BACK HOMEPAGE ARCHITETTURA PITTURA FILOSOFIA FONDAZIONE

C.1.1.8

il Lavoro Spirituale
La Rifondazione della città

Incontro n° 3 dell'8 aprile 2009
Conversazione di Vittorio Mazzucconi
La città a Immagine e somiglianza dell’Uomo


Indice IL LAVORO SPIRITUALE

 

Nel dibattito sono intervenuti anche Angela Sacchi, Bernardo Rossi, Lelia Frazzini, Giacomo Lucani, Marco Bolla, Francesca Molinari

Vittorio Mazzucconi

Nei due incontri precedenti abbiamo visto due aspetti della vita della città: quello della sua fondazione e quello del suo sviluppo nella metropoli contemporanea. Abbiamo parlato però di fondazione non solo come dell'atto remoto di nascita della città, ma come di un atto presente e addirittura futuro. La metropoli contemporanea ci è d'altra parte sembrata di una tale mostruosità (non parlo delle piccole e medie città italiane ma delle vere metropoli mondiali) che il solo modo per rimediare ad essa è appunto di pensare a una rifondazione della città.
La città deve cioè essere ripensata da zero. In tal modo si prepara uno strumento di conoscenza e intervento per quando la città e il mondo saranno da ricostruire. E' necessario che occorra una catastrofe per ricominciare, o sarà possibile un'evoluzione non traumatica verso una nuova civiltà?
Non lo sappiamo, anche se non v'è chi non veda che tutto nel mondo è basato sul ritmo della vita e della morte, la vita che conduce alla morte e la morte che è necessaria al sorgere di una nuova vita. Accade lo stesso anche per le città? Si, se pensiamo per esempio alla distruzione di alcune città antiche, fra le cui rovine ne sono nate altre; no, se si pensa invece a questi e ad altri passaggi come a una trasformazione continua, come quella a cui assistiamo nelle metropoli di oggi. Si può tentare di gestire questa trasformazione, per esempio nelle piccole e medie città europee, da conservare fin che si può migliorandone la vivibilità, ma certo non nelle megalopoli del terzo mondo il cui sviluppo o anzi il cui spaventoso degrado vanno molto al di là delle possibilità di un intervento ragionevole. Se poi, al di là delle città, teniamo presenti tutti i fattori che determinano non una crescita ordinata ma un'esplosione del mondo, si è portati a chiederci se l'umanità non ha preso una strada integralmente sbagliata il cui solo sbocco è la catastrofe.

Nel ripensare alla radice i problemi dovremo guardare in primo luogo a noi stessi, ritrovando una misura nel rapporto fra mente e cuore, ragione e sentimento, e quindi civiltà e natura che appaiono oggi scissi, derivando proprio da questa scissione la crisi globale del nostro mondo.
Penseremo poi alla congiunzione di questi stessi aspetti come, in altra forma, del maschile e del femminile, nell'unione che dà origine alla famiglia, creando così la cellula fondamentale della società. Dalla famiglia nasce l'idea di casa, più case formano un villaggio, aumentandone il numero avremo un paese, poi una cittadina, poi una città, poi una metropoli, quindi una megalopoli e infine una massa indifferenziata di abitanti, di costruzioni e purtroppo di baracche, come si vede in tante situazioni drammatiche del mondo.
Per gestire questa crescita, è bene paragonarla a quanto accade nella vita di ogni organismo. Un uomo, un animale, una pianta crescono fino a una certa dimensione e in un certo tempo, parametri che sono iscritti nel loro essere con una programmazione naturale. Se vorremo fare lo stesso per le dimensioni della città, quale sarà il parametro della nostra programmazione? Sono molteplici gli indici o i criteri che ci possono guidare, ma io penserei soprattutto al principio dell'educazione, perché è proprio in essa la necessaria guida che ci può far progredire verso una nuova civiltà: un indirizzo generale, quindi, ma che può essere applicato anche sul piano concreto delle dimensioni della città. Pensando in termini di scolarità, avremo un piccolo gruppo di case intorno a un asilo nido, un altro un po' più grande con una scuola elementare, e così via con la scuola media e il liceo, mentre oltre si deve mirare a un obiettivo più alto, in termini di contenuto e di scala urbana. Il percorso educativo che porta dal bambino all'adulto è del tutto simile alla storia della città che è alle nostre spalle: dal suo inizio legato a leggende, come le favole dei bambini, alla sua crescita nei secoli, fimo a giungere a quella maturità e completezza che si realizza alla fine della civiltà che precede la crisi attuale, diciamo nel diciannovesimo secolo.
E' in questo periodo che si abbattono le mura cittadine e che la città comincia a espandersi senza misura, poiché è in atto un cambiamento senza precedenti della civiltà. Tale civiltà, che ha potenziato in un modo prima inconcepibile tutte le facoltà umane, liberandone però anche le valenze distruttive, sembra conoscere un' accelerazione progressiva verso lo sbocco di una crisi globale che temiamo appunto di dover chiamare catastrofe, e tale catastrofe non può essere superata che con un nuovo pensiero, una nuova etica, e quindi un nuovo modo di pensare noi stessi, il mondo, e quindi la città.
Dovremo dunque abbandonare in ogni campo il mito di una crescita illimitata e, per ciò che riguarda in particolare la città, dobbiamo ispirarci a un criterio, come quello dell'educazione, per definire le sue dimensioni. Al di là di una soglia corrispondente alla maturità raggiunta dai giovani, non penseremo più a una crescita illimitata e indifferenziata della città ma piuttosto a una sua moltiplicazione, in addizione ad altre città, in modo che esse siano integrate in un insieme più vasto, quello di una metropoli, intesa appunto come federazione di città.
Secondo il criterio del paradigma educativo, sarà questa il luogo dell'università. Università vuol dire (o dovrebbe dire) sviluppo del pensiero, al di là di una maturità di base conseguita dal giovane. E così la nuova metropoli rappresenterà proprio lo stadio del pensiero, a cui sarà improntata una nuova umanità, una nuova società.

