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C.1.2.10


Indice ARTE E PSICHE

 
Dibattito - Incontro n° 14

Vittorio M.
Dopo aver visto le immagini, possiamo adesso conversare.

Elisa M.
Cosa tiene nelle mani la ragazza dal volto bianco?

Vittorio M.
Niente, ha le mani vuote…E’ un quadro molto triste. Come è nato? Una volta avevo un’amica, e ho provato a farle un ritratto, disegnandolo dal vero; poi, quando è andata via, l’ho dipinto ed è venuta fuori un’altra persona, quella che era sempre dolorosamente presente nel mio cuore ferito. L'amica aveva posato una mano sul tavolo, che in questa interpretazione è diventata un'espressione di desolazione: la mano è vuota, non è rimasto niente del nostro amore, della nostra vita...il suo fiore sembra ormai staccarsi e cadere.

Silverio G.
Il tema ricorrente in questi dipinti è un tema presente un po’ in tutto il pensiero e la filosofia greca, e non solo: il dualismo , che si trova anche in altre culture. E’ un tema ricorrente che sento ancora angoscioso nei tuoi dipinti, dove non si è ancora svegliato un qualcosa..., lo sento come un combattimento…

Vittorio M.
Certamente, non sto forse parlando della discesa agli inferi? Sto raccontando uno dei periodi più neri, più tristi della mia vita…Non lo faccio però a titolo autobiografico: il tema di questo discorso è il cammino dell’anima, dall’oscurità alla luce, dalla morte alla nascita, dalla nascita alla morte…Come ho detto prima, si verificano dei contesti, delle circostanze che permettono di concretare queste potenzialità, di esprimerle, una volta in un modo felice, come nel quadro che si vede su quella parete (1993.04.25Gioia in primavera), colmo di luminosità, e altre volte invece in temi di profondissima oscurità. Diceva Kendal, la ragazza americana presente l’altra volta, che appunto certe volte le sembra di essere al settimo cielo e poi la mattina dopo si trova di nuovo sprofondata nel dolore. Può accadere poi certe volte che questo sprofondamento non è solo il malumore di una giornata, o un periodo nero della vita. Per me è stato un’esperienza prolungata che potremmo appunto definire una vera e propria discesa agli inferi. Questa ha degli illustri precedenti, per esempio in Dante, che ha amato enormemente Beatrice, non ha potuto realizzare il suo amore, avendo sposato poi Cosima Donati, con cui ha avuto dei figli, una vita famigliare, ma questa oscurità, questa sofferenza che aveva in sé, l’ha portata e espressa in un intero poema, di cui la parte dedicata al dolore totale, angoscioso, occupa un terzo delle sue pagine, mentre un altro terzo è dedicato alla lotta per uscirne fuori e solamente l’ultima parte sarà finalmente la luce. Certo io ho un certo coraggio, anzi una certa impudenza nell'aprirmi, nel condividere con voi questa vicenda, nell’associarvi anche ai miei lati oscuri. Voi conoscete Jung, quando parlava della nigritudo, che è proprio la base del cammino interiore. Come vedete, non nascondo certo la mia.

Pat Sophie G.
Sono quattro le fasi, che poi arrivano al finale e quello di cui parli tu è la prima fase, nigredo, in cui tu entravi proprio nei tuoi inferi….e poi veniva l’albedo , e in questo bianco tu sentivi ancora le fasi di divisione, come uomo-donna, fino a quando superavi anche questo e ritornavi a quello che s’intende come Dio, nel senso di Creatore, la fase finale in cui si consegue un livello di coscienza che tutti noi speriamo di raggiungere. Ed è lì che noi sentiamo che siamo un tutto contemporaneo, per cui ”l'inferno e il paradiso” che percepiamo come delle fasi separate sono in realtà contemporanee. E lì c’è tutto, c’è una scala che sale e che scende…come quel quadro (1997.02.23 L'Aurora interiore) che non esula dai suoi contorni, ma al contempo è infinito, ha una costrizione simbolica…

