno al suo posto.
In fondo è quanto sostengono gli atei dando così prova di un'incredibile fede, non però in Dio ma
nell'assurda opinione che le cattedrali si possano fare per puro caso e senza alcun progetto.
Giovanni B.
Nell’ottica dello spirito creativo, che diviene anche mistico, l’artista si può sentire parte di quel tutto, che poi
viene chiamato Dio, o di una coscienza universale, che potrebbe spiegare anche molte coincidenze non solo
nel campo delle arti visive, ma anche nella musica, per esempio, se non addirittura nella scienza, con
Marconi e altri scienziati che hanno avuto l'intuizione dei campi energetici.
C’è secondo me questa coscienza comune che spinge l’uomo a esprimerla in opere che sono in sintonia
con una realtà suprema che trascende la realtà delle cose, carpendo in qualche modo delle intuizioni che
sono superiori alle sue stesse capacità. Se invece vogliamo parlare dell'arte contemporanea...
Vittorio M.
Sì, però stasera non vorremmo parlare di questa in particolare, ma piuttosto riflettere sulla coscienza
universale che abbiamo evocato. Ci pensavo proprio stamattina, camminando lungo il Naviglio, e guardando
le erbacce che crescono lungo il bordo del canale. Alcune sono dei capolavori meravigliosi; una in
particolare, con dei fiori indaco che formano una specie di torre, mi ha fatto pensare alla Sagrada Familia di
Gaudì, che però lascia di gran lunga indietro. Ebbene, tutte queste “cose” non hanno una coscienza, un fiore
non sa che è un fiore, ma come si fa a non credere che siano animate, come ogni altra cosa, come ogni altra
creatura, da una coscienza universale?
Senza dubbio c’è una coscienza di Dio che tutto sostiene, tutto crea: solo che le creature non ne sono
consapevoli finché, nel corso dell’evoluzione, non nasce un essere come l’uomo che ha la possibilità, anzi il
sacro compito, di acquistare coscienza di questo, anche per loro.
Purtroppo però, in questo acquistare coscienza, come prima cosa l'uomo si inorgoglisce e pensa che sia la
sua intelligenza a dare un senso alle cose, arrivando così a negare Dio. Mentre l'uomo dovrà riconoscere la
sua parte migliore, conseguendo la sua realizzazione, proprio nell'essere lui stesso la coscienza divina,
rivelandola in sé.
Religione e spiritualità
Giovanni B.
Attenzione però ad usare il termine "religione" in luogo di quello di "spiritualità" La spiritualità non è la
religione, che è figlia della paura, e madre della crudeltà, come dice anche Husserl, non è un sentimento.
Vittorio M.
La religione è un movimento fondamentale dell’animo umano, ma quando diventa una raccolta di dogmi, di
favole, è chiaro che bisogna trovare altre forme per esprimere la nostra ricerca di Dio.
Non è infatti detto che quello che va bene per un bambino, vada bene anche per un adulto. Molte cose che
la Chiesa ci racconta sono favole da bambini, che contengono delle verità profonde ma espresse in modo
inadatto
Bisogna però riflettere. L’uomo adulto del nostro tempo che cosa fa? Fra tante cose buone, commette anche
dei tragici errori, crea dei falsi miti, dei falsi dei, fino a produrre l'incubo di una catastrofe globale! Quindi,
l’uomo adulto non dovrebbe essere così sicuro della sua intelligenza ma anzi farebbe bene a tornare,
paradossalmente, allo stato del bambino. Le favole potrebbero allora rivelargli il loro senso profondo, che
non è solo razionale: è come il mito, come il simbolo, un senso che unisce la ragione con delle pulsioni molto
più profonde. Quindi, da una parte bisogna abbandonare le favole dell’infanzia, inadatte alla mente adulta, e
dall’altra bisogna ritrovarne il vero significato, che può nutrire una mente non solo adulta ma illuminata.
Penso alla psicanalisi e in particolare a Marie-Louise von Franz, seguace di Jung, che nelle favole ha saputo
leggere un'enorme saggezza.
Ma veniamo a qualcun altro, a cui chiedere le proprie riflessioni….tu, Silverio, che vieni incautamente solo
alla fine di un seminario, vuoi forse dire qualcosa?
Silverio G.
Mah, mi hanno colpito diversi aspetti della piacevole conversazione. Io non ne farei una questione
terminologica tra spiritualità e religione, anche perché sappiamo molto poco di quali siano le religioni o le
spiritualità di altre parti del mondo. Credo che oggi non ci sia nemmeno una laurea per lo studio delle
religioni.
Giovanni B.
Non so, comunque penso che per capire la religione non bisogna essere uno studioso delle religioni. E'
spesso solo una fantasia che nasce dalla paura della morte e non equivale alla spiritualità…
Silverio G.