Ognuna delle città federate avrà una sua identità, di cui abbiamo discusso la volta scorsa, intuendo però che un' identità si definisce a tanti livelli: personale, famigliare, di luogo, di storia, di appartenenze economiche, sociali, culturali. Avrà un'identità, anzi una super-identità anche la nuova metropoli. Ne desumo anche che, per quanto le sue attività siano disseminate in un ambito regionale che vedrà il formarsi di molteplici centri di interesse, essa avrà un centro comune. Pensiamo all'immagine di un sistema planetario con un sole centrale e tanti pianeti orbitanti, ma possiamo evocare anche l'idea di cuore. L'organismo urbano deve avere un cuore, e ciò varrà non solo in un senso meccanico, come motore della vita della metropoli, ma anche nel senso più complesso e misterioso che si attribuisce al cuore, sede della vita, dei sentimenti, luogo dell'anima.
La metropoli improntata al pensiero avrà quindi nel suo centro un vero cuore: intelletto e cuore saranno congiunti, come ormai non accade più nella maggior parte delle azioni umane, la cui scissione è all'origine degli effetti devastanti che vediamo intorno a noi.
Il cuore della metropoli dovrà avere delle funzioni meccaniche e delle funzioni che chiamerei spirituali. Le prime saranno attività economiche e amministrative, mentre le altre saranno in rapporto con la storia, le memorie della città, il culto, la cultura: come del resto accade nelle città attuali come risultato della loro evoluzione storica. Queste città sono però state sottoposte all'urto dirompente di eventi alieni, che hanno portato con sé un'improvvisa crescita demografica, la concentrazione economica, il movimento turistico, la congestione del traffico, tutte cose che non sono compatibili con la loro antica struttura.
Quando parliamo di funzioni spirituali, non alludiamo a nulla di confessionale ma intendiamo un pensiero che sappia allearsi al cuore, quindi uno sviluppo contemporaneo che si congiunga alla consapevolezza del passato, una civiltà che si allei alla natura in luogo di distruggerla, una scienza che non dimentichi il valore dell'etica, degli ideali civili e religiosi che diano un senso alla vita individuale, la formazione di uomini interi, armonicamente sviluppati e utili alla società.

Nella nuova metropoli, che reintegra così e riunisce l'intelletto e il cuore, mancherebbe ancora un elemento se volessimo paragonarla all'uomo, facendone appunto “la città a immagine e somiglianza dell'uomo”. Questo elemento è la volontà: volontà politica, volontà pianificatrice. Non si fondano le città senza un atto di volontà. Non vorrei però qui addentrarmi nella politica, che è appunto l'idea della polis o almeno dovrebbe esserlo in luogo di scadere in quello che si intende oggi per politica, ma affermare che il primo gesto di una volontà politica è il tracciato della strada.
La strada è la legge. Gli infiniti e variabili campi di sviluppo della libertà sono resi possibili dalle leggi e quindi dalle strade. Per rendersi conto dell'importanza del tracciato delle strade, basti pensare che esso definisce due tipi del tutto diversi di città: la città romana, con il suo reticolo ortogonale e quella medioevale o di nascita spontanea, con un tracciato delle strade circolari e radiali simile alla sezione del tronco di un albero. Non mi riferisco in tal modo solo a due tipologie ma alle due fondamentali categorie che chiamiamo razionalità e organicità. Ebbene, la legge appartiene alla prima ma sarà una legge giusta se saprà comprendere e integrare la seconda, non discostandosi cioè dalla vita ma permettendone anzi e aiutandone lo sviluppo.