Vittorio M.
...esattamente. Gli altri quadri che vi ho fatto vedere si riferiscono ad un certo periodo, 1978-79, mentre questo è di tanti anni dopo e l’ho inserito in questa presentazione come una consolazione, perché dopo tanta oscurità, dopo aver viaggiato nell’inferno, vi faccio vedere per un momento, non dico il paradiso, ma un anticipo di purgatorio… E’ molto bello che proprio nel cuore della nostra sofferenza si crei ad un certo momento un chiarore di luce! Però, intendiamoci, esso non è dato ed acquisito una volta per sempre, è un chiarore che poi lascerà posto alla tenebra, al tramonto, alla notte e ancora oltre….Ciò è inevitabile, e non per questo è una condanna, perché, come abbiamo già detto l’altra volta, è un movimento ciclico, circolare anche se in realtà evolve in una spirale ascensionale.

Silverio G.
Non vorrei sintetizzare con una battuta il tuo cammino spirituale che sicuramente ha degli aspetti a cui bisogna riflettere con maggiore attenzione, però mi sembra che in tutti noi, chi più chi meno, la ricerca della felicità sia il frutto della libertà, la libertà è il frutto del coraggio e di tante altre virtù che ci possono essere, e tutto è il frutto di un semplice concetto: che secondo me, oggi, l’uomo contemporaneo ha perso: il bene, la ricerca del bene. L’aver smarrito questo concetto fa riproporre sotto altre forme, sotto altre visioni, questo dualismo, che è un dualismo per certi versi manicheo, e per altri versi angoscioso.

Ettore L.
E quand’è che l’uomo avrebbe trovato il bene? Hai detto che l’uomo ha perso il bene, quindi presuppone che ad un certo momento l’avesse, si perde solo un qualcosa che si ha. E quando allora l’aveva?

Silverio G.
Bè, l’aveva nel momento in cui…sai ci sono vari miti….come in quello platonico, relativo ad un momento in cui sicuramente c’è stato questo possesso…oggi invece…c’è un’autenticità dell’uomo del passato che oggi l’uomo moderno non ha più…

Ettore L.
Sei convinto di quello che dici, si?

Silverio G.
Sì, ne sono convinto, perché ogni volta che il tempo passa, successivamente si raggiunge un’altra dimensione, un’altra consapevolezza….ma l’uomo di altri tempi probabilmente la viveva con maggiore autenticità, senza intellettualizzazioni..

Pat Sophie G.
D’altro canto, siamo tanti, siamo vari nella manifestazione dell’uomo e attualmente c’è un fermento incredibile…

Silverio G.
Sì….tornando al discorso della caverna di Platone, un aspetto che non si è toccato è che chi esce fuori da questa illusione e vuole portare in qualche modo la luce, viene considerato un matto, un diverso, non viene accettato. Questo è un aspetto che a me fa paura…

Pat Sophie G.
Si parla tantissimo di entusiasmo, proprio l’eros è l’entusiasmo, che ti porta, apparentemente in momenti diversi ma in realtà contemporaneamente, a un livello massimo di sofferenza, di follia, ma anche di creatività. Tu prima chiedevi “come puoi dire che siamo Dio?", ma proprio gli Ebrei avevano cercato di chiarirlo, dicendo che da un lato noi possiamo aver bisogno, proprio per strutturarci, di Jahvé, che è il giudice, quello che ci mette davanti a delle prove, che ci sgrida, che ci impone dei doveri, e che è il Creatore. Dall'altro, abbiamo invece il "creativo"e quello siamo noi, ciò che ci fa vivere, che ci fa essere: è lì che funziona l’entusiasmo, che è la follia della creazione. E’ una follia positiva, è il bene, è quello c’è, c’è sempre stato e forse non riusciamo a vederlo perché siamo noi a non volerlo vedere. Io per esempio so di non averlo visto per tanto tempo, ma adesso lo vedo, e quindi vuol dire che c’è, come tutti mi dicevano anche se io non lo credevo. E ora lo dico a te, magari un altr’anno ci crederai, non so, però c’è…

