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B.2.1.4 |
Estratti dal catalogo (3/4) |
Estratti dal catalogo
dell'Esposizione Riccardo Barletta Tre sono i poli, come in un ideale triangolo, che congiungono tutto il fare, passato, presente e futuro, di Mazzucconi. Da una parte il profondo bisogno di un radicamento e di uno sviluppo culturale in senso umanistico. Al secondo livello una pulsione a capovolgere, implicitamente, la leadership del razionalismo o dei suoi derivati - così forte nella teoria e nella pratica dell'architettura - con un'immersione nell'emozionalità oscura e vibrante del mito. Al terzo livello l'ancoraggio all'archetipo delle città-madri. In sintesi: umanesimo, mito, città-madri. Un processo catalitico condotto da decenni per ottenere la fusione di materia e spirito, di storia e presenza nell'oggi, di realtà tecnico-scientifica e di auratico pathos numinoso. Jean Marie Benoist Da Mazzucconi siamo portati all'evidenza di un'armonia, di una cifra, nella cui luce si depositano le voci feconde della memoria e del simbolo: la cifra segreta di una città non costituisce il termine di una sterile ricerca iniziatica ma è al contrario il lavoro proliferante di una creatività simbolica che non finisce mai di svolgere la ricchezza dei suoi enigmi e delle sue ambiguità rigorosamente costruite; ed è in questa eccezionale resurrezione del rigore e della fecondità barocche che si presenta oggi il valore di Vittorio Mazzucconi. Giovanni Klaus Koenig Mazzucconi conduce spesso un gioco di destrutturazione con grande rigore ma anche con una rara leggerezza, ricca di una dolce autoironia, che si ritrova in pochi altri fortunati architetti, Stirling in testa. Per capire quanto sia abile il suo procedimento, immaginiamo di ingrandire, oppure di diminuire l'inserto murario della facciata dell'Avenue Matignon: l'equilibrio ne sarebbe irrimediabilmente guastato e tutto l'effetto si perderebbe. E quando in un testo non si può cambiare neppure una virgola, si sa che siamo vicini al capolavoro. C'è poi nelle sue opere una sottile disperazione, che si traduce nel rigetto di ogni convenzione; ed è il segno di ogni vero poeta. Mazzucconi lo è, fuori di ogni dubbio: di quanti altri architetti potremmo dirlo, oggi? Agnoldomenico Pica Due elementi, nell'opera di Mazzucconi, incidono profondamente: la visione paradossale e cioè utopistica, e la prospettiva, vale a dire la geometria. La geometria è in qualsiasi architettura essenziale, certo, ma per Mazzucconi si tratta di una sorta di sublimazione della geometria, che potrebbe rimandare, non a una forma ma a uno spirito barocco. In realtà il suo stile non ha però riscontri se non con sè medesimo, in una singolare simbiosi di audace apertura verso il futuro e di cocente nostalgia. Simbiosi manifesta, senza possibilità di equivoci, nel progetto per il nuovo centro di Firenze a cui, con amore filiale, Mazzucconi restituisce quella sacralità che è radicata nella disciplina etrusca e che si traduce più tardi nel cristianesimo. Sacralità alla quale ha oggi sciaguratamente abiurato una società accecata e umiliata fra il delirio tecnologico e la volgarità del costume. Bruno Zevi Mazzucconi, mentre disegna un ritratto alto e nobile della modernità, intende decodificare ed animare lo spirito della tradizione. Nel dialogo con il "genius loci" e con gli ingredienti che ne articolano il codice, nulla di accademico. La differenza di Mazzucconi rispetto al razionalismo scaturisce dalla coscienza che la vera corrispondenza "funzionale" è quella con l'anima umana. Sente di appartenere ad un'epoca di straordinarie virtualità sia nell'edificazione che nella distruzione; ed afferma che tale dualità impone, ad ogni passo, un riordinamento dell'utopia. L'architetto-urbanista "deve mettersi prima di tutto alla ricerca di se stesso". |