Copertina del libro

Nel mio libro di quarant'anni fa, La città a Immagine e Somiglianza dell'Uomo, ho cercato di elaborare queste riflessioni sulla città. Il libro si compone di due parti: la prima pensa la città nella storia e nel presente ma, come ho già detto, vedendo il presente come una via senza sbocco, si dedica alla ricerca di come la città dovrebbe essere nella sua essenza, o forse anche in un futuro, che esso sia il day after o comunque il giorno di un risveglio spirituale dell'umanità. Questa ricerca è la stessa del cammino interiore che bisogna compiere in noi stessi e nelle nostre opere, in ogni campo, come il movimento essenziale dell'anima.
La seconda parte del libro è invece l'incarnazione dell'anima così percepita nel corpo di una città reale: Milano. E come si opera questa misteriosa incarnazione? Riprendendo il filo che dalla nascita della nostra città in un tempo remoto, come un incrocio di cammini campestri, conduce al suo sviluppo fino ad oggi, nel tempo e nello spazio. Per il primo, bisogna tener conto dei venticinque secoli di storia di Milano e chissà di quanti altri nel futuro, per rendersi conto di come i criteri urbanistici e gli interessi economici di oggi siano di corta vista. Per il secondo, bisogna concepire la nostra metropoli come una realtà che va dal Ticino all'Adda, sormontando le parcellazioni amministrative di quest'area e la mentalità alquanto ristretta che ne deriva.
L'attenzione alla storia della città è per fortuna oggi molto più presente di quanto non lo era all'epoca in cui scrissi il libro. Essa comporta la tutela del centro storico ed anche il crescente riferimento al passato nell'opera di molti architetti, che cercano di farsi interpreti di una continuità storica in luogo di applicare le idee astratte del razionalismo. Io vorrei però proporre qualcosa di più: non solo delle norme amministrative e un indirizzo progettuale, ma un porsi all'ascolto della città, un identificarsi con la sua anima, un intuirne le straordinarie possibilità di sviluppo, un aprirsi a una visione. E' la città interiore? Un cammino per ritrovarne l'essenza e proiettarla nel futuro ..., ma come?


2b, Milano nella sua regione, stato attuale


3, le maglie di una nuova rete di autostrade urbane

Guardiamo alla pianura fra il Ticino e l'Adda, in cui sorgono molti abitati, piccoli o grandi, alcuni sono vere e proprie cittadine, con un loro carattere, una loro storia. A fronte della tendenza a saldarsi l'uno all'altro, divenendo così una periferia indifferenziata, (con l'immigrazione in atto, non possiamo essere sicuri che Milano non finisca col diventare una megalopoli come quelle del terzo mondo ...) stabiliamo il principio di ridisegnarli uno per uno, con attenzione alla loro struttura sociale, alle loro attività, alla loro storia, individuandone così un'identità da salvaguardare.
Abbiamo visto che sarà il paradigma della scolarità a strutturare e dimensionare queste comunità ma l'intento educativo sarà attivo e manifesto su tutti piani, in una vera e propria “opera di rieduca-zione della città”.
Cercheremo poi di contenerne lo sviluppo edilizio in forme concluse, disegnate e separate dalle altre cittadine per mezzo di larghi spazi di campagna-parco. Metteremo poi tutte queste cittadine in rapporto una con l'altra e con il comune centro per mezzo di autostrade urbane. Esse formeranno una rete, secondo un principio che è lo stesso, dal tracciato delle città romane a quello delle città americane, ma con dimensioni molto maggiori di quelle degli antichi isolati o dei blocs, in modo che delle intere e piccole città possano svilupparsi all'interno delle maglie di tale rete.