Io ho visitato un tempio in Francia, che è considerato proprio un tempio della non-paura, mi sembra si chiami
“le tombeau sans peur” E' da qui che parte la spiritualità, che non deve necessariamente essere
ingombrata da tutto quello che può essere il cristianesimo o le altre forme religiose dell’Occidente. Dobbiamo
stare cauti, non siamo al centro del mondo. Mentre mi interessava, Vittorio, un aspetto che ho colto nella tua
esposizione: l’arte come strumento per far leva su una rinascita, e quindi l’arte vista come una forma di
conoscenza nei confronti degli abissi della nostra coscienza. Mi interessava capire come questo possa
realizzarsi, perché in questa arte, nella sua pluralità di manifestazioni espressive, puoi trovare di tutto. Però
ci sono delle idee che permangono. Il maestro dei maestri, Socrate, faceva leva su un aspetto femminile,
cioè la maieutica, ma mi sembra che questo aspetto maieutico sia più verbalizzato che sentito in questo tuo
seminario.
Per una rinascita
Vittorio M.
A parte il quiproquò - perché la tomba di cui parli era quella di un Duca di Borgogna, Jean sans Peur, che si
chiamava proprio così, e non un tempio elevato alla mancanza di paura, magari ci fosse - tu sei venuto
all’ultimo momento di un seminario che va avanti da molto tempo e nel quale proprio l’aspetto della nascita è
stato centrale. E' insito nel rapporto fra sentimento e ragione, ossia di femminile e maschile, che esso dia
luogo a una nascita. L'abbiamo chiamato anche fiore - è la stessa cosa - e anche auspicio di una civiltà al
femminile, che giustamente richiami. Io in fondo non ho parlato d'altro, non solo nel Seminario ma nelle mie
opere - basta pensare al progetto della Città Nascente o a quello dell'Arca del Duomo, che conosci e che si
pone come simbolo di rinascita della città, quasi come un nuovo battistero.
Pat Sophie G.
Stavo sentendo l’arte come il momento stesso in cui noi tocchiamo questa coscienza universale e riusciamo
a renderla tangibile a noi stessi e agli altri. Ed è proprio il momento in cui torniamo a un'innocenza, torniamo
ad essere tutt’uno. Che poi sia difficile, sì, sicuramente è difficile, ma non impossibile, perché abbiamo in noi
l’intuizione che si possa semplicemente “essere” su questa terra e non solo diventare questo o quest'altro. Il
percorso è lungo, veramente lungo, e troviamo in esso la ribellione, il malessere del nostro tempo. E' anche
positivo perché, stando male, ci accorgiamo di tante cose che si stanno muovendo ora, a macchia d’olio, con
difficoltà, in un mondo che apparentemente è catastrofico: una catastrofe probabilmente necessaria, per
incontrare la coscienza e per realizzarla.
Vittorio M.
In questo senso, la catastrofe prelude al bisogno di rinascere, no? E’ un pensare alla morte come a un passo
necessario verso una nuova vita…
Pat Sophie G.
Sì, io la catastrofe in questo senso la sento assolutamente ma, in un senso diverso, mi accorgo che ogni
forma espressiva umana in questo momento è portata ad amplificare la paura che tutto vada verso la
catastrofe. Si stanno infatti educando i bambini all’idea del continuo disagio, del continuo divenire di
qualcosa di pesante, di brutto. In realtà, è difficile oggi vedere qualcosa di veramente artistico, anche se
molti più individui - pensando all’individuo come persona “non divisa”- riescono a realizzare in piccole cose
un’unità tra la ragione e il sentimento. Forse siamo in un momento in cui non esistono le grandi figure, non ci
sono espressioni grandiose. L'arte è diventata più democratica, legata al quotidiano.....
Ritrovare il bambino in noi
Vittorio M.
Quanto al bambino di cui parlavamo, guardando alle favole religiose come a qualcosa di appropriato
all'infanzia dell'uomo, dicevo che dovremmo tornare bambini. Il bambino capta infatti in modo naturale,
istintivo, l'unione delle cose; il sentimento e la ragione per lui sono uniti. Per questo l'immaginario per lui è
reale quanto lo è per noi la realtà, che è il frutto amaro della nostra esperienza, del vissuto famigliare, della
lotta per la vita e, troppo spesso, per la sopraffazione. Davanti a nuove idee siamo pronti a dire che sono
una favola, un'utopia, mentre questo nel bambino non accade. In qualche modo bisogna ritornare ad essere
bambini e l'artista, in questo senso - ripeto che non voglio fare l'elogio dell'artista o dell'arte - ha proprio la
caratteristica di essere rimasto un po' bambino, ha tenuto insieme queste cose...In questo senso il suo può
essere quindi un punto di vista fecondo anche per il resto degli uomini. Come diceva Shelling, unire l'ideale e
il reale è la cosa più importante, la cosa fondamentale. Confesso che io mi sento molto bambino, perché non
vedo alcuna differenza fra ideale e reale
Silvana O.
Mi fai pensare al fanciullino del Pascoli. Bisogna continuare a tener vivo il bambino che è in noi
Vittorio M.
