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C.1.2.8

Arte e Psiche
EURIDICE Eros e Amore,
la Discesa agli Inferi


La VICENDA DELL'ANIMA
in dialogo con Vittorio Mazzucconi
e la sua pittura
Incontro n° 14 del 7 ottobre 2009


Indice ARTE E PSICHE

 

Nel dibattito sono intervenuti anche: Pat Sophie Graja, Silverio Guanti, Elisa Merli, Ettore Lariani, Paolo Manasse, Luisa Gonella Caterina Bazzani, Giorgio Fedeli, Gaetano Marchisio.

Vittorio Mazzucconi

Nell'incontro precedente si è parlato molto dell'ombra. La seduta era dedicata alla "Caverna Oscura", cioè la caverna di Platone, in cui ancora oggi possiamo riconoscerci. Si guardava quindi molto alla caverna come alla condizione umana, da cui, con mille sforzi, non solo in questa vita ma in mille vite, in tutta la storia umana, in tutta l'evoluzione si cerca di uscire, per arrivare a quella luce che Platone supponeva esterna alla caverna, al di fuori di essa. Questa volta si va avanti in questo processo e si parla della Discesa agli Inferi.
Che cos'è? E' un antico pensiero dell'umanità che, per conseguire la saggezza, occorra prima andare agli Inferi. In termini moderni, si dice che bisogna incontrare la propria ombra, un cammino assolutamente obbligato. Sarebbe impossibile svegliarci la mattina se non ci fosse stata la notte dietro di noi, come non sarebbe possibile nascere se non ci fosse stato dietro uno stato, per quanto sconosciuto, di esistenza, così almeno io penso. Per chiarire il nostro percorso spirituale, per arrivare appunto a una luce, bisogna passare dall'oscurità e rendersi conto che questo passaggio non è una condanna ma una conquista. Nella storia della cultura ci sono state tante discese agli Inferi, da Eracle a Ulisse, a Enea, a Dante stesso che ne costituisce forse l'esempio più straordinario, avendo costruito tutto un poema, di cui l'Inferno è la prima e dolorosissima tappa, per poi passare al Purgatorio e quindi al Paradiso. Ora, queste sono categorie che magari non corrispondono più alla nostra cultura. Pensando al nostro percorso o facendo analisi non lo facciamo più in termini di inferno, purgatorio e purtroppo non certo di paradiso, ma nel senso di imparare a conoscere noi stessi. In certi aspetti della vita, come nell'amore, nell'eros, si incontrano queste tappe. L'eros che ci fa innamorare, che ci rende felici e quindi in qualche modo ci illude di essere usciti dalla caverna e di vivere un'esperienza di luminosità, di piacere, di felicità, e invece dopo, quando l'amore finisce, ci ripiomba e rinchiude nella caverna, ancora più dolorosa di prima. Se c'è infatti una caverna iniziale che è semplicemente una mancanza di luce, in cui non ci si rende magari neanche conto di essere in una condizione di oscurità - essa ci sembra anzi normale - con la fine di un amore c'è invece una caduta da uno stato di felicità, in cui uno misura completamente qual'è il dolore, qual'è lo spessore dell'oscurità in cui è precipitato.

Il Seminario è stato articolato in tre miti, che sono altrettante letture attraverso cui il dialogo con le parole e con le immagini che vi mostrerò parla di diverse fasi della vita dell'anima. La volta scorsa ne abbiamo anticipato una vista di insieme: dapprima con il mito di Euridice, cioè della perdita dell'anima nell'oscurità; poi con il mito successivo di Proserpina, in cui si giunge a una specie di accordo, di compromesso, di equidistanza fra la vita e la morte, la permanenza negli Inferi e il ritorno alla luce; e infine, con Eros e Psiche, con cui abbiamo visto come l'anima, emancipata da questa esperienza, giunge a un livello superiore di sviluppo, e diviene così degna di essere accolta fra gli Dei. Questo penso che sia proprio il fine della vicenda umana.
Oggi però dobbiamo visitare l'inferno. Mettiamoci nei panni di Dante, quando fa dire a Caronte, se non ricordo male: "lasciate ogni speranza voi che entrate..." Entriamo infatti in un mondo molto duro, di grande oscurità. Nella mia vita, l'ho incontrata in rapporto con la perdita di un amore. Bisogna dire però che tale perdita, per quanto grave, non era che un'occasione contingente, poiché l'oscurità in sé è qualcosa che io mi porto addosso, tutti voi ve la portate addosso, viviamo in questa situazione che viene rivelata all'improvviso. E' come uno che crede di vederci bene e poi magari, andando da un oculista che gli prescrive degli occhiali adatti, scopre che, prima di quel momento, ci vedeva in realtà malissimo. Così è la nostra oscurità, di cui non ci rendiamo conto, finché non ci è rivelata. Essa è in noi come una parte densa della nostra natura ma, per liberarla, occorre un evento traumatico come può esserlo la perdita di un amore, o un lutto, o una crisi, come capita un po' a tutti nella vita.