2, la città naturale                                                                                    3b, ipotesi di sovrapposizione di una rete ortogonale


4, il principio della curvatura della rete

Per far funzionare una città, occorre un tracciato razionale, come quello della rete ortogonale delle città romane o di quelle americane, non una ragnatela di strade che conducono a un centro puntiforme come nella Milano di oggi. Ho sperimentato questo principio con l'ipotesi di sovrapporre all'attuale reticolo stradale una rete autostradale ortogonale. Che rivoluzione, che incredibili trasformazioni in tutto il territorio potrebbero derivare da questo principio, ma è evidentemente solo un'ipotesi di scuola.
Con riguardo invece all'impostazione radio-centrica di Milano, una città cioè del tipo “naturale”, o organico a somiglianza di un albero, con le sue strade radiali e circolari, la nuova rete autostradale non potrà prescindere da questa caratteristica, ma al contrario dovrà abbracciarla e potenziarla. Si perpetueranno così gli svantaggi di un sistema radio-centrico? No, la soluzione del problema sarà nel “curvare” la rete ortogonale intorno al centro del sistema, cosa possibile date le sue dimensioni. All'interno di ogni maglia, sopravviverà e si svilupperà invece il tracciato naturale. Si potrà dire, in un certo senso, che avremo così reso possibile un carattere organico delle piccole città nel più grande ambito razionale della metropoli. Essa costituisce infatti una sintesi fra le due fondamentali categorie dell'organicità e della razionalità, che la storia ci mostra nelle città romane e medioevali, ma a cui è necessario riferirci anche oggi in forme contemporanee, con il significato più generale del rapporto fra natura e civiltà, libertà e legge, e finalmente sentimento e ragione.

5, il progetto

E veniamo adesso al centro del sistema dove tutte le autostrade radiali convergerebbero in un punto, se non le fermassimo su un anello terminale in corrispondenza alla cinta dei Bastioni.
L'unione dei due viali attuali, realizzati sue due lati delle mura scomparse, permetterebbe di disegnare una fantastica autostrada circolare, integrata con la sistemazione delle antiche porte della città e con un parcheggio anulare continuo.


6, l'anello autostradale dei Bastioni in progetto                                    7, uno degli snodi: P.ta Ticinese

All'esterno della cinta, si svilupperà la città moderna con il suo centro di affari e la concentrazione urbana che ne conseguirà a ridosso della “diga” dei Bastioni. All'interno invece ... dovremo pensare a uno svuotamento nel tempo della città attuale. Ma sapete come si è formata?
C'era all'origine un borgo celtico, quindi una città Romana, che fu perfino la capitale dell'Impero nell'ultimo secolo. In questo stesso periodo, per tanti versi non meno drammatico del nostro, il Vescovo Ambrogio, puntando il compasso nel centro della città, descrisse un cerchio lungo il quale fondò una serie di basiliche, San Simpliciano, Sant'Eustorgio, quella che fu poi dedicata alla stesso Sant'Ambrogio, ed altre. Questo cerchio non aveva nessun rapporto con il perimetro della città romana né con il suo Foro, mentre si fondava sull'intuizione di una città futura e sull'intento spirituale a cui orientarla.


8, il cerchio tracciato da Sant'Ambrogio                                               7, la città romana


9, la città dei Navigli com'era                                                                    10, gli interventi dell'800 e del 900

Con il passare dei secoli, si tracciò la cerchia dei Navigli, che seguì proprio questo cerchio. All'interno di essa, Milano era una città raccolta intorno alla sua Cattedrale. All'esterno si stendeva l'area di un anello verde, inframezzato da ville e conventi, fino alla cinta dei Bastioni, realizzata durante l'occupazione spagnola. I vari parchi, pubblici e privati del centro di Milano sono ciò che rimane di questo verde. La maggior parte di esso è stata però invasa dagli edifici dell'ottonovecento, il cui sviluppo si è esteso sempre di più anche all'esterno dei viali che avevano sostituito le mura dei Bastioni. Altri viali circolari si sono venuti poi aggiungendo, con un ulteriore sviluppo a macchia d'olio, fino a giungere all'attuale periferia che tende a inglobare le cittadine satelliti. Fondendosi poi anch'esse fra di loro, la tendenza è verso la realizzazione di un'estensione urbana indifferenziata.


11, la città fino all'ottocento                                                                    12, lo sviluppo degli anni '50

Dicendo che la strada è una legge, bisogna che essa si trasferisca in un piano urbanistico di grande respiro. Dopo aver rinforzato l'identità delle cittadine federate nella metropoli, e dopo averle collegate fra di loro e con il comune centro mediante una rete autostradale, e dopo aver infine creato l'anello terminale di questa rete, quasi esso fosse una nuova cinta di mura, il piano favorirà il progressivo svuotamento dell'anello fra i Bastioni e la cerchia dei Navigli, per farne un parco continuo intorno al centro storico.