Mi sembra che lo dicesse anche quel Tale: "se non siete come bambini non entrerete nel regno dei cieli". Mi
sembra che anche Panikkar parli di un'innocenza da recuperare...
Pat Sohie G.
Veramente tu ritorni innocente come un bambino ma hai la consapevolezza...
Vittorio M.
Certo, non si tratta mica di rimbambire. E' un'innocenza conquistata, non la pagina bianca dell'inizio. Questo
è poi vero di tutto, anche della semplicità che è propria di chi non sa nulla, non conosce la complessità delle
cose; però la vera, la grande semplicità è di chi ha percorso tutto il cammino della complessità ed ha infine
raggiunto il livello della semplicità conclusiva. . E questo è vero anche dell'innocenza: non è l'ingenuità in
partenza, ma è l'innocenza riconquistata dopo aver conosciuto la vita..
Silverio G.
Mi veniva in mente, a proposito del fanciullo, che il filo conduttore della storia umana è l'immagine del
sacrificio di Isacco, se sostituiamo la parola "sentire" con "fede", per unirla alla ragione in un nesso
antichissimo che ci portiamo dietro da secoli. La religione ha a che fare con il sacrificio, la sacralità inizia
con il sacrificio, anche se ne possono cambiare i canoni in diversi periodi storici: oggi potrebbe essere in
un'altra forma, più umana
Vittorio M.
Mi permetto di dire che questa "fede" non la porrei a fronte della ragione, come abbiamo fatto col
sentimento. Porrei il sentimento e la ragione su un piano umano, come femminile e maschile, che abbiamo
visto unirsi nella nascita, ma la loro sintesi può essere anche la fede: un passo oltre, non più un sentimento
istintivo, è un credere al trascendente più che alla realtà dei fatti. La fede è proprio come una nuova nascita:
una nascita spirituale. Sul piano del sentimento, un padre non avrebbe mai ucciso il figlio, ma la fede lo porta
invece a un altro ordine di valori.
Silverio G.
Non è una favola, fa capire il valore della fede e quello del sentimento
Giovanni B.
La fede è un file word della conoscenza, e la conoscenza è anche la base dell'arte. Ci può essere un'arte
senza una conoscenza tecnica di base, come si vede in tante improvvisazioni?.
Vittorio M.
All'inizio della serata ho provato a chiedermi anch'io cosa è l'arte, riportandola alla sua sana e modesta
origine, che era semplicemente un'abilità tecnica, per esempio nel fare un vaso. Seguendone poi lo sviluppo,
abbiamo visto che, un po' alla volta, si è imparato ad esprimere anche qualcosa di più alto della necessità,
creando delle belle forme, e che, al di là di queste, si è raggiunto un ideale ancora più alto nella religione e
nella filosofia. Al di là di una conoscenza tecnica di base, che è oggi trascurata in alcune forme di arte, vorrei
però adesso parlare della conoscenza su un altro piano.
Pat Sophie G.
A proposito del sacrificio del figlio, in realtà noi oggi possiamo leggerlo in un altro senso: che abbiamo creato
qualche cosa e che, nel momento stesso in cui siamo capaci di staccarci dalla nostra creatura, liberarla dal
nostro possesso, questa creatura vivrà e darà frutto. Quindi noi non possiamo leggere ancora il testo biblico
come la storiella del padre che deve sacrificare il figlio. ciò che sacrifichiamo è il coraggio di rendere sacro
ciò che abbiamo creato. A quel punto non ci sarà il sacrificio, ci sarà solo il frutto del sacrificio e la vita a cui
esso darà origine. Il passo della Bibbia va letto in modo simbolico.
Il ricongiungimento fra ideale e reale
Roberto P.
Io volevo recuperare quel concetto di frammentarietà di cui hai parlato all'inizio, che impedisce all'uomo
moderno di trovare un'unità, quell'unità che stava nell'arte, e stavo riflettendo al concetto espresso da
Shelling sull'unione fra spirito e natura, o fra ideale e reale. Ma qui possiamo chiederci: come fa l'essere
umano a riconoscere questa unità? Per poterla riconoscere, per forza di cose deve ricorrere a delle
categorie di senso. Queste però non possono essere utilizzate qualora non ci sia una forma riconoscibile a
cui l'uomo può dare senso. Allora mi viene da riflettere sul fatto che, mentre la gran parte dell'arte
tradizionale è un'arte di imitazione del reale ed è quindi possibile trovare in essa il nesso fra reale e ideale,
come potremo riconoscerlo in un'arte che non è invece imitazione del reale? Faccio un esempio per cercare
di spiegarmi: la cultura ellenica che è per noi la base dell'arte, faceva le statue, faceva i templi, faceva i
capitelli, ma guardiamo un attimo che differenza c'è fra la statua e il capitello: la statua è l'arte che imita la
natura, il capitello non imita niente, è già la dimostrazione di un'arte che si allontana dall'imitazione pura e
semplice della realtà, quindi si allontana dal congiungimento con il senso. Oggi come oggi, appare che l'arte
moderna è sempre più lontana dal senso, e questo allontanamento penso che sia da mettere in relazione
appunto alla coscienza della frammentarietà, all'impossibilità dell'unione. Ecco perché io vedo dei giovani
che fanno delle sculture astratte, pezzi di materiale plastico piuttosto che ferroso...cosa me ne faccio io di
quest'arte? Non posso prenderne un senso, però posso prenderne una percezione, una emozione. Mi
sembra che quello che sta succedendo nel mondo di oggi è che l'arte va sempre di più verso la pura
emozione, staccata dal senso, e che quindi non possa essere più letta nei termini di Shelling. Non può più
essere letta in termini di ricongiungimento fra reale e ideale, perché non c'è più il concetto dell'imitazione del
reale a cui riferirsi.