Vittorio M.
Ettore chiedeva a Silverio se è vero che l'uomo aveva una volta il bene e quando... Si può essere portati a credere che certe cose oggi vadano molto male perché abbiamo abbandonato il buon modo di vivere dei nostri padri ecc. ma questa è una leggenda, certe volte può anche sembrare vera, ma ne abbiamo conquistate tante altre di cose e l'idea del bene perduto va vista come un'illusione.
Io credo invece molto al concetto della caduta, nel senso biblico, nel senso della caduta degli angeli ribelli. C'è sempre stato questo mito nell'umanità, che però è un mito cosmico. Penso che la caduta sia da porre in rapporto con un'unità originaria: in questo senso la Creazione è una caduta. L'unità originaria era l'Uno. Quando si è scisso, prima nel Due e poi, a catena, in infinite parti, si è creato il mondo, e questa è la caduta, da cui nasce il movimento contrario, cioè la spinta cosmica al ritorno all'unità. E' l'unità e anche tutto ciò che vi concorre il vero bene, che perseguiamo talvolta anche attraverso il male, poiché bene e male sono intrecciati insieme, sono la stessa cosa vista da due angoli diversi. Non è che gli uomini di una volta fossero migliori degli uomini di oggi e che da allora siano decaduti, e quindi mi sembra difficile darne un giudizio morale, rimpiangendo i tempi passati e deplorando il cattivo andazzo del mondo, anche se queste cose, in certi ambiti, possono essere vere.
Ma il mito platonico si riferisce a ben altro bene, senza alcun rapporto con il piccolo contesto della storia umana ma piuttosto riferito a un fatto cosmico di indicibile portata.
Quanto a quello che diceva Silverio sull'angoscioso dualismo (che rileva anche nei miei quadri) a cui porterebbe la rinuncia alla ricerca del bene da parte dell'uomo contemporaneo, il discorso è lo stesso. Se il sommo bene è l'unità, e se il dualismo e anzi la molteplicità sono quindi il male, questa è la condizione dell'uomo e anzi di tutto l'universo, da cui non si può prescindere. Nessuno vuol rinunciare al bene ma non si può far finta che non esista il "male", ossia la vita, la realtà, attraverso cui soltanto si può sperare di realizzare il bene.

Silverio G.
Sono temi affascinanti. ...Mi fanno pensare a "Odissea nello spazio" di Kubrik.

Vittorio M.
Per vedere di limitare un poco il campo - sono stato io colpevole di essere andato troppo lontano - vorrei chiedervi se, in questa esperienza che ho cercato di comunicarvi con i quadri, in questo contatto con l'ombra, c'è qualcosa di vicino alla vostra vita, che vi interessa mettere in luce? No? Siete tutti luminosi e nessuno di voi ha un po' di ombra?

Paolo M.
Mi sembra che quello che tu hai messo sulle tele, siano esperienze molto generali,del modo in cui sogniamo gli amori e ne viviamo i dolori, anche se esse vengono a concretizzarsi in modo diverso da persona a persona. In molte cose mi sono ritrovato, cose che mi fanno pensare alle mie vedute, alle mie scelte. I quadri che illustrano il tuo percorso hanno una validità abbastanza generale...

Vittorio M
Questo tipo di comunicazione è l'esperimento che facciamo con questi incontri. Normalmente, uno va a una mostra, vede dei quadri (se li vede, perché alle vernici non si guardano neanche), e può esprimere un giudizio, spesso superficiale, collegato magari a cose già viste o alla locandina con il testo del critico. In altri casi invece, si va a una conferenza di psicanalisi, nella quale si parla di certi processi dell'anima, senza poterli però visualizzare. La nostra piccola esperienza è invece nel legare la parola all'immagine, un vissuto personale che è il mio ai vostri vissuti personali, riconoscendone come diceva Paolo gli elementi comuni. Ne risulta una comunicazione attenta ai contenuti e allo scambio, una comunicazione, si direbbe oggi, interattiva.