Il quadro che è qui appeso (1978.50 Atlantide), l'ho scelto perché, in ogni incontro, mettiamo in evidenza un quadro significativo dell'argomento trattato. Però questo, in verità, sarebbe più adatto all'incontro su Psiche che non a questo su Euridice, oppure diciamo che potrebbe essere dedicato ad ambedue i miti, poiché essi vogliono dire in fondo la stessa cosa. C'è poi in tutti qualcosa di comune, che ci fa pensare. Come è stato rilevato l'altra volta, Euridice è persa per sempre quando Orfeo si volta a guardarla, Proserpina non può neanche vedere, vivendo in un Inferno privo di luce, e Psiche perde Eros proprio perché lo vuole vedere accendendo la lampada. Si direbbe che questa oscurità non possiamo neanche cercare di chiarirla, o almeno non si poteva farlo ai primordi della condizione umana, in cui essa era probabilmente necessaria come una notte che prepara il giorno ma non deve essere interrotta nella sua naturale e benefica durata. L'oscurità può essere espressa in tante forme anche se, in questi miti, si presenta sempre come la donna e come un'esperienza di amore, che poi genera tante personalità secondarie, come possono essere quella di Euridice, di Proserpina o di Psiche. Quindi qui è adesso inutile chiedersi chi sia questa creatura. Sta di fatto che si tratta di una discesa, la discesa di Orfeo, di Eros, di un principio spirituale, in un'ombra, una cavità femminile, una cavità terrestre, come, nel quadro, lo si vede nel marrone della terra. Una cosa incoraggiante in questo quadro è che, per quanto sia oscuro il mondo in cui questo essere scende, anzi noi stessi scendiamo, al di fuori e al di sopra dell'oscurità c'è l'azzurro, c'è la luce. C' è quindi il cielo e la terra, la luce e l'ombra. Sono due realtà equivalenti e complementari? Ci piace pensare che non sia proprio così. La natura del cielo è infatti di essere azzurro e sereno, anche se ci possono essere delle nuvole che passano, ma in modo transitorio, effimero rispetto alla permanenza dell'azzurro. Non è una lotta fra la luce e la tenebra come fra due forze di eguale potenza, poiché è la luce la vera realtà, vincente nonostante ogni temporaneo oscuramento. Noi viviamo però proprio in questo. Nel quadro, è come come se si intuisse che esiste una realtà superiore di spiritualità, di azzurro, di luce ma che, al di sotto di essa, viviamo nell'esperienza terrestre ed anche sub-terrestre, quella delle profondità in cui appunto noi entriamo.

Orfeo che va alla ricerca di Euridice, possiamo vederlo anche in un'altra forma, cioè nel suo andare alla ricerca della profondità della sua anima, che ha proiettato in Euridice. Ognuno di noi, quando ci innamoriamo delle donne o le donne degli uomini, proiettiamo la nostra anima - Jung diceva il nostro animus nel caso delle donne - nella persona amata. Ma è proprio la nostra anima che è il protagonista. Quindi, in qualche modo, Orfeo che va alla ricerca di Euridice è la nostra anima che va alla ricerca di se stessa e appunto trova questa profondissima oscurità, e trova anche questo rapporto con la terra. Quando si parla di anima, non si può dimenticare che siamo anche corpo. Quindi, anima e corpo sono intimamente uniti. Questa oscurità è proprio fatta di terra. Nello stesso tempo c'è il cielo. Un famoso poeta e critico d'arte, Roberto Sanesi, scrisse un pezzo su questo quadro, sostenendo che era una collina, sulla cima della quale si celebrava un sacrificio, un rito sacrale. La nuvola bianca era secondo lui segno certo di una spiritualità. Questa, diciamo, è un'interpretazione che capta la presenza di un mistero, ma non lo svela.

Come chiedeva Elisa l'altra volta, come si può trasferire nel colore, nella mano, nel tatto, un mondo non conosciuto, non razionale, con quali mezzi..., e io accennavo al fatto che, più che pensare al cervello che trasmette degli impulsi alla mano, per dipingere, per scrivere, per suonare, bisogna pensare all'inconscio, questa forza profondissima che, come dice la parola, noi non conosciamo, e che cerca in qualche modo di esprimersi, qualche volta con parole, qualche volta con gesti, qualche volta con i sogni, e tutto questo in modi arcani, nascosti, che la ragione cerca poi di chiarificare. Ma come diceva Silverio, può farlo fino a un certo punto perché, se intellettualizziamo troppo, allora inaridiamo il mistero che volevamo conoscere. Il sogno va svelato, va chiarito, ma non troppo, altrimenti se ne perde appunto il mistero, la forza che ci nutre ed aiuta. Anche perché il contenuto di un sogno o di un quadro è un contenuto multiplo, non è un messaggio razionale; altrimenti non avrebbe bisogno di essere comunicato in un modo così misterioso. Non è una frase che ha un inizio e una fine, un senso preciso: è un qualcosa di meta-psichico, un insieme che può essere percepito a livello razionale in modi diversi, secondo come lo si guarda. Come tutto del resto, come la verità, che non è un'idea assoluta, ma qualcosa che ognuno può vedere in un modo o in un altro...ma non che siano letture arbitrarie, è solo che la vera verità è un tutto, è un simbolo totale che ha quindi innumerevoli facce, innumerevoli sensi, tutti veri ma tutti parziali.


Vittorio Mazzucconi 1978.50 Atlantide (Eros e Psiche)