Vittorio M.
Il ricongiungimento fra reale e ideale va inteso su ben altro piano, indipendentemente dall'imitazione del
reale nell'arte del passato. Noi parliamo della realtà del mondo, non di un certo tipo di rappresentazione, e
dobbiamo metterla in rapporto con una visione ideale, questo è il punto.
Dire poi che l'arte contemporanea va verso l'emozione mi sembra strano perché, con l'arte concettuale, essa
mi sembra appellarsi piuttosto alla mente. Volevo però fermarmi su una delle cose che hai detto quando,
parlando della colonna, ti sembrava che il capitello fosse diverso da una forma ispirata al reale. Io ho per
questo una piccola interpretazione che ha un suo fascino. La colonna è un elemento strutturale,
praticamente il tronco di un albero usato per sostenere un edificio. Al di là di questa funzione, mi ha però
sempre commosso il fatto che in cima alla colonna ci sia il capitello. Il capitello è un po' come la fioritura della
colonna - sto parlando in particolare del capitello corinzio - una fioritura che mi fa pensare al senso globale
dell'esperienza umana, quando essa giunge alla sua parte più alta, più idealizzata, più nobile. Pensa d'altra
parte, sul piano umano, allo scalpellino che faceva la colonna, torniva questo pezzo di sasso guadagnandosi
duramente di che vivere, ma quando poi giungeva al capitello, che realizzazione, che inventiva, che
creatività tirava fuori! Se guardi bene, in tante chiese i capitelli sono tutti diversi uno dall'altro e contenevano
inoltre tante storie. Non è poi vero che non guardassero la natura: una volta le foglie d'acanto, altre vari
intrecci vegetali come nell'arte bizantina, o figurine come nella romanica....Senza entrare però nello
specifico, vorrei mettere in evidenza dapprima il rapporto fra una realtà costruita razionalmente e la natura,
non solo nei riferimenti vegetali di un capitello, ma nel fatto che la colonna, pur essendo una forma
geometrica e strutturale, è anche naturale in quanto traduzione del tronco. E, in seguito e soprattutto, la
fioritura, in cui si centra tutto il mio discorso, con cui si guarda al significato del fiore, che è anche quello del
figlio, o dell'opera d'arte, è la creazione. Il fatto che non lo si percepisca è molto triste, ma viviamo in un
mondo frammentario, in cui i frammenti vengono presi per arte, non è così? Un manifesto stracciato diventa
un'opera d'arte, delle longarine di ferrovia presentate da un artista come scultura hanno fatto scrivere a un
famoso critico che esse stanno a significare un cammino iniziatico...e, di fronte a questo, bisogna anche
convincersi di provare un'emozione!
Roberto P.
Scusami, ma se posso aggiungere una cosa che mi sono dimenticato prima, è proprio questo: quando
l'uomo pone in campo delle categorie di senso, è chiaro che lo fa a livello soggettivo. Il tutto va ricondotto
allo sguardo soggettivo, per cui ciò che a te non comunica un'emozione può comunicarla a me, o il contrario
Vittorio M.
Sei su una cattiva strada...., te lo dico così, senza riferirmi a te personalmente: il segreto dell'arte o anche
quello di capire le cose è di smetterla di dire: "io sono qui, tu sei li", non bisogna dividersi fra soggetto e
oggetto, anche se la filosofia la pensa diversamente. L'artista e soprattutto il mistico fa esperienza di
un'immedesimazione totale. Non posso dire: "io faccio questa cosa, però essa sarà quello che tu vedrai in
un modo e un altro in un altro". Io faccio questa cosa perché sono questa cosa, (che tu la veda o no o in
qualunque modo tu la veda). Dio ha fatto il mondo non preoccupandosi se qualche altro dio l'avrebbe dopo
visto in un altro modo, ma ha espresso, manifestato se stesso
L'azione estetica - rileggendo Shelling - è paragonabile a una natura creatrice che ubbidisce alle sue proprie
leggi, al suo proprio impulso, non al gioco del soggetto e dell'oggetto che è quello che frammenta alla base
la conoscenza. E' un tutt'uno. Tant'è vero, facendo un'estrapolazione poetica, immaginifica, mi spingo a
pensare che Dio non ha fatto l'erba, non ha fatto te, non ha fatto me, ma è lui che si è fatto erba, te e me,
siamo lui; la sua non è un'opera esterna; non puoi distinguere fra soggetto e oggetto...Puoi accettare questa
unione, questa fusione a livello creativo, a livello di innocenza? E' proprio questo il contributo che l'arte può
dare al mondo, che invece è tutto basato sulla frammentazione
Ancora sul bambino in noi
Roberto P.