Paolo M.
Quante canzoni, quante opere liriche vengono fuori da un'interpretazione dei moti dell'anima. Non è forse la discesa agli inferi come l'hai chiamata tu ma ci sono tanti modi per dire la stessa cosa. La cosa bella è che, quando queste interpretazioni vengono espresse, ciò è anche molto liberatorio. Quando ne escono forme di arte, quando uno riesce a visualizzarle, a crearle, è un modo di guarigione. Penso che sia importante riuscire a materializzare il proprio dolore in una forma o nell'altra, scrivendo un libro, una poesia, o componendo della musica, o facendo dei quadri come te. Sono tutti modi di guarigione, e poi i tuoi quadri sono molto belli...

Vittorio M.
Vorrei aggiungere una cosa: è liberatorio ed è un'auto-guarigione. Mi viene fatto però di pensare dolorosamente a quel Cristo crocifisso che vi facevo vedere prima, nell'oscurità, e di chiedermi: non è forse accaduto nella storia dell'uomo, nella nostra religione, che a un certo momento questa oscurità, che abbiamo in noi, è diventato liberatorio di togliercela di dosso e di proiettarla al di fuori di noi? Allora tutti quanti diciamo: povero Gesù, quanto ha sofferto, è morto in croce ecc., facendone così un capro espiatorio. Invece di riconoscere l'oscurità in noi, la proiettiamo in un'altra persona, in un simbolo. Assumerla in proprio dovrebbe essere invece la vera lezione

Silverio G.
C'è una famosa canzone dei Beatles che si intitola: "be aware of darkness."

Vittorio M.
Quindi non vorrei che, nel vedere i miei quadri, diceste: ecco, Vittorio ci mostra l'oscurità, che se la tenga lui e noi...

Luisa G.
Nei tuoi quadri non si è vista solo l'oscurità ma anche la luce. Per esempio il quadro che hai fatto nel periodo in cui è morta tua madre. (1978.05 La mamma) mi ha colpito perché l'ho trovato, si, molto triste, ma nello stesso tempo luminoso. Quindi, ritorna il discorso che in noi vivono diverse emozioni, diverse sensazioni, però è rasserenante vedere che, anche in un dolore, può emergere una speranza.

Vittorio M.
Brava, questo è un bellissimo messaggio. Riguardando questo quadro vedo che non solo c'è anche la luce ma che essa è dominante.

Caterina B.
Riprendo quello che detto Silverio, che oggi non sembriamo più in grado di ricercare il bene, ed è una cosa che colleghiamo all'uscita dalla caverna, dall'oscurità. Secondo me invece non riusciamo a rimanere nell'oscurità per indagarla, sono cambiati non solo i modi ma la velocità della nostra vita, non abbiamo tempo, i ritmi di internet non sono più quelli del raccoglimento, e questo ci porta a non poter permanere nella nostra oscurità. C'è chi ha la fortuna di poterla anche materializzare in un quadro piuttosto che in una poesia, ce l'ha così davanti a sé e la può indagare e chiedersi: perché sono qui, cosa c'è in questa oscurità che non va, che cosa posso fare per uscirne?

Vittorio M.
Parli di qualcosa che non va. Non necessariamente lo stato di oscurità è qualcosa che non va

Caterina B.
non sentiamo la necessità di permanere nell'oscurità per capire perché siamo li...andiamo avanti, solo avanti

Elisa M.
abbiamo un'immagine solo virtuale di noi che non ci soddisfa

Caterina B.
va benissimo che non ci soddisfi perché, se c’è un problema, vuol dire che qualcosa non va bene e bisogna andare oltre, trovare la soluzione…Solo che se ci limitiamo ad andare oltre, il problema permane e poi ce lo ritroviamo. Bisognerebbe riuscire ad avere la forza di starci nel problema, chiederci “da dove viene” e solo dopo andare avanti. E’ un lusso, è bellissimo il passaggio nella caverna: è uno schifo quando ci sei, d’accordo, però bisogna avere la forza di rimanerci per vedere quale sia la soluzione. Quello che manca non è non la ricerca del bene, ma il tempo e la voglia di rimanere lì a capire.

Giorgio F.
Ma è sempre stato così nella storia dell’umanità! Il lusso di affrontare la propria caverna è sempre stato di pochi…non è colpa della tecnologia, della velocità, è che la gente semplicemente è impegnata a vivere. E a Vittorio io vorrei chiedere infatti: per permanere nella caverna, quanto è importante il discorso che, quando fai arte, in realtà tu stai facendo catarsi? L’arte come catarsi secondo me è fondamentale nella storia dell’arte occidentale, ed è qualcosa che è permesso, ahimè, a pochi…

Pat Sophie G.
Infatti gli altri si prendono la depressione, l’artista invece fa catarsi.

Vittorio M:
Sì, è un’auto-terapia. Non so quanto possa esserlo per gli altri, ma per me lo è stato..

Pat Sophie G.
E’ una terapia anche per noi. E' questo che stiamo facendo, come spettatori che partecipano. Però deve partire da qualcuno che evidentemente riesce a fare catarsi.

Vittorio M.
Vorrei però ora rispondere a Caterina. E’ verissimo, viviamo nell'oscurità, come in una notte, ma noi spesso siamo distratti e non ci rendiamo neanche conto di essere nella caverna. Non sono però del tutto sicuro che vada bene dirsi che è una questione di mancanza di tempo, che dovremmo poterci fermare per vedere che cosa non va. Non è che l’oscurità sia un difetto, o che ci sia qualcosa che non va: è la realtà. Sarebbe come dire che la vita è giusta solo di giorno? Eh no, è necessaria anche la notte… E' lo stesso della morte, rispetto al concetto di una vita ludica e illusoriamente sempre attiva: in realtà la morte è altrettanto necessaria. Quindi, fermarsi nell'oscurità è un elaborare, certamente, i lutti, i complessi, i problemi, però è molto fecondo, non è un trovare un difetto, bensì una parte estremamente nutriente della nostra vita.

Silverio G.
Se ho capito bene quello che diceva Caterina, si poneva l’accento sulla velocità dei giorni nostri.

Vittorio M.:
Questo è un altro discorso, lo sappiamo che nella vita forsennata di oggi non è facile fermarsi…non è frequente trovare chi, come me, oltre a fare questi quadri, trent’anni dopo ha ancora il tempo di pensarci.

Caterina B.
Anche la morte, che è un evento naturale, e fa parte della natura come qualsiasi altro passaggio nella caverna, non viene nemmeno trattata, anche nei telegiornali. Si direbbe che non ne abbiamo il tempo...

Vittorio M.
Come diceva Marcel Duchamp, “sono sempre gli altri che muoiono”…e l’aveva detto da vivo, anche se poi la frase è stata scritta sulla sua tomba.
Tornando a quanto detto prima, io credo molto nella dualità come motore dell’universo, in cui delle coppie di forze opposte tendono continuamente a fondersi in un'unità: quando noi nasciamo, la materia e lo spirito tentano di riunirsi in noi, il corpo e l’anima tentano di formare un insieme, e un uomo e una donna fanno la stessa cosa quando si amano. Però sono tutte prove, tutti tentativi temporanei di realizzare il ricongiungimento, lo si vede proprio nell’esperienza dell’amore e nelle stagioni: in primavera si congiungono i pollini, fioriscono i fiori, poi vengono i frutti, la pianta in qualche modo ricrea con essi una totalità, ma poi il frutto cade e tutto deve ricominciare...

Gaetano
Io volevo tornare un po’ al tema iniziale, quello da cui si è partiti: l’inferno. All’inizio era stato accennato che quello che fa precipitare all’inferno è un evento traumatico, e in particolare mi sembra che questo per quasi tutti gli uomini sia costituito da un dolore che scaturisce dalla perdita di una persona amata. Sicuramente esistono anche altri eventi traumatici che possono comunque farci precipitare, ma sembra che questo inferno sia legato molto strettamente al tema dell’eros, come se una persona sperimentasse l’inferno solo attraverso l’eros.

Vittorio M.
In realtà anche altri eventi sono altrettanto funzionali all'esperienza del dolore, dell'inferno: anche la morte di una persona amata, una guerra, una catastrofe…

Paolo M.
Però, se guardi la storia dell’arte, è quasi sempre la perdita della persona amata che sembra essere il motivo scatenante…

Vittorio M.
Noi abbiamo parlato molto di eros, in quanto ci pone di fronte a emozioni molto forti: se muore un genitore, è triste ma ti mette di fronte all’evidenza, alla responsabilità della vita…Nell’eros, invece, uno si abbandona a un sogno di felicità, crede davvero di aver sormontato la divisione, si slancia nel cammino verso l’unità, verso la felicità. Ed è un’illusione così straordinaria, così meravigliosa, che, quando cade, ne deriva una caduta altrettanto vertiginosa. La morte di un genitore non è una delusione, è una consapevolezza, la morte del figlio è ancora un’altra cosa, gravissima. Comunque, sono tutte circostanze che ci portano a vedere quanto la vita sia illusoria, e di come appunto bisogna mirare al valore essenziale con cui vivere, che è questo essere interiore che va al di là della vita, al di là della nascita, della morte, e di cui uno apprende l’esistenza attraverso esperienze dolorose come quelle di cui abbiamo parlato. E’ veramente solo col dolore che ci chiediamo qual'è il senso della vita mentre, finché le cose vanno bene e siamo felici e contenti, non ci pensiamo proprio.
Nell'ultimo incontro, mi è accaduto di finire con quel quadro che è là, l’angelo che è di fronte alla nostra parte oscura e cerca di illuminarla e liberarla dalle catene. Dobbiamo scendere in essa proprio per capire che non è la sola realtà, che esiste la luce e che essa vince sulla tenebra. Nella vita, continuiamo a proiettare questo bisogno di luce in un figlio, in una persona amata, come se fossero angeli, e in fondo lo sono anche, ma solo in modo transitorio, transeunte: il vero bene, il vero angelo, il vero Divino in noi va scoperto, si, nelle forme che la vita ci offre, nell'esperienza che ne facciamo, ma al di là della loro contingenza.

Caterina B.
Io penso che il dolore non sia necessariamente solo quello per la perdita di una madre, di un figlio, di un compagno: uno può perdere anche se stesso, non riuscire più a ritrovarsi, anche se ha una bella famiglia, e cadere quindi in depressione che è il male di oggi. Se perdo me stesso, se perdo l’amore per me stesso, è sempre una perdita…

Vittorio M
Certo che è una perdita, per non parlare della perdita della vita, ma sono perdite per sempre? Come accade nella vita di sperimentare la perdita di un amore, che poi rinasce; come dopo la notte spunta il giorno, e così via, così penso che anche la vita e la morte si alternino, in un rapporto ciclico. E' questo il motore dell’universo. Noi non ne conosciamo bene il funzionamento perché non abbiamo memoria di vite precedenti, ma bisogna arrivare a capire che la nostra personalità, con le sue gioie e i suoi dolori, è un fatto transitorio. Bisogna arrivare a scoprire il vero essere nostro, che è quello che non conosciamo ma che può guardare alla vita e alla morte come ad eventi ciclici che fanno parte di un ambito ben più vasto. E' quindi la ricerca del protagonista di questo ambito, il Sé, che importa. E' questa la vera catarsi. Tutto il resto, quello che ci accade in mille forme, sono tutti errori, tutti fraintendimenti, bocconi dolci, che mangiamo per scoprire poi che in realtà sono amari. E' il gioco delle illusioni della vita, a volte felici, altre drammatiche, ma che dovrebbero arrivare a farci capire appunto qual'è la nostra vera natura, il nostro vero essere, per proiettarlo poi verso il divino, che in verità già adesso siamo, magari in modo deforme o amputato come ho cercato di esprimere prima.


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