13, la città dei Navigli, progetto di restauro                       13b, vista dei Navigli, come erano

Chiameremo poi questo la “Città dei Navigli”, provvedendo in primo luogo a scoprire i Navigli, stoltamente coperti nel 1929, e procedendo infine a una straordinaria opera di restauro e anzi di ricreazione dell'antico nucleo della città. Guardando alla sua forma, si leggono in essa, come in un seme, due cotiledoni e, fra di queste, uno spazio interstiziale. Si potrebbe dire poeticamente che è proprio da questo spazio che è nata la Milano di oggi, come una grande pianta che si sviluppa a partire dal suo seme, ma in realtà lo spazio è stato fatto a pezzi e massicciamente occupato dagli interventi dell'otto e del novecento. Nel nostro folle progetto di rifondazione di Milano. lo svuoteremo in modo da avere una bellissima continuità fra il Castello e la Ca' Granda, con nel centro del percorso il Duomo e la sua Arca, oltre a molte tracce della Milano romana.


14, la città “seme” con le due cotiledoni                                                   15, schema del progetto

Avevamo parlato del centro della nuova metropoli, distinguendo due sue parti: il centro delle attività economiche e amministrative, e il centro della cultura. In certi casi, come nel mio progetto per il rinnovamento di Firenze, i due centri possono essere allineati, il centro della cultura nel cuore della città antica e il centro moderno molto più lontano, dove sorgerà una metropoli toscana, estesa dalla Firenze attuale a Prato. E' secondo lo stessa ottica che a Parigi si è fatta la Défense.
Nel caso di Milano, invece, la sua morfologia radio-centrica ci porta a concepire i due centri uno dentro l'altro: il centro economico nella corona intorno alla cinta dei Bastioni, e quello culturale invece entro la cerchia dei Navigli. Fra le due cerchie il vuoto, espressione del distacco fra la civiltà passata e la futura, in cui lo spazio del presente è “dissolto”. E' una teoria ben ardita, si dirà, ma è semplicemente una teoria che interpreta il drammatico passaggio fra due civiltà non come un'ordinata evoluzione, ma come una rivoluzione epocale, un salto al di là del presente e del prossimo futuro.


16, vista aerea laterale

Ritorniamo al problema della crescita, di cui vorremmo tracciare qui un diagramma. In ogni campo si suppone oggi una crescita illimitata il cui diagramma volge alla verticale, dopo un andamento millenario che si scostava poco e lentamente dall'orizzontale. Se ci guardiamo intorno, dobbiamo invece cominciare a vedere qualcosa che porterà a una modifica di tale diagramma, all'arresto della crescita, all'arresto della follia, all'introduzione della misura, alla riscoperta e allo sviluppo di altri valori. Questo è anche il diagramma del progetto di Milano: in luogo di una crescita e di una densità sempre maggiore nel centro, (anche se essa è oggi bloccata dalla tutela del centro storico e da altre norme amministrative) indotta dalla pressione della massa urbana, ne avremo arrestato l'impatto contro la “diga” della cinta dei Bastioni. Si vede però che la crescita continuerà all'interno di essa, ma sarà una crescita diversa, la crescita di valori spirituali.
Auspichiamo che sia questo il tipo di crescita che si farà strada nella nostra consapevolezza, ma sarà esso applicato? Sapremo imboccare questa strada? Se si guarda al diagramma, esso sembra, ahimè, anche il cratere di un'immane esplosione. Fa forse parte anch'essa del futuro di un'umanità alla drammatica ricerca di un nuovo orientamento?


17, il diagramma della crescita fisica e di quella spirituale

Ecco quindi un modello per lo sviluppo di Milano e, più in generale, di una nuova metropoli, o di un nuovo modo di pensare il mondo: la città dell'uomo che realizza un'armonia fra sentimento e ragione. Al “sentimento” associamo la vita, quindi la campagna che ci nutre e che la città non deve distruggere, le piccole città pensate a misura della famiglia e in particolare dei figli, e lo stesso centro antico che ci sembra naturale e profondamente umano in confronto con la ripetitività meccanica delle periferie. Alla ragione attribuiamo invece il principio dell'educazione, assunto come parametro di sviluppo sia delle piccole città federate che dell'intera metropoli, l'impeccabile razionalità della rete stradale e di tutto il sistema urbano. Una metropoli che guarda al proprio centro come un uomo guarda al suo centro interiore, e sa onorare in esso la radice delle memorie, il sacro, il valore della cultura, la vera università a cui chiamare i giovani. Nel vuoto centrale si troverà motivo di meditazione, nell'identità non un isolamento provinciale ma un ponte verso l'identità più vasta del mondo, senza parlare dell'identità vera e divina, il Sé, che si farà luce nel centro interiore e nella città che sa esprimerlo. Una città quindi che è pensiero e cuore, e con questo cuore imprime pulsazioni di vita a tutto l'organismo metropolitano. Una città che pulsa e anche respira, una città meditazione-respiro.


18, vista generale del nuovo centro a corona, con in primo piano la Città dei Navigli

Dibattito

Angela Sacchi

Sono affascinata dal progetto, ma come si fa a pensare a distruggere tutta una città per realizzarlo?

Vittorio Mazzucconi

Ricordo ancora che un piano urbanistico deve essere pensato nel tempo e che il tempo di una città come Milano si conta in millenni. In questi millenni quante Milano abbiamo visto svilupparsi e scomparire?: l'antico borgo celtico, la città romana, la città medioevale, la città del Rinascimento, quella dei secoli seguenti, che hanno lasciato per fortuna maggiori tracce. La maggior parte della città in cui viviamo è opera dell'ultimo secolo o poco più, con incorporati dei frammenti delle epoche precedenti. Di quella romana che era perfino la capitale dell'impero, non c'è per esempio quasi niente. Pensate poi alla città dopo l'ultima guerra, in buona parte demolita dai bombardamenti. Se, nel momento della ricostruzione, ci fosse stato un progetto come questo, vivremmo oggi in una città ben diversa. L'importante è quindi questo: concepire un grande disegno, uno sviluppo ideale, che si potrà realizzare via via che le circostanze lo permetteranno.
Sarà anzi la Storia, con la S maiuscola il vero architetto della nuova metropoli. Non ci sarà bisogno di demolire alcunché poiché avrà già provveduto la Storia al naturale anche se spesso drammatico avvicendamento delle vite, degli edifici, delle città.

Angela Sacchi

Noi però viviamo nel presente: come si può fare astrazione dal contesto degli edifici che ci sono famigliari e che hanno spesso un loro pregio, senza parlare dei valori immobiliari ...

Vittorio Mazzucconi

Si, tutto ciò fa parte del presente, ma il presente passa rapidamente, anzi non esiste proprio. Rimangono per un po', è vero, gli edifici, che hanno una vita un po' più lunga della nostra, ma non eterna. Altrimenti vivremmo ancora nella città romana e saremmo sempre vivi anche noi, se volessimo annullare la necessità vitale della morte. Essa non vale solo per ognuno di noi, ma anche per i nostri edifici. Si pensa che un progetto, una visione, siano pura utopia, ma non sarebbe forse un'utopia incredibilmente folle quella di credere che non solo gli edifici ma la società e tutta la città rimangano per sempre come sono?

Bernardo Rossi

Mi ha colpito l'idea di mettere l'università nel centro storico, ma non la si sta forse trasferendo in periferia?

Vittorio Mazzucconi

Purtroppo è quanto accade, forse a immagine del fatto che anche il pensiero umano si sviluppa oggi “in periferia”, cioè in molteplici specializzazioni, che sono periferiche rispetto a una centralità, a un nucleo essenziale: il divino in noi.
Per chi non accetta questo tipo di riferimento, guardiamo a una realtà più concreta: accanto all'università, a cui destinare tanti edifici monumentali, ci sono o c'erano nella città antica le case più modeste della vita popolare, meravigliosamente adatte a ospitare gli studenti e le persone anziane che potrebbero trovare in questo una fonte di reddito, di integrazione e solidarietà. Ma cosa sto dicendo? Sappiamo tutti che le vecchie case dei centri storici vengono ristrutturate per diventare case di lusso, per chi ha oggi i mezzi, non il diritto, di rimanere in centro, oltre alle sedi delle banche.
Accettiamo che il mondo vada avanti così, fino a trasformare i nostri centri, scuola di umanità prima ancora che di arte in residence per ricchi, che saranno prima o poi da recintare per difendersi dalla popolazione di periferie da terzo mondo? E' assurdo immaginare e cercare di realizzare un futuro ben diverso?
Vorrei citare ancora una volta il progetto per un nuovo centro di Firenze che non solo viene dedicato alla cultura, spostandone le funzioni economiche che attualmente lo occupano, ma addirittura trasformato in un campus universitario. Un progetto che si chiama “La Città Nascente” proprio perché è da questo intendimento che può nascere la città di una nuova civiltà. Nuova? Da sempre i figli sono al centro di ogni famiglia, adesso vorremmo solo portarli al centro di tutta la città, perché il principio fondamentale di una civiltà che possa sopravvivere al crollo della nostra sarà quello dell'educazione. Senza questo sforzo di educazione l'umanità è destinata alla fine.

Lelia Frazzini

A me non piace molto l'idea di decidere a priori le zone e le funzioni, stabilendo priorità, identità e quant'altro. Anche per la divisione della metropoli in cittadine ci sarebbe da dire: d'accordo sullo sforzo di evitare in tal modo un'estensione indifferenziata della metropoli, ma uno dei vantaggi di vivere, appunto, in una metropoli, è quello di essere liberi da un contesto esclusivamente locale, di poter scegliere il proprio “villaggio” ossia un ambiente riconoscibile e fatto proprio, o anche solo una cerchia di amici dovunque essi abitino, e soprattutto di poter cambiare tutto ciò come e quando si vuole. E non parliamo della libertà di andare a vivere anche in altre città e in altre nazioni. Nel mondo contemporaneo tutto questo grazie a Dio è possibile e ne è anzi l'essenza, la caratteristica, a cui non vorrei proprio rinunciare.

Vittorio Mazzucconi

Bravissima! Abbraccio interamente il tuo punto di vista. Il progetto che ho proposto è solo un modello che indica una linea di pensiero, una regola, ma sta poi alla vita viverlo appunto e anche liberamente trasgredirlo. Converrai però con me che una libertà illimitata, una trasgressione permanente non sono la soluzione. Occorre il riferimento a una regola per poter intelligentemente uscirne. Vorrei dire del nostro modello di città quanto è stato detto della bellezza: che è una sorta di matematica liberamente trasgredita, oppure paragonarla a un seme, che deve essere ben chiuso, lucido e perfetto. Quando poi la pianta crescerà, ci saranno mille fattori perché la sua forma vari e si adatti liberamente all'ambiente.

Carlo Pieroni

Io non vorrei vedere una città piena di autostrade. Noi vorremmo invece liberarci delle macchine per ridurre lo smog, e dire basta all'infatuazione per le macchine, in nome proprio di una civiltà diversa.

Vittorio Mazzucconi

Io sono un buon camminatore ... però penso che la macchina abbia veramente rivoluzionato il nostro modo di vivere, non sempre in senso positivo, ma è certo che anche il modo di pensare la città non può che essere integralmente diverso da quello del passato. I centri storici? Va benissimo pedonalizzarli. Chiuderemo anzi alle macchine anche gli spazi destinati al verde, alla vita famigliare, a percorsi commerciali, a quelli di accesso alle scuole e tanti altri. Ma in tutto il resto del territorio urbano non solo non si può fare a meno delle macchine ma bisogna anzi potenziarne l'uso in modo che,da ogni luogo della metropoli, se ne possa raggiungere ogni altro. Una rete stradale ordinaria non lo permette certo ed è per questo che occorre una rete autostradale, oltre a una rete di trasporto su rotaia, ugualmente generalizzata. Si direbbe che il principale problema della Amministrazione pubblica sia di fare la guerra alle macchine, mentre essa dovrebbe occuparsi del contrario: aprire alle macchine la possibilità di servire il nostro bisogno di mobilità e di sviluppo. E' in tal modo che sarà possibile la grande metropoli regionale. Senza macchine, essa non sarebbe neppure pensabile.

Giacomo Lucani

L'enfasi che lei ha dato al centro è suggestiva ma mi sembra che appartenga a un vecchio modo di pensare la città, la città appunto con un solo centro, come lo è Milano. Non le sembra che oggi invece bisogna pensare a una città policentrica e anche alla possibilità che una molteplicità di centri si realizzi spontaneamente, dove nascono coaguli di attività, di incontro, di scambi commerciali che possono poi divenire anche culturali ...

Vittorio Mazzucconi

A dir la verità, si vedono molti centri commerciali ma quanto alla loro valenza culturale avrei qualche dubbio ... Nel senso tradizionale della parola “centro”, penso comunque ai centri delle cittadine federate, oltre ad altri nodi di interesse del tipo di cui lei parla. Saranno molteplici, ma è importante che la metropoli abbia il centro dei centri, che dividiamo però in due parti. Una, all'interno della Cerchia dei Navigli, sarà il luogo della storia, delle memorie comuni, della Cattedrale, delle grandi istituzioni culturali fra cui l'università, nulla in comune quindi con un centro di commerci e affari come quello attuale a cui lei forse pensa. L'altra parte, cioè il centro delle funzioni economiche, si svilupperà al di là della cinta dei Bastioni e vorrei parlarne ricordando l'immagine del cuore, che invia il sangue a tutto l'organismo e da esso lo riceve di ritorno. Parlo di organismo e non di “periferia” perché è nello spirito della nuova metropoli che ognuna delle sue parti abbia un'autonomia e un'identità che ne faranno appunto, in sé, dei centri significativi e non delle mere parti di una periferia amorfa.
Il progetto integra quindi l'idea del centro con quella del policentrismo, e lo fa nell'ambito di una struttura urbana molto forte e equilibrata. L'alternativa è quella di un'estensione indifferenziata all'interno della quale si possono formare degli addensamenti e dei nodi a macchia di leopardo, come accade nelle megalopoli, ma non mi sembra davvero un esempio da seguire.

Marco Bolla

Cosa ne pensi dei nuovi grattacieli della Fiera?

Vittorio Mazzucconi

Penso che, come quelli del Centro Direzionale, essi facciano parte di quella concentrazione del terziario che anche il nostro progetto preconizza in tutta la zona anulare esterna alla cinta dei Bastioni.
Certo è scioccante non tanto l'eccentricità delle loro forme quanto il fatto che essi sorgano fuori contesto, fra i vecchi edifici del novecento della zona, mentre richiederebbero lo spazio e la coerenza di un nuovo impianto urbanistico. Questo effetto di shoc, dovuto all'irruzione di una grande scala urbana, c'era anche nel mio progetto del 1966 per la stessa area, allora del tutto disatteso. Il giusto modo di prevedere dei grattacieli sarebbe tuttavia quello di addensarli lungo il grande anello autostradale della cinta dei Bastioni perché in tal modo si creerebbe un fronte significativo, affacciato sul parco anulare del centro-vuoto della metropoli.


19, progetto per la Fiera (1966)                                                               20b, il fronte dei grattacieli lungo l'anello
                                                                                                                                            autostradale dei Bastioni


20, vista dall'alto di una parte del nuovo centro a corona

Francesca Molinari

Ritornando al suo progetto si, è molto bello, ma richiederebbe un potere totalitario per essere trasferito sul terreno, e quindi, a ben guardare, non è nello spirito di una vera modernità democratica. Questa richiede concertazione, autonomie, elaborazione dal basso e non un piano imposto dall'alto.

Vittorio Mazzucconi

Un discorso sulla democrazia e i suoi limiti esula dalle mie competenze. Confesso che mi piacciono molto, nella storia, i fondatori di città che ne dettano il tracciato, o un Sisto V che ridisegna Roma con le sue nuove strade che mettono in rapporto le basiliche principali, o un Barone Haussman che getta sul reticolo medioevale di Parigi la sue rete di boulevards, mentre detesto i piani regolatori che non propongono interventi molto più leggeri, ma lo fanno in modo burocratico, alieno sia dal vero potere che dalla vita popolare.
Detto questo, è evidente che la nuova metropoli richiede un diverso tipo di potere. Sia la sua forma, sia il potere che potrebbe realizzarla fanno astrazione dal presente, ma stiamo qui lavorando per il futuro. Quando si aprirà una nuova civiltà, nascerà con essa anche un nuovo modo di intendere la democrazia e di esercitare il potere. Il progetto della nuova metropoli si limita a scorgerne forse alcuni tratti: l'autonomia democratica delle città, non satelliti di una città centrale, ma federate in un organismo comune; il nucleo direttivo di questo, investito di un potere delegato dalle autonomie locali ma che, in virtù di questa delega, possa disciplinarle nel quadro di un interesse generale: il tutto simile a un movimento naturale ed equilibrato. Ma il progetto suppone soprattutto una diversa scala di valori, che non guardi a ideologie o a interessi economici e politici staccati dal bene comune, ma alla società nel suo insieme, alla famiglia, alla cultura; che crei leggi e strutture atte a permettere un equilibrio e ad esercitare una vera libertà. Dopo tutto, sembra solo del semplice buon senso e perfino una ovvietà ma, ove lo si volesse applicare sul serio, si dovrebbero rovesciare molti falsi valori.
E' così che, come sapete, sto proponendo in questo momento di costruire l'Arca del Duomo, che è appunto una piramide rovesciata, come un simbolo: di una nuova e libera creatività, a fronte dell'immobilismo amministrativo e culturale, di un'apertura spirituale, a fronte della chiusura di un mondo materialistico, di una rinascita, in ognuno di noi, nella città e nel mondo, perché è di questo che abbiamo bisogno. Poniamo l'Arca nello stesso centro in cui Ambrogio puntò il compasso per tracciare il cerchio delle sue basiliche, ma lo facciamo adesso per disegnare i molteplici e concentrici cerchi della nuova metropoli che già oggi chiamiamo Metropoli Ambrosiana: da quelli delle città federate, antiche, nuove o comunque da ricreare, a quello dell' anello dei Bastioni che si affaccia su un magico spazio interiore alla città, a quello infine della cerchia dei Navigli, che suggerisce la vera misura di Milano, tanto nella storia quanto in un intendimento spirituale.


20, l'Arca del Duomo


torna all'inizio dell'Incontro n° 3
il dibattito può proseguire on line scrivendoci: arcadelduomo@gmail.com