Io non vedo questo mondo infantile come un mondo di unità, ma comunque è un mondo a cui manca ancora
qualcosa. Che poi sia un mondo bello, ideale, da sognare....Un conto è poi dire: recuperiamo il bambino che
è dentro di noi, questo mi piace, e un conto è dire che il mondo del bambino è il mondo dell'unità
Vittorio M.
L'abbiamo detto prima: l'importante è coltivare in sé un approccio che recuperi l'essenziale di quello del
bambino, senza però rimbambire....E' come la semplicità, che è un punto di arrivo: la semplicità di uno
scienziato che è arrivato a condensare in una piccola equazione un mondo di scibile non è come quella del
bambino che fa le aste, le assomiglia ma non è la stessa cosa, è la fine, non l'inizio di un cammino. Come
metodo per raggiungere il senso della vita bisogna saper coltivare l'aspetto di fusione, di intuizione, di
immedesimazione che vedi nel bambino. Esso è simile al processo delle favole che è appunto congeniale
alla psicologia infantile mentre, in quella degli adulti, vediamo tutti dove conduce la strada di una ragione che
si è separata dalla sua radice. ....
Anne D.
Il bambino non è scisso, è con l'educazione che viene frammentato; andiamo verso un mondo adulto perché
qualcuno ci educa alla conoscenza, ma vediamo dove ci porta questo mondo adulto in cui non c'è più
l'anima del bambino, l'unione naturale fra ragione e sentimento. L'abbandono della spiritualità ci porta alla
catastrofe. Ciò è anche conseguenza del prevalere di un mondo maschile, un mondo unicamente cerebrale,
in cui ci sovrasta una legge che si sostituisce alla coscienza, mentre occorre fare più posto all'anima
femminile e alle sue capacità intuitive.
Riprendendo il discorso sulla conoscenza di cui ho colto dei frammenti, secondo me l'unione di ragione e
sentimento sta nella coscienza. La fede non basta più, adesso ho bisogno di conoscere, ma non dal punto di
vista scientifico, razionale, che è spacciato per conoscenza, mentre per me è un sapere sterile che non
porta da nessuna parte
Vittorio M.
Questo è tutto il senso del lavoro che abbiamo fatto
Pat Sophie G.
E' la coscienza che è ma che non ha bisogno di sapere di essere. E' questo che è il bambino. Egli ha una
tale saggezza che riesce ad essere disobbediente a tutto ciò che è sciocco, inutile. Il fatto di ritornare
bambini non è un rimbambire ma è un ritrovare il contatto con questa coscienza, che è una conoscenza
totale, senza sapere di conoscerla, potendo però agire secondo delle leggi universali su cui non è possibile
avere dei dubbi. Esse sono le stesse che portano il fiore a crescere, senza bisogno di intervenire per
spingerlo o forzarlo. Per questo io continuo a insistere sul fatto che il bambino è saggio, anche se non è
consapevole
Vittorio M.
Quello che dicevi è vicino a quella coscienza di cui parlavo, degli animali, delle piante, dei fiori, dei fili d'erba,
che è universalmente diffusa, e a cui partecipa anche il bambino. In lui non si è ancora sviluppata la mente
che discrimina e separa dall'unità, in se stesso e con tutte le cose. Quando diciamo che dobbiamo ritornare
a questa condizione, è chiaro che non possiamo cancellare tutto il cammino che abbiamo fatto ma, al
contrario, riportarci con la conoscenza acquisita alla coscienza originaria che è un tutt'uno, una fusione.
Dividere, discriminare è stato necessario - quante volte abbiamo parlato della ramificazione dell'albero - però
è altrettanto necessario di ritornare all'unità, cioè all'equilibrio fra di essa e la radice con cui abbiamo perso il
contatto...
Silverio G.
Non vorrei essere retorico ma, anche fra gli adulti, c'è chi riesce a vedere in un filo d'erba l'universo
Pat Sophie G.
ma certo
Cos'è l'arte?
vGiovanni B..
Vorrei sapere cosa ne pensa Vittorio - facendo questa domanda, propongo anche degli spunti di riflessione
agli altri partecipanti - sull’arte che non è arte, sul cattivo gusto, sul kitsch: come mai si afferma anche ai
livelli dei maggiori musei, in cui si vedono delle cose, degli artisti, in cui non vedo una vera creatività, e allora
la domanda è: sono ancora rinvenibili nell’arte delle categorie di base per capire che cos’è arte e che cosa
non è arte? Tanta arte a me sembra solo una forma di comunicazione pubblicitaria.
Vittorio M.
Viviamo in un periodo di confusione, disunione, contraddizione in tutti i campi. Non sfugge certo a questo
stato l'arte, che lo riflette nel bene e nel male: in alcuni artisti di grande valore con un'autentica
testimonianza, in altri con un'infinità di esiti deteriori, ingigantiti dalle deformazioni indotte dal mercato e dalla
comunicazione di massa. Da onesto mestiere come era una volta, al servizio di esigenze precise, l'arte è
diventata oggi una forma di espressione mimica e delirante di una civiltà allo sbaraglio
Distinguerei poi fra la pittura, che sembra ormai in disuso, e molti altri mezzi di fare arte; guarda alla
letteratura, al cinema....
Giovanni B.
Ma esiste un criterio oggettivo per il bello?
Vittorio M.
Direi che è lo stesso del vero e del buono, il che ci porta a vedere nell'arte l'espressione di una verità, di una
conoscenza. E' qualcosa di profondamente vero che sento nel mio cuore e che posso riconoscere in artisti di
valore ma purtroppo molto di rado, perché anche i migliori talenti sono frastornati dalla frammentazione del
nostro tempo e dalla ragione materialistica che ha la meglio in esso.
Stasera, non parliamo però in particolare dell'arte contemporanea, o dei musei a cui alludi, ma appunto
dell'arte come possibile via di conoscenza, il che ci guida a un altro ordine di idee. Per questo parliamo di
realtà psicologiche come quella di un bambino, o dell'intuizione, o del senso religioso, nell'intento di
richiamare l'arte a un contenuto propriamente umano.
D'altra parte, dovendo rispondere alla domanda di quale potrebbe essere un'arte che risponda a un criterio
di verità e conoscenza, non saprei proprio cosa dire, se non cercando qua e là dei semi di un nuovo modo di
sentire, che è forse la sola cosa che possiamo fare oggi, nell'attesa che essi possano germogliare in tempi
migliori. ..
Pat Sophie G.
Vorrei dire che mi è capitato proprio ieri di leggere un libro dei primi del '900 che è una dispensa per
imparare il taglio e cucito, ed era una cosa talmente equilibrata tra la tecnica e l’arte che sono rimasta senza
parole. Cercavo anzi una parola che non riesco più a trovare nel vocabolario, sono andata a cercarla li, e a
un certo punto sono rimasta senza fiato: era l’armonia, la sapienza, una cosa cosi straordinaria che sono
rimasta in ammirazione.
Vittorio M.
Ma l’arte è proprio questo che ci dice giustamente Pat Sophie: è come l’arte della cucina, l’arte di tirare con
l’arco, l'arte del giardinaggio, e molte altre: tutto è un'arte, se è fatto con amore. Arte vuol dire fare con
amore, e così era quando si guardava a un'abilità, all'acquisizione di una competenza, a una lunga
dedizione, mentre oggi non c'è più niente di tutto questo. Abbiamo già visto che Il mondo dell'arte è diventato
uno spettacolo, in cui non c'è freno a ogni tipo di esibizione e di eccesso. ...
Carla S.
L’arte esiste però ancora; non esiste un canone, questo si, perché i canoni sono stati tutti mandati a farsi
benedire, quelli letterari, quelli artistici, quelli musicali. La cosa è iniziata agli inizi del '900; il sapere
contemporaneo, il modo di essere contemporaneo, si sono dispiegati su uno scacchiere troppo vasto
perché possa esistere un canone, come è esistito fino all’800, un canone di armonia, di bella misura, di
comportamento. E' vero che esiste oggi tanta paccottiglia nel sistema dell’arte, c'è un mercato tiranno che
impone artisti che non valgono niente e magari lascia in ombra artisti che valgono, però artisti che valgono
oggi ce ne sono; ma il fatto è che il mondo contemporaneo ha talmente tante branche di sapere che bisogna
saper nuotare in molti stili. Allora, se uno vuole parlare dell’arte contemporanea, deve tuffarsi in questo mare,
che è pieno di secche, di scogli, ma anche di cose meravigliose come tutti i mari. Ci sono artisti stupendi
oggi, che ci danno tanto - meno male che esistono - nel mondo delle arti figurative, nel cinema, nel mondo
della scrittura. E che cos’è che li distingue da quelli che sono paccottiglia, o che vengono imposti dal
mercato?: E' il fatto che ci fanno vedere più a fondo le cose, che ci fanno entrare in quello stato d’animo,
come dicevi tu, di compenetrazione maggiore con gli altri, con la realtà, con l’universo e con le sue
contraddizioni, anche perché io credo che noi oggi viviamo in un mondo che vive della contraddizione, e
forse la deve anche assumere. E'un momento storico così, è quello che per esempio, nel campo religioso,
Floreschi chiamava il mondo dell’antinomia: io posso essere ateo e credere lo stesso in Dio. perchè non
esiste più oggi una definizione accettabile di Dio. La definizione che ne dà la Bibbia, o quelle di tutte le
religioni costituite, non sono più accettabili. Nello stesso tempo, nessuna persona di buon senso che abbia
un minimo di cultura, non può non sentire che tutta la realtà dell’universo ha un’anima, uno spirito - è
altrettanto innegabile - e allora una convinzione convive con l’altra, e anche col dubbio, e stanno tutte
insieme. Ecco per esempio io ho letto in questi giorni un libro stupendo di Batison "Dove gli angeli esitano",
in cui si parla proprio della realtà di Dio, della realtà del sacro, che cosa può essere per noi oggi: non può
essere quella che è stata fino a ieri. Tuttavia non possiamo buttarla a mare, quindi accettiamo un'intuizione,
cui non sappiamo dare un corpo, ma che c'è; anima, spirito e corpo li dividiamo ancora oggi...non li
possiamo più dividere, ma com’è che li unifichiamo? Non lo sappiamo, tutto attende una nuova formulazione
della spiritualità, di quelli che erano i concetti di Dio, del sacro, di anima, di spirito, di corpo che c'erano
prima…
Vittorio M.
Io apprezzo molto il tuo intervento, come ho apprezzato anche quelli che hai fatto in altri incontri, che
mostrano tutti la tua cultura, la tua sensibilità, e poi questa equanimità con cui guardi alle cose, Però non
sono d'accordo sulla conclusione che mi sembra di leggere in fondo alle tue parole, cioè un porre tante cose
non dico sullo stesso piano, ma in una condizione di coesistenza e di equivalenza, come se una cosa
valesse in fondo l'altra, si potesse credere o non credere..
Carla S.
No, non dico questo...
Vittorio M.
...ma guarda che l'hai detto anche altre volte. Tu dici: ci sono tanti aspetti del vero, il mondo contemporaneo
ne ha moltiplicato la percezione, non si possono più accettare le limitazioni, i canoni - su questo sono
d'accordo - però il passo seguente è che, per finire, uno accetta tutto, mentre a me sembra che, proprio
perché viviamo in un mondo di estrema molteplicità e frammentazione, bisogna saperci orientare con nuova
forza verso un'unità in cui tutto questo possa un giorno ricomporsi. Molta arte contemporanea esprime la
frammentazione, l'angoscia del mondo in cui viviamo e si impegna anche, si direbbe, nel darle enfasi - è
molto più facile esprimere il brutto che il bello - ma io vorrei un'arte che esprima invece l'anelito all'unità, che
è appunto anelito al bello, al vero.
La crisalide
La mia è forse un'istanza solitaria, che può anche portarmi a farmi un'immagine ingenua dell'unità a cui
aneliamo, o che può almeno sembrare tale alla cultura corrente ma, come ho fatto con questi Seminari, la
difendo in prima persona. Sarò anzi molto incauto, parlando adesso di un mio quadro che, sia ben chiaro,
non vuole assolutamente proporsi come esempio di quello che intendo per arte ma, poiché è stato usato
come icona del Seminario, mi sembra giusto parlarne almeno negli ultimi dieci minuti di questo. E lo faccio
perché, a modo suo, esso può rispondere a quello che tu dici sul corpo, sull'anima e sullo spirito, su come
possiamo distinguerli e soprattutto riunirli.
Vedo quindi nel quadro tre parti: una in basso, una mediana e la terza in alto. In quella in basso regna
l'oscurità, come in una notte di tempesta e, nel buio, si vede una gamba che sembra tesa nello sforzo di
avanzare: è la nostra vita fisica, il nostro corpo, è l'oscurità della caverna di cui abbiamo tanto parlato nel
Seminario "Arte e Psiche". Nella parte mediana, vediamo invece una crisalide (il quadro si chiama proprio
così) che è l'anima, che è anch'essa un corpo ma più etereo, un corpo celeste che ha in sé l'impronta di
un'armonia cosmica, lo si vede dalla spirale...Nella parte alta infine si apre la bianca ala di un angelo, che si
libra in un cielo dorato. Consentitemi di leggere in essa lo spirito e di vedere quindi nell'insieme il corpo,
l'anima e lo spirito, che compongono una sola cosa, una sola figura: è la nostra figura, siamo noi che
procediamo verso la nostra realizzazione.
Così, rispetto a un punto di vista colto, aperto come il tuo, anche appassionato, che unisce una sensibilità
religiosa a uno scetticismo intellettuale - è esempio della contraddizione del nostro tempo - io tendo a
spingermi verso un pensiero unificante che non teme di esprimersi in un'immagine, e soprattutto verso una
fede che in tal modo si costruisce dal profondo di me stesso, e non da una problematica culturale. Non solo
sono uniti il corpo, l'anima e lo spirito, ma lo sono anche il pensiero, l'immagine e la fede. Se poi viene
qualcuno che mi dice "ma si, hai questa fede ma uno può averne un'altra, se ne possono avere tante e poi,
per finire..." rispondo che è invece bello combattere per la propria fede e credere fino in fondo nel proprio
amore. Come un uomo che ha una donna non può dire: "si, c'è lei, ma ce ne può anche essere un'altra, e
un'altra ancora..." No, amo la mia donna ed è tutto per me.
Conclusione
Sulla scia di tutte le forme di unione che abbiamo visto - fra sentimento e ragione, femminile e maschile,
natura e civiltà, libertà e legge ecc. - siamo giunti a un certo punto ad evocare l'unione fra la materia e lo
spirito. Il rapporto fra sentimento e ragione, che ci ha occupati per tutto il Seminario, si ripresenta così nella
forma più grande e originaria, in cui la materia della creazione è assimilata al sentimento - pensate alla
materia oscura, al caos iniziale - e lo spirito alla ragione, non la ragione umana che ne è un'emanazione ma
la coscienza universale. Non è forse dall'unione di questi due principi che è nato il mondo?
Molto più in piccolo, anche l'arte ci è apparsa come una forma di unione, analoga a tutte quelle che abbiamo
considerato salendo di piano in piano, ma ci sono molte forme di arte, una per ognuno di questi piani, di cui
la più alta è appunto quella che ha generato il mondo. Di fronte alla straordinaria bellezza di questo, come
non credere che esso non sia la più grande opera d'arte concepibile?...e che l'arte umana può solo cercare
di imitare in piccolo e da lontano? E' quindi l'unione fra materia e spirito che può essere chiamata "'arte
suprema"?
No, l'arte suprema è ancora più alta: essa lascia indietro la materia, perché è l'unione fra l'anima e Dio.
Anche nel Seminario "Arte e Psiche" avevamo percorso lo stesso cammino, ricordate? Psiche, cioè l'anima
umana che, attraverso le diverse fasi della sua esperienza, realizza finalmente la sua divinità, ossia si unisce
a Dio. Non a caso lo fa, nel mito, in virtù del suo essere sposa di Eros, l'Amore, quintessenza di Dio.
Questa può essere una prospettiva escatologica, si dirà, ma cosa ha in comune col concetto di arte e tanto
meno con i diversi modi di fare arte? Diciamo allora che l'arte è essenzialmente "imitazione", in molti sensi.
Una volta si pensava che fosse imitazione del vero, ma era solo uno stadio, riferito a una rappresentazione
realistica. L'imitazione del "vero" nel senso più alto della parola è imitazione del gesto creatore, del divino,
un'imitazione che si fa con un solo mezzo: l'amore. Amore su tutti i piani: guardando all'amore divino che si
effonde nella creazione del mondo, è amore della natura, dell'uomo, della donna, di tutto, fino anche
all'amore per il proprio mestiere, per la materia su cui si lavora, per la propria piccola opera. Non c'è vera
arte senza amore; mentre la falsa arte è quella in cui questo sacro principio è dimenticato o, ancor peggio, è
tradito nel suo contrario: dove l'arte è imprigionata nella materia fine a se stessa, nella mente fine a se
stessa, nella separazione che ne consegue dal proprio cuore e dall'universo intero.
Ecco che scopriamo così anche un senso etico dell'arte, certo non pensando che l'arte debba incarnare dei
precetti morali o essere giudicata sui loro parametri. Direi anzi che l'arte in sé non ha alcun rapporto con la
moralità; la legge estetica a cui obbedisce ne è del tutto indipendente anche se ne è il perfetto equivalente,
secondo l'assoluta identità fra il vero, il bello e il buono. E' nella fedeltà a questa identità l'etica dell'arte.
Fra tutti gli strumenti umani che permettono di avvicinarsi a queste virtù, diciamo che l'arte si distingue per
una qualità preziosa che essa possiede in modo eminente: l'intuizione. Essa intuisce ciò che poi è portata
ad imitare, immedesimandosi con esso, formandosi a sua immagine.
E qui permettetemi di evocare ancora una volta la visione della città ideale che ho sempre nutrito in me, "La
città a immagine e somiglianza dell'uomo", ossia del Dio che l'uomo porta in sé, per concludere con
l'auspicio che anche l'arte possa essere ugualmente una"arte a immagine e somiglianza dell'uomo".
Un'arte cioè che sappia riconciliare e riunire gli attributi essenziali dell'uomo che in tutto questo Seminario ci
siamo sforzati di mettere in luce: un sentimento sviluppato al punto di poter contenere in sé l'umanità, la
natura, il mistero, l'anelito religioso, e una ragione capace di rischiarare tutto questo e di elevarsi al divino.
E' in questa unione, in questo equilibrio la realizzazione dell'uomo la cui anima si unisce a Dio. Ci si avvicina
ad essa in tante forme e anche nell'arte, nei limiti dei vari contesti storici e culturali, ma soprattutto, al di là di
questi e di ogni forma transeunte, la si consegue nella nostra stessa anima, quando essa si rende capace di
collaborare all'Arte suprema.
